• Anche se il paragone è davvero forzato, è successo a tutti di fare confronti con la morte di Lucio Battisti, se non altro per la vicinanza delle due tragedie. Ma sono più le differenze che le similitudini. Con De André nessuno sta tentando, e speriamo nessuno tenterà, quel megakaraoke che le canzoni di Battisti (quelle vecchie, le solite vecchie canzoni del Battisti anni Settanta e non altre) hanno inevitabilmente scatenato. Con De André è scomparso un pezzo della nostra coscienza collettiva, quella che molti, in assenza di nuovi maestri, hanno delegato ad alcuni cantautori d'eccezione, De André sopra ogni altro. E questo ispira un sofferto silenzio, più che le manifestazioni di piazza. Come quando morì Pasolini. Anche lì scomparve prematuramente un cantore dei deboli, un appassionato poeta della sofferenza, delle minoranze, delle vittime della ipocrisia borghese. Battisti ha scatenato un'orrida orgia di revival, De André incute il rispetto che si deve a un artista dal quale ci aspettavamo ancora non solo capolavori, ma canzoni capaci di raccontarci quello che siamo stati e stiamo diventando. Battisti doveva difendersi dal cinismo dei media, De André ha goduto del più assoluto rispetto. Tutti sapevamo che stava male, che era condannato, ma nessuno (o quasi) lo ha scritto. La sua riservatezza non sapeva di paranoia, era la legittima e signorile dignità di un uomo che amava il mondo, che era generoso con amici e colleghi, che al momento giusto parlava, si manifestava con parole ponderate a lungo. Nessuno parlava, ma tutti sapevano, senza tradire questa consegna, il che la dice lunga sull'amore e il rispetto che tutti nutrivano per lui. Il comportamento dei familiari è la splendida conseguenza di questa lezione di vita. Bellissima la frase di Dori Ghezzi: "abbiamo deciso per i funerali pubblici, perché Fabrizio era di tutti". Questo significa distinguere la civiltà, l'intelligenza, dalla paranoia.