• Da due anni Fabrizio De André, l'appartato, era tornato ai concerti e, così timido, sembrava imparare a chiacchierare col suo pubblico. Una tournée negli stadi nel 1996, poi nei teatri l'anno seguente, culminata nelle trionfali serate di dicembre al Carlo Felice di Genova, piene di amici, e quindi quella estiva del 1998, senza poter immaginare che sarebbe stata interrotta il 24 agosto a Saint Vincent per l'insorgere della malattia che ieri lo ha improvvisamente stroncato. Un lavoro faticoso. Località lontane da raggiungere talvolta al mattino per ripartire nella notte verso un'altra meta dopo la lunga serie di bis che non era facile interrompere. Ma affrontato con vigore. Come a Roma lo scorso luglio, quando lo accolsero nell'angolo strapieno di un centro sportivo e una lunga mancanza di energia elettrica fece slittare d'un'ora e mezzo l'inizio, e quindi anche la fine del concerto. Ma Fabrizio (chissà quanti ricordano che i primi 45 giri erano firmati solo col nome) dava lo stesso tutto, impegnandosi per oltre due ore con la sola pausa di un paio di brani lasciati al figlio Cristiano. Attorno c'era tutta la famiglia. Dori Ghezzi, innanzitutto, che era un'attentissima responsabile di palcoscenico, e oltre a Cristiano che suonava violino, chitarra, banjo e vari strumenti dell'area del Mediterraneo, anche la giovanissima figlia Luvi, impegnata come corista. Senza gli archi che furono così importanti fin dal primo disco, anche in queste ultime occasioni la musica era curata in maniera impeccabile con l'aiuto di solisti eccellenti. Le altre due voci del coro, spesso in sottofondo e talvolta in risposte solitarie, erano Danila Satragno, anche tastiere e fisarmonica, e Laura De Luca, anche flauto. Altri fiati erano affidati a Mauro Arcari, le chitarre a Michele Ascolese e Giorgio Cardini, il basso a Stefano Cerri, le percussioni a Rosario Jermano, la batteria a Ellade Bandini che alla fine era il più applaudito dal pubblico giovanile insieme con il tastierista Mark Harris, responsabile degli arrangiamenti. I tamburi e i fiati di origine jazzistica erano la novità più evidente degli ultimi concerti, soprattutto per la costruzione dei pezzi di diverse ed ammalianti origini etniche non europee, mentre il repertorio più antico talvolta era accompagnato solo dalla chitarra di Fabrizio, magari con rare "macchie di colore" disposte con elegante discrezione. La scelta dei brani formava una sorta di autobiografia. C'erano Creuza de mä seguita dalle coloratissime corali Jamin-a e Sidùn dallo stesso album, Prinçesa e Khorakhané da Anime salve, molti brani dallo storico La buona novella, ridotti a uno nell'ultimo tour per inserire anche la travolgente Zirichiltaggia, quindi i primi capolavori: La città vecchia e Bocca di rosa, Via del campo e La canzone di Marinella con Fiume Sand Mreek e Geordie e amatissimo bis Il pescatore. Per lasciarsi ricordare così, sognante all'ombra dell'ultimo sole.