• NOTA
    Tutte le citazioni qui riportate sono tratte da Severino Boezio, La consolazione della filosofia. Gli opuscoli teologici, Rusconi, Milano 1979.



    Chi è tanto felice da non desiderare di cambiare il proprio stato?

    Chi può dettar legge agli amanti?
    Suprema a sé l'amore è legge.

    Chi mai possiede una felicità tanto priva di nubi che non contrasti in qualche cosa con la natura del suo stato? La condizione dei beni umani è invero cosa che dà angustia e tale che o non si realizza mai completamente o non dura mai per sempre.

    Ciascuno deve ritenersi potente in quello che può fare, ma debole e impotente in quel che non può fare.

    Come agli uomini retti la rettitudine stessa è premio, così ai malvagi è supplizio la loro malvagità.

    Grata la morte, quando all'uomo giunge negli anni men felici,
    ed agli afflitti che spesso l'han chiamata!

    I costumi e le istituzioni delle diverse genti sono fra loro discordi a tal punto, che una stessa cosa è stimata da alcune degna di lode, da altre di castigo.

    Il bene è il fine di tutte le cose.

    In ogni avversità della fortuna, l'esser stato felice è il genere più doloroso di sfortuna.

    In verità, se ne consideri il corpo, cosa potresti trovare di più debole dell'uomo, che spesso viene ucciso dalla puntura anche di piccole zanzare o dall'insinuarsi di microbi fin nelle parti più riposte dell'oragnismo?

    L'avarizia rende sempre odiosi, la liberalità popolari.

    La natura dà ad ogni cosa quel che le conviene, e si sforza di mantenerla in vita, finché può durare.

    Le opinioni degli uomini, sebbene diverse e tra di sé discordi, si trovano d'accordo nell'amare il loro fine, che è il bene. (p. 199).

    Le ricchezze non possono far sì che alcuno non manchi di nulla esia bastevole a se stesso.

    Non possiamo giudicare degni di rispetto, in virtù delle cariche che occupano, coloro che giudichiamo indegni di quelle cariche stesse.

    Non vi è scienza se non di ciò che è certo

    Ognuno ritiene felice quella condizione che desidera a preferenza delle altre.

    Perché dunque, o mortali, cercate fuori di voi quella felicità che sta dentro di voi?

    Presso i sapienti non v'è posto per l'odio. Chi potrebbe odiare i buoni, se non l'uomo più stolto del modno? D'altra parte, odiare i malvagi è cosa irragionevole. Infatti, come l'astenia per il corpo, così l'abitudine al vizio è, per così dire, una malattia dell'animo; perciò, siccome non giudichiamo meritevole di odio ma piuttosto di commiserazione chi è malato nel corpo, molto più sono da compiangere, non già da perseguitare, coloro che sono tormentati nell'intimo dalla malvagità, che è ben più atroce di qualsiasi infermità fisica.

    Può essere felice la sorte di chi vive nella cecità dell'ignoranza?

    Quanti fanno un torto sono più infelici di quelli che lo subiscono.

    Quanto si conosce, si crede di conoscerlo soltanto per il valore intrinseco e la natura delle cose stesse che vengono conosciute. Invece è tutto il contrario. Tutto quel che si conosce, infatti, viene compreso non secondo il suo valore intrinseco, ma piuttosto secondo la capacità dei soggetti conoscenti.

    Questo il culmine dei nostri mali: che il giudizio dei più non consideri il merito delle cose, ma l'esito della fortuna, e meritevoli soltanto quelle cose che siano state convalidate dal successo; e perciò avviene che la buona stima sia la prima ad abbandonare gli sventurati.

    Sol questo è fermo per eterna legge:
    che ciò che è generato non sia stabile.

    Tutto quel che si conosce vien conosciuto non in virtù della propria natura, ma di quella di coloro che lo comprendono.

    Vi sono due specie di necessità: l'una semplice, come che necessariamente tutti gli uomini sono mortali; l'altra condizionale, come, se tu sai che un tale cammina, è necessario che egli cammini..

    Vuoi dare premi in proporzione ai meriti?
    Ama in giustizia i buoni, abbi pietà dei tristi.