È forse la più lucida sintesi dell'idea tanto cara a Fabrizio sull'eterno ritorno dell'amore come delle stagioni, delle gioie e dei dolori, della luce e della sera. La canzone si gioca tutta su antinomie, tra la neve e il vento caldo, tra l'andare e il rimanere.
[Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 44]


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In Inghilterra, nel Settecento, era in voga un genere poetico chiamato "poesia stagionale". I poeti che la praticavano cantavano le stagioni dell'anno ed i riflessi delle loro atmosfere sull'animo umano. De André fa qualcosa di simile, scegliendo l'inverno come specchio di una condizione generale della vita dell'uomo e del mondo: l'inverno è l'immagine della natura che si annulla nel bianco della neve e nel nero degli alberi spogli, e in questo è simbolo della ciclica fine di tutte le cose.
[Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, Roma, 1999, p. 118]