• Il ritmo di questo semplice e delizioso walzer di Gino Marinuzzi Jr. ha accompagnato la nascita di De André, come raccontò lo stesso cantautore all'amico Cesare G. Romana:

    "Allora si usava partorire in casa e mio padre, con l’idea un po' strampalata di alleviare la sofferenza di mia madre, mise su quel disco mentre io stavo venendo al mondo". *

    Per quanto riguarda il testo, anche in questa canzone risuona la voce dell'amato Villon, che nel suo Testament, e precisamente nella Ballade a s'amye, canta:
    Ung temps viendra qui fera dessechier,
    Juanir, flestrir vostre espanye fleur;
    [...]
    Viel je serat; vous, laide sans couleur;
    Or beuvez fort, tant que ru peut courir.
    Cioè:
    Tempo verrà che farà disseccare,
    ingiallire, appassire il vostro schiuso fiore;
    [...]
    Vecchio sarò; voi, brutta ed incolore;
    Bevete adesso, finché l'acqua scorre.
    Ma ancor più evidente – come ha rilevato Liana Nissim in un breve e gradevolissimo saggio sulla presenza della figura femminile nell'opera di De André** – è l'influsso di un altro poeta francese: Pierre de Ronsard, che nel sonetto XXIV dei Sonnets pour Hélène (1578) invita la donna a cogliere finché è giovane le opportunità della vita:
    Quand vous serez bien vieille, au soir à la chandelle,
    Assise auprès du feu, devidant e filant,
    Direz, chantant mes vers, en vous esmerveillant,
    Ronsard me celebroit du temp que j'etois belle.
    Ovvero:
    Quando sarete vecchia, la sera, alla lucerna,
    seduta al focolare, dipanando e filando,
    direte stupefatta, i miei versi cantando,
    Ronsard mi celebrava al tempo in cui ero bella.
    E si potrebbe addirittura risalire alla lirica provenzale, e precisamente a quel Bernart de Ventadorn che forse ne è il massimo cantore. Scrive infatti Bernart, nella cosiddetta Canzone di primavera:
    Per Deu, domna, pauc esplecham d’amor!
    Vai s'en lo tems, e perdem lo melhor!
    Ovvero:
    Per Dio, donna, poco profittiamo d'amore!
    Fugge il tempo, e ne perdiamo la parte migliore.
    Non si tratta dunque di immagini o concetti originali: a partire dalla celebre lirica Simili alle foglie di Mimnermo***, nonché dal suggestivo quanto abusato carpe diem di oraziana memoria****, schiere di poeti hanno infatti cantato la precarietà della vita ed ancor più la fugacità della giovinezza, della bellezza e dell'amore. E miliardi di uomini ne hanno sentito intimamente, anche senza leggere un solo verso al riguardo, lo struggimento e la malinconia perché, come recitano i versi più toccanti e personali di questa canzone:
    Vola il tempo, lo sai che vola e va
    forse non ce ne accorgiamo
    ma più ancora del tempo che non ha età
    siamo noi che ce ne andiamo.
    De André riprende dunque un tema antico, che trova un riscontro filosofico di più ampio respiro nel remoto panta rei del grande Eraclito, invitando la donna a non lasciarsi sfuggire l'occasione di un "amor che non tornerà", perché il suo "rifiuto" sarà (o potrebbe essere) motivo di pianto e di rimpianto nei giorni della vecchiaia.
    Non posso però chiudere il discorso senza svolgere alcune rapide considerazioni sulla straordinaria immagine del "tempo che non ha età". Può anche darsi che si tratti di una pura e semplice espressione poetica, spontanea e immediata, ma essa implica e presuppone comunque (al di là delle reali intenzioni dell'autore) il problema del tempo quale si è configurato nella riflessione filosofica di sempre… Il lettore ricorderà che mi è già capitato di citare marginalmente, discutendo delle difficoltà relative all'individuazione di un concetto univoco di "poesia", la celebre conclusione di Agostino sull'ineffabilità del tempo. Ma prima di lui si erano preoccupati di risolvere l'enigma del tempo Platone e Aristotele, e, dopo di lui, altri grandi filosofi come Kant, Bergson, Husserl, Heidegger (per limitarci soltanto ad alcuni grandi nomi). Non vorrei certo sminuire le altissime meditazioni di pensatori di fronte ai quali le mia capacità intellettive sono risibili, ma non credo di dire un'assurdità se affermo che tali meditazioni, per quanto affascinanti e profonde, non hanno in sostanza risolto e dissolto il mistero. Sarebbe perciò assurdo o eccessivo attendersi una soluzione all'interno di una canzone: eppure De André ci dice qualcosa di molto importante sul tempo, e cioè che "noi" siamo collocati (Heidegger direbbe "gettati") nella dimensione indicibile della temporalità, ma il tempo stesso non è soggetto alle leggi della consunzione cui "noi", come tutte le cose, siamo destinati. Il tempo, che tutto consuma, non si annulla con ciò che in esso e per esso è destinato a svanire. Ciò avviene, forse, perché propriamente il tempo in sé non esiste neppure. Come ha detto Carlo Sini, "è perché c'è l'uomo che c'è il tempo, se no non ha senso parlare di tempo"*****. Il fatto che, mentre sto scrivendo queste righe, siano quasi le 17,30 del 3 agosto 2004, non ha però niente a che vedere col tempo: questo dato misura il tempo, ma non è il tempo. Dunque, noi "ce ne andiamo"; il tempo, qualunque cosa esso sia, rimane per tutti coloro che verranno.

    Sul piano retorico si riscontra la presenza di semplici metafore. Per cominciare dall'ultima, la "primavera" (che può sussistere anche col suo semplice valore referenziale) allude ovviamente alla giovinezza. Quella del primo verso ("Quando carica d'anni e di castità") indica altrettanto chiaramente la vecchiaia e la rinuncia alla gioia sessuale, ma dall'aggettivo impiegato promana la gravità, il peso insostenibile, tanto dell'età ormai avanzata quanto della protratta e deliberata illibatezza. Il v. 17 ("Vola il tempo, lo sai che vola e va") segnala l'inesorabile fluire del tempo, rafforzandone però la percezione soggettiva ed alludendo in tal modo ad un tempo interiore, contrapposto a (e più fugace di) quello puramente cronologico [Viene in mente Bergson, ma si tratta ovviamente di un comune sentire, pre-filosofico]. Il v. 20 ("siamo noi che ce ne andiamo") è un'espressione eufemistica per indicare la morte.

    ASPETTI METRICI
    Tre strofe di otto versi, per lo più irregolari.
    Gli unici versi canonici immediatamente riconoscibili anche a livello ritmico sono due endecasillabi (vv. 17, 21), alcuni ottonari (vv. 2, 4, 18, 20, 22) e i due decasillabi che chiudono, rispettivamente, la prima e la terza strofa.
    Più ricco il gioco delle rime. Nelle strofe I e III lo schema è a rima alternata (ABABCDCD). Nella II, invece, rimano tra loro i versi pari mentre i dispari restano irrelati.

    NOTE
    * [In C. G. Romana: Amico fragile, 4. Sperling & Kupfer, Milano, 1999, pp. 43-44]
    ** [L. Nissim, Il rispettoso bardo delle donne, in Fabrizio De André. Accordi eretici, a cura di R. Giuffrida e B. Bigoni, Euresis Edizioni, Milano, 1997, pp. 131-132]
    *** Riporto la lirica di Mimnermo nella traduzione di Salvatore Quasimodo: "Al modo delle foglie che nel tempo / fiorito della primavera nascono / e ai raggi del sole rapide crescono, / noi simili a quelle per un attimo / abbiamo diletto del fiore dell’età / ignorando il bene e il male per dono dei Celesti. / Ma le nere dee ci stanno sempre al fianco, / l’una con il segno della grave vecchiezza / e l’altra della morte. Fulmineo / precipita il frutto di giovinezza, / come la luce d’un giorno sulla terra. / E quando il suo tempo è dileguato / è meglio la morte che la vita".
    **** Citata ovunque e da chiunque, o quasi, questa celebre espressione si trova nell'ultimo verso dell'ode A Leucòne (I, 11).
    ***** [C. Sini, Il tempo delle culture, le culture del tempo, in AA.VV., Systema naturae, vol. 2, International Institute for the Study of Man, Cortona, 1995, p. 62]

    [Giuseppe Cirigliano, Il "primo" De André, Emmelibri, Novara, 2004]


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    Nel Valzer per un amore l'immagine della passione che svanisce col tempo e la giovinezza è un monito lanciato dall'uomo alla donna perché non aspetti: come già aveva fatto il poeta francese del Quattrocento François Villon nel Testamento, nella Ballata all'amica: "Tempo verrà che appassire, ingiallire, / seccar farà il vostro fiore dischiuso. / Vecchio sarò; voi, brutta, scolorita; / or bevete, finché il rivo può scorrere".
    [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, Roma, 1999, p. 81]


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    Non bastano a De André le parole che egli stesso sa inventare per cantare l'amore incerto, per cantare la donna amante: egli unisce talvolta le sue parole a quelle dei poeti e canta con loro l'amore che fugge, il tempo che fugge. Ed eccolo impegnato a riscrivere Pierre de Ronsard: chi infatti non riconosce nel Valzer per un amore il celebre sonetto Quand vous serez bien vieille? Canta De André:
    Quando carica d'anni e di castità
    tra i ricordi e le illusioni
    del bel tempo che non ritornerà
    troverai le mie canzoni
    nel sentirle ti meraviglierai
    che qualcuno abbia lodato
    le bellezze che allor più non avrai
    e che avesti nel tempo passato.
    E canta Ronsard:
    Quand vous serez bien vieille, au soir à la chandelle,
    Assise aupres du feu, devidant e filant,
    Direz, chantant mes vers, en vous esmerveillant,
    Ronsard me celebroit du temps que j'estois belle. *
    Il sentimento della vita, apprezzata nei suoi valori precari della giovinezza, della bellezza e dell'amore, induce De André e induce Ronsard all'invito a godere dell'effimera primavera, delle effimere rose:
    ma tu vieni, non aspettare ancor,
    vieni adesso finché è primavera

    vivez si m'en croyez, n'attendez à demain:
    cueillez dés aujourd'hui les roses de la vie. **
    NOTE
    * P. de Ronsard, sonetto XXIV del libro dei Sonets pour Helene (1578). Ecco la traduzione letterale dei versi citati: "Quando sarete vecchia, seduta accanto al fuoco, / a parlare e filare al lume di candela, / direte, cantando i miei versi e meravigliandovi, / Ronsard mi lodava nel tempo in cui ero bella".
    ** Traduzione letterale: "Vivete, se volete darmi ascolto, non aspettate domani: / cogliete fin da adesso le rose della vita".
    [Liana Nissim, in Fabrizio De André. Accordi eretici, pp. 131-132]