Nell'ultimo brano del periodo Karim, De André affronta di nuovo il tema della precarietà dell'amore o, com'è stato scritto felicemente, "dell'incessante mutamento, dell'eterna ciclicità della natura come dei sentimenti e della fatale sfasatura - nei rapporti d'amore - fra i desideri propri e quelli dell'altro". *

Questa suggestiva sintesi, tuttavia, vale propriamente per le prime due strofe, che in effetti descrivono l'incostanza e la relativa contraddittorietà di un concreto (per quanto vagamente rappresentato) rapporto di copia, anche se in realtà lo stato d'incertezza - stando alle parole dell'io narrante - è attribuito esclusivamente alla donna. La terza strofa, per quanto inerente al tema, ha invece caratteristiche diverse.
Prima di procedere, vorrei precisare che l'interpretazione qui proposta si fonda sull'arbitraria, per quanto assai plausibile, identificazione fra "autore" e "narratore". Attenendosi però scrupolosamente ai dati linguistici oggettivi, occorre ammettere che le parole di questa canzone potrebbero anche appartenere a una voce femminile. Probabilmente l'ambiguità, o meglio l'indeterminatezza, è voluta: a significare che la volubilità del sentimento amoroso, a seconda dei casi, inerisce sia alla donna che all'uomo. L'aporia, dunque, è soltanto apparente.
Tutto ciò, come dicevo, riguarda le prime due strofe. L'ultima rappresenta invece la conclusione di un procedimento induttivo, cioè la generalizzazione di un caso particolare. Infatti, se l'"amore" invocato, che torna e che fugge, nelle strofe precedenti è un vocativo applicabile a una persona reale, secondo un atteggiamento diffuso e comune, nella strofa finale lo stesso termine si riferisce al sentimento personificato; un sentimento che De André stima fugace e provvisorio, destinato a esaurirsi nel volgere di una stagione:
Venuto dal sole o da spiagge gelate,
perduto in novembre o col vento d'estate.
Si evince così, in chiusura, che l'amore di cui si parla in questa canzone non è un amore, ma l'amore, o meglio il proprio desiderio, perché in fondo non si ama che il proprio desiderio. Ma il desiderio, indipendentemente dalla sua durata, e salvo casi straordinari, ha generalmente bisogno di cambiare "oggetto" per essere soddisfatto, come sanno bene gli innamorati che vanamente si lasciano e si riprendono, fino a riconoscere che "è impossibile amare una seconda volta ciò che non si ama veramente più". **

Il livello esclusivamente denotativo rende chiarissimo il messaggio dell'autore, e dunque non mi sembra il caso di chiosare il testo con osservazioni che potrebbero soltanto ottenere l'effetto di svilirne l'immediata e spontanea freschezza. Vorrei solo rilevare come a livello retorico l'unica annotazione utile, anche se ovvia, riguarda l'espressione "occhi di un altro colore", che è una metonimia, ed indica quindi non un improbabile mutamento effettivo dell'iride ma un differente atteggiarsi dello sguardo di fronte a un sentimento ormai cambiato (più banale, ma non per questo automaticamente sbagliato, mi sembra supporre che gli occhi hanno un colore diverso perché appertengono a un'altra donna...).

ASPETTI METRICI
Tre quartine di dodecasillabi (considerando una dialefe centrale, quantunque forzata, nell'ultimo verso), con schema a rima baciata (AABB) e ripresa, nel cantato, dei due versi finali di ciascuna strofa.
Al di là dello schema metrico, altre affinità fonematiche intensificano la musicalità del testo: ad esempio con la rima "colore / amore" sono in assonanza tonica "parole" e "sole" (peraltro rimanti fra loro); e un'altra assonanza tonica si registra nella strofa III fra "novembre" e "sempre".

NOTE
* [D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, Roma, 1999, p. 80]
** [F. de La Rochefoucauld, Massime, Rizzoli, Milano, 1992, p. 87]

[Giuseppe Cirigliano, Il "primo" De André, Emmelibri, Novara, 2004]