• NOTA
    Tutte le citazioni qui riportate sono tratte da Massimo Fini, Ragazzo, Marsilio, Venezia 20122.



    Buona parte dell'arte nasce dal dolore.

    Ciò che terrorizza l'uomo non è la morte in sé, come fatto fisico (tanto è vero che è in grado, al momento del dunque, di affrontarla con coraggio) ma il sapere di dover morire. È un animale tragico perché è l'unico ad essere lucidamente cosciente della propria esistenza e della sua ineluttabile conclusione.

    Credo che non ci sia cosa più dolorosa per un figlio di assistere alla decadenza dei propri genitori.

    Guardo i ragazzi. E mi fan tenerezza. Perché so che i loro progetti, le loro speranze, i loro sogni non son che illusioni. "Ma anche le illusioni – scrive Huizinga – fan parte della realtà".

    Il dolore non sta nel passato, ma nel presente. E in questo dolore rientrano anche i ricordi dei momenti e dei periodi felici o sereni.

    I dolori degli adolescenti e dei ragazzi possono essere lancinanti, si sa. In genere si tratta di pene d'amore. E "d'amore non si muore" sarà anche vero, ma quando ci sei dentro non sai che fare. E stai da cane. Ma passano. Basta che entri in un bar e la commessa carina di guardi in un certo modo e la vita torna a sorriderti. I dolori dei vecchi sono meno intensi, ma non passano. I ragazzi per alcuni tratti psicologici sono ancora vicini all'infanzia da cui si sono staccati da poco, e come i bambini passano repentinamente, senza un vero perché, dal pianto al riso, così nei giovani la depressione più nera può virare, di punto in bianco, nella vitalità più sfrenata.

    I giovani non pensano mai che anche un vecchio è stato giovane.

    I vecchi, diciamo la verità, fanno schifo.

    I vecchi sono spietati.

    Il mondo dei vecchi è un mondo di ombre, le ombre degli amici morti.

    Il suicidio del giovane ha una sua nobiltà, una grandezza estetica ma anche etica. Perché mette sul piatto tutto quello che ha – la vita – a favore della morte. Quello del vecchio è semplicemente patetico. Non possiede alcun valore, perché da giocarsi non ha che gli spiccioli.

    L'aspetto più drammatico della vecchiaia non è (…) la decadenza fisica, ma l'impossibilità di un progetto di vita. Esistenziale, sentimentale, professionale. Manca il tempo. Manca il futuro. Manca la speranza. Sorella Morte ha già alzato la sua falce. È vero che si può morire a qualsiasi età, anche a vent'anni, e che la morte è certa. Ma una cosa è immaginarla in un futuro indefinito, altra è quando ti cammina a fianco. Una cosa è se si tratta di una certezza lontana, remota, altra è se sai che sei al finale di partita. E che non ci saranno i supplementari.

    L'estremo, e più atroce, paradosso dei vecchi è che desiderano morire ma vogliono vivere.

    La generazione del Sessantotto, che sta arrivando ora ai sessant'anni e oltre, è la prima nella Storia che si rifiuti, collettivamente e scientemente, di invecchiare, di abbandonare lo status giovanile.

    La giovinezza è la vita, la vecchiaia già l'ombra della morte.

    La vecchiaia è diventata, insieme alla morte, il tabù dei tabù dell'uomo contemporaneo.

    La vecchiaia si lega strettamente alla morte, ne è l'anticamera. L'accettazione della vecchiaia è quindi fondamentale per vivere una vecchiaia minimamente serena. Ma la nostra è la prima società a non aver elaborato una cultura della morte. Semplicemente la rimuove.

    La vecchiaia ti fissa in se stessa e tutto ciò che sei stato prima non conta, è come se non fosse mai esistito.

    Nemmeno la morte può cancellare il fatto che sei nato.

    Non è che uno, per il solo fatto dessere morto, diventa per ciò un santo; se era uno stronzo, lo rimane.

    Non è vero, purtroppo, che "la bellezza non ha età". È vero, semmai, il contrario.

    Non si può "ammazzare il tempo". È il tempo che ammazza noi.

    Ogni uomo ha la morale dei propri istinti. Ecco tutto.

    Senectus ipsa est morbus (Terenzio): la vecchiaia è in sé una malattia, dicevano ancora i Latini.

    Un tempo si moriva in famiglia, circondati dai propri affetti; oggi si muore in ospedale, soli, e i padroni della nostra morte, del suo momento, delle sue circostanze, sono i medici e i tecnici delle équipe ospedaliere. (...) Tutti gli autori che se ne sono occupati sono rimasti impressionati dal modo in cui oggi si muore, dalla crudeltà della morte solitaria negli ospedali, dalla disumanità della morte moderna.

    Una cosa è veramente magica quando non si sa che lo è.

    Una delle cose che più fa sentir vecchi è veder invecchiare anche i tuoi coetanei e, soprattutto, gli amici un po' più giovani.