• Sei anni di silenzio e dl lavoro. Qualche rarissima apparizione in pubblico. Una lunga stagione di isolamento, di creazione e di avventura. Ma ora, sul finire di questo 1996, Fabrizio De André come per un incanto ha rotto gli indugi: prima un disco, Anime salve, tante volte annunciato e tanto sospirato dai suoi fans. Poi anche un libro, Un destino ridicolo, scritto a quattro mani con un amico psicoanalista e scrittore, Alessandro Gennari. E non è finita qui: per il '97 è prevista anche la tournée che porterà De André in giro per l'Italia. Ma anche se cambia il ritmo della vita, il suo sguardo pacato, il suo modo di soppesare le parole restano invece quelli di sempre. E se gli domandi cosa c'è di speciale, di straordinario nel suo mondo ti risponde così:

    "Al di fuori dei miei sogni, del mio contatto con qualcosa che altri hanno voluto definire 'assoluto', vivo normalmente come credo la maggior parte dei miei simili. Delle mie canzoni non mi ritengo neppure totalmente responsabile: vengono con le idee, forse sono idee, forse qualche altra cosa che non so definire".

    Ma come nasce, come si diventa cantautore? Ad esempio, come nacque il De André cantautore?

    "La mia famiglia, dal lato paterno, è di origine francese: provenzale per la precisione. Mio padre, durante l'intero arco della vita, non perse mai i contatti con i luoghi d'origine. Ritornando dai suoi viaggi portava a me e a mio fratello Mauro qualche regalo, in particolare dischi di musica popolare. Fra questi, a 14 anni, scoprii le canzoni di Brassens. A scuola, al contrario di mio fratello, non primeggiavo. Così in famiglia avvertivo un clima di competizione, che mi metteva ansia".

    E la sua vocazione musicale scaturisce da quest'ansia?

    "In un certo senso sì. Lo specchio in cui riflettevo le mie angosce era rappresentato da mia madre. La quale nel 1954 pensò di regalarmi una chitarra e trovò anche un maestro colombiano che mi insegnasse a suonarla. Posso dire che i doni di mia madre e di mio padre si sommarono miracolosamente per indirizzarmi a quello che gli altri riconoscono come mio mestiere".

    La sua scelta di diventare cantante venne accettata senza problemi in famiglia?

    "All'uscita del mio primo disco mia madre si dimostrò subito entusiasta. Mio padre lo fu solo qualche anno dopo, quando, stando già fuori casa, avevo dimostrato di sopravvivere più che dignitosamente con un'attività che ai tempi veniva considerata più un espediente che un vero lavoro".

    Lei parla di suo padre con una sorta di venerazione. Quanto è stato importante per lei questo rapporto?

    "È una persona di cui parlo molto volentieri. Si laureò in Lettere a Torino studiando di notte e lavorando di giorno per pagarsi gli studi. Dove riuscisse a trovare il tempo per dormire non me lo ha mai raccontato. Tra i frammenti dei tanti ricordi che mi confidò quando negli Anni Settanta diventammo intimi amici, ce n'è uno che ricordo nitidamente. Quando le leggi razziali vennero estese anche in Italia, mio padre ricevette la visita di due gentiluomini che lo pregavano di stilare l'elenco degli studenti di origine ebraica che frequentavano la sua scuola a Sampierdarena. Mio padre li rassicurò. Poi il mattino seguente fece il giro delle classi raccomandando a tutti i ragazzi che avevano ascendenti ebrei di rifugiarsi da qualche parente in campagna fino alla fine della guerra. Un paio di giorni dopo i due compari si fecero di nuovo vivi, intimandogli di seguirli, perché il questore desiderava parlargli. Lui li tranquillizzò. Chiese solo di poter avvertire la segretaria. Naturalmente li ingannò e uscì da una porta secondaria. E i fascisti devono ancora trovarlo adesso...".

    Poi, dopo la guerra, entrò in politica...

    "Sì, divenne vicesindaco di Genova nelle file del partito repubblicano. I comunisti tappezzarono la città con un fotomontaggio in cui appariva vestito da prete. Per lui fu uno choc, ma confesso che io e mio fratello ci facemmo - naturalmente di nascosto - un sacco di risate. Poi si schierò con il presidenzialismo di Pacciardi e venne espulso dal partito. La motivazione suona ancora al mio orecchio come la nota di un corno stonato: 'indegnità politica'. A proposito, signor La Malfa junior, dal momento che avete riabilitato Pacciardi, perché non fate lo stesso per mio padre?".

    Torniamo a lei. Cosa resta del contestatore di un tempo?

    "La politica in questo momento e in questo Occidente che ha scelto il capitalismo non solo come sistema economico ma anche come teorema filosofico e morale, non esiste più. Chi guida il Paese, chi muove le leve dell'informazione è il grande capitale. I numeri sono diventati più importanti degli uomini. Chi paga le conseguenze più dure sono le minoranze politiche, religiose, culturali o anche solo comportamentali: proprio quelle da cui si potrebbero attingere nuove idee".

    Questo influisce anche sulla musica. Si scorge una certa stanchezza e una povertà di ispirazione...

    "La poesia e la canzone non hanno mai goduto di tangibili privilegi. Non è quindi una genetica mancanza di ispirazione quanto la scarsa considerazione da parte dei contemporanei ad ingenerare in molti artisti una profonda sfiducia nel proprio lavoro. Gli uomini sono tutti potenziali artisti, ma devono fare i conti con esigenze di vita che con il tempo si sono moltiplicate, trasformando semplici orpelli in insopprimibili necessità. Per gli artisti troppo ricchi vale il discorso contrario. E, nel nostro tempo, cantanti e autori ne sono un innegabile esempio: avendo troppo coltivato il gusto per il superfluo e dato eccessivo riscontro alla parte più rozza della loro esistenza hanno perduto, insieme al rispetto per la propria arte, il gusto e la capacità di esercitarla".

    Dopo Anime salve l'attende una faticosa e lunga tournée. Con che spirito l'affronterà?

    "Cercherò di impegnarmi al massimo per difendere il rispetto che devo al pubblico e che intendo mantenere anche nei confronti di me stesso, anche se le esibizioni non sono mai state al vertice dei miei desideri. Sarò confortato, oltreché dalla presenza di ottimi musicisti con cui ho una lunga consuetudine di lavoro e di amicizia, dall'intervento di entrambi i miei figli: Cristiano con il compito tutt'altro che facile di sostituire un grande polistrumentista come Mauro Pagani e Luvi, mia figlia, come corista. Cristiano non ha ormai bisogno di affettuosi encomi paterni, mentre Luvi penso rappresenterà una piacevole sorpresa per tutti".