• Fabrizio De André sarà stasera al Teatro Brancaccio per il quarto ed ultimo concerto a Roma. Il suo tour invernale, iniziato il 2 novembre al Regio di Parma, si chiuderà a Padova il 28 febbraio. Ovunque è stato accolto trionfalmente. E in autunno inizieranno le riprese del film di Claudio Bonivento ispirato a Un destino ridicolo, il primo romanzo di De André, scritto con Alessandro Gennari. In questa intervista l'artista genovese fa il punto su questo straordinario momento della sua carriera.

    Cantautore storico, adesso addirittura "guru", maestro di pensiero, per molti dei suoi fedelissimi fan e nelle definizioni dei giornalisti che hanno scritto di questo suo ultimo tour. Si sente preparato a questo inarrestabile processo di beatificazione?

    "Con l'aiuto di innumerevoli miei simili vivi e morti ho fatto qualche buona canzone, un discreto romanzo e numerosi concerti godibili. Se Bastasse per essere beatificati credo che Padre Pio si sia fatto un lunghissimo quanto nobilissimo culo per ottenere un riconoscimento".

    "Disgraziato quel popolo che ha bisogno di eroi", sosteneva Brecht. Ma lei come si sente nel ruolo di eroe che il pubblico le attribuisce?

    "Se l'eroe di cui si parla dovesse per avventura coincidere con la mia persona, quel popolo sarebbe non soltanto disgraziato, ma anche turlupinato. Comunque con me nessuno corre rischi: sono gaudente, inaffidabile e vigliacco come la maggior parte dei miei simili, titoli che non ritengo idonei a beatificazioni o statue equestri".

    Cantautore, poi scrittore, infine ispiratore di un film. Per spiegare l'allargamento del suo ruolo, lei ha spesso parlato di "casualità". Invece, nella coerenza della sua carriera, nulla sembra affidato al caso...

    "Eppure a me sembra che tutto ciò che ho fatto nella vita sia in larga parte da attribuire al caso, ad una lunga e imprevedibile teoria di incidenti della felicità o della sfortuna. È soltanto dopo che si tende a concettualizzare. È nel voler tirare a tutti i costi le somme di un'esistenza o di una semplice carriera che ci si imbarca nella sicurezza che sembra voler concedere ogni rapporto di casualità tra presunte scelte e accadimenti".

    Lei ha sempre scritto e cantato scegliendo di schierarsi dalla parte delle minoranze. Persone e popoli sconfitti, ma "anime salve", dunque intimamente vittoriose. Guardandosi attorno, quante "anime salve" crede di poter riconoscere?

    "Penso che qualsiasi periodo storico si voglia prendere in esame possano definirsi salvi quegli uomini che con tenacia abbiano voluto, come dice Coelho, e non solo lui, perseguire il fine dalla propria leggenda, il che vuol dire con parole più semplici non lasciarsi deviare dallo scopo di rassomigliare a se stessi o, se si preferisce, dallo scopo a cui ci sentiamo essere stati destinati. Così oggi come mille anni fa è sicuramente più salva l'anima di un individuo che ruba perché sente la necessità di farlo e non quella di chi, desiderando rubare, se ne astiene perché ha paura di finire in galera. Questo non è che un esempio e non vuole essere certo un incitamento al furto, ma semplicemente un invito a rappresentarsi chiaramente agli occhi degli altri anche e soprattutto con il limite dei propri impulsi e, non a caso, quello al saccheggio è proprio uno degli impulsi primari dell'uomo. Stiamo parlando di riscatto individuale, ma penso che anche nel sociale abbia sempre fatto più danni la menzogna del furto. Il problema è che pochi esseri umani si conoscono e quei pochi ne sono talmente spaventati o delusi da ritenere opportuno acquattarsi nella dissimulazione".

    Un destino ridicolo, il suo primo romanzo, verrà trasferito sullo schermo. Quanto incide su di lei questa nuova esperienza, e appunto potrà influire sulle sue scelte future?

    "Ecco che parliamo di scelte. Dori ed io vent'anni fa avevamo scelto di andare a fare gli agricoltori in Gallura. Io continuo a cantare e se Dori non lo fa più non è certo grazie ai proventi dell'agricoltura: Inshallah!",

    Il debutto come scrittore è da considerare un episodio estemporaneo nella sua carriera artistica o significa piuttosto che la forma-canzone non è più sufficiente a contenere la sua creatività?

    "È più probabile che sia la canzone a recalcitrare di fronte ad una creatività che sempre più chiede aiuto alla memoria e alla razionalità e sempre di meno riesce a servirsi della fantasia, dell'intuizione. Insomma, io preferirei continuare a scrivere canzoni, non so se loro siano dello stesso parere".

    Non la spaventa la prospettiva che un personaggio come "Bocca di rosa", così ben evocato nella sua canzone, e fantasticato liberamente da ciascun ascoltatore per decenni, trovi nel film una faccia in qualche modo "definitiva", sottraendo cioè al pubblico una quota di partecipazione emotiva?

    "Succede sempre ai personaggi dei romanzi che vengano interpretati da attori di assumere sembianze non troppo precise e talvolta discordanti dall'immaginazione del lettore. Mi ricordo di essere stato estremamente deluso dalle fattezze del Sandokan televisivo che mi venne spontaneo chiamare Zia Pina. In altri casi, pur avendo letto il romanzo a cui il film faceva riferimento, l'interprete mi ha meglio precisato caratteristiche soprattutto somatiche ma anche psicologiche del protagonista, che forse nel romanzo rimanevano nebulose per volontà stessa dell'autore. È il caso per esempio de Il nome della rosa, interpretato da Sean Connery".

    Che caratteristiche avrà la colonna sonora del film?

    "La colonna sonora è mia opinione che debba attingere soprattutto al repertorio dell'epoca, a quello vastissimo della musica latino-americana che le orchestrine suonavano nei night club intervallandole con sporadici boogie woogie. Un tema vorrei comunque svilupparlo. Spero di trovare attraverso un'idea musicale l'atmosfera che la Genova della fine degli anni '50 mi comunicava, anche se necessariamente si tratterà di una descrizione parziale e soprattutto personale a meno che le immagini non mi svelino qualcosa di nascosto, di non visto oppure dimenticato. D'altra parte il centro storico di Genova è tra i più grandi d'Europa ed è rimasto nel bene e nel male identico a se stesso dalla fine della guerra ad oggi".

    Per concludere: chi è oggi Fabrizio De André?

    "Un poveraccio come tanti altri che sta ancora chiedendosi a distanza di ormai dieci anni come ci si possa trovare in un unico orribile mattino ad essere il maschio adulto più anziano della famiglia".