• Credo che ci sia bisogno di umiltà in qualsiasi mestiere si faccia nella vita.
    [In Volammo davvero (a cura di Elena Valdini), RCS Libri, Milano 2007, p. 97]

    Credo di essere un tipo sincero, che dice quello che pensa e che non cede ai compromessi. In questo sono avvantaggiato dal fatto di non dover dipendere dalle canzoni per vivere, e quindi di poter scrivere e cantare quelo che mi pare e piace.
    [in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000, p. 120]

    Croce diceva che fino ai diciotto anni tutti scrivono poesie e che da questa età in poi ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che in quanto forma d'arte mista mi consente delle scappatoie non indifferenti, là dove manca l'esuberanza creativa.
    [in D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, terza edizione: 1999, pp. 59]

    Di solito le certezze si chiedono ai filosofi e ai politici, forse più ai filosofi, però non le si chiede sicuramente a un artista. Invece mi pare che i ragazzi cerchino in noi delle certezze e questo è pericoloso, perché noi siamo pieni di dubbi, perché il nostro mestiere è quello di essere pieni di dubbi.
    [in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000, p. 63]

    È molto difficile che nel rieseguire una canzone riesca a provare il sentimento che l'ha ispirata.
    [in A. Franchini, Uomini e donne di Fabrizio De André, Fratelli Frilli Editori, Genova 2000, p. 16]

    Essendo moralista, credo che il fine della canzone sia proprio di insegnare, di indicare strade e modi di comportamento da seguire. La morale che puoi trovare in quesi tutte le mie canzoni è l'unica cosa che mi fa credere a una certa serietà di questo mestiere. Ma quando i giovani ai quali ti indirizzi diventano troppo più giovani di te, non sei più sicuro di non essere un vecchio trombone.
    [Fabrizio De André, Sotto le ciglia chissà, Mondadori (Oscar Saggi), Milano 2018, p. 190]

    Ho avuto modo di parlare di arti maggiori e arti minori (che è una stronzata). Uno che sceglie la canzone sceglie un'arte minore: non è vero niente. Esistono artisti maggiori e artisti minori, non arti maggiori o minori. Altrimenti ci stiamo a paragonare all'ultimo imbrattamuri che ha scelto la pittura considerata arte maggiore; oppure a Bob Dylan che ha scelto un'arte minore.
    [in D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, terza edizione: 1999, pp. 71]

    Ho sempre considerato la canzone un'opera dell'ingegno umano che va sicuramente più ascoltata che vista.
    [in Cesare G. Romana, Amico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, Milano 19993, p. 71]

    Il canto ha ancora oggi, in alcune etnie cosiddette primitive, il compito fondamentale di liberare dalla sofferenza, di alleviare il dolore, di esorcizzare il male.
    [Fabrizio De André, Sotto le ciglia chissà, Mondadori (Oscar Saggi), Milano 2018, p. 12]

    Io credo che senza umiltà non si possa intraprendere nessun tipo di lavoro.
    [durante il concerto al Teatro Smeraldo di Milano, 19 dicembre 1992]

    L'artista filtra le emozioni per ridurle in slogan poetici. L'uomo le vive.
    [Fabrizio De André, Sotto le ciglia chissà, Mondadori (Oscar Saggi), Milano 2018, p. 45]

    L'atto creativo è un momento di grande emozione, secondo me. Infatti ti coinvolge anche fisicamente. Mi è successo, con un po' di vergogna da parte mia, di arrivare addirittura alla lacrima quando mi accorgevo di aver fatto qualcosa di convincente, di riuscito, attraverso un'intuizione, a scoprire magari una piccolissima verità.
    [in D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, terza edizione: 1999, pp. 34]

    L'uso della rima o dell'assonanza, per quanto mi riguarda, nasce dal bisogno spontaneo di creare già nei versi un'unità armonica, un effetto sonoro autonomo e indipendente dalla melodia cantata. Ciò è particolarmente utile nel caso in cui di una canzone si voglia privilegiare il contenuto: le parole le cui sillabe siano assonanti o rimate contribuiscono a far rimanere i versi più impressi. Anche da questo punto di vista non faccio che seguire la tradizione dei cantastorie.
    [in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000, p. 151]

    La canzone è un testo cantato, poi la musica può essere più o meno bella, tanto meglio se è bella, ma deve accordarsi soprattutto con il testo. Quando non succede che la cosa miracolosamente nasca insieme (a me è successo in tre o quattro occasioni), cioè che il testo nasca insieme alla musica, quindi nasca già cantato, quando non succede questo in ogni caso è meglio far precedere la musica al testo, perché il testo è più malleabile, più duttile di quanto probabilmente non lo sia... cioè, musicare un testo in metrica imprecisa o in metrica difficile, con un ascelpiadeo, un giambo e un trocheo, risulta assai più difficoltoso che non adattare un testo ad una musica. Ma questo è un problema tecnico. In tutti i casi il testo non dico che debba prevalere perché deve far parte della canzone, rimane però il fatto che la canzone è un testo cantato. Su questo non ci sono dubbi.
    [in D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, terza edizione: 1999, pp. 59]

    Le canzoni che scrivo mi appartengono solo in parte. Le ho scritte così, come mi hanno aggredito. Per incontenibile affiorare di memoria.
    [Fabrizio De André, Sotto le ciglia chissà, Mondadori (Oscar Saggi), Milano 2018, p. 185]

    Non chiedete a uno scrittore di canzoni che cosa ha pensato, che cosa ha sentito prima dell'opera: è proprio per non volervelo dire che si è messo a scrivere. La risposta è nell'opera.
    [Fabrizio De André, Sotto le ciglia chissà, Mondadori (Oscar Saggi), Milano 2018, p. 7]

    Non sono un musicista perché altrimenti mi sarei limitato a fare della musica, non sono un poeta perché mi sarei limitato a fare della poesia, cioè a scrivere; sono un cantautore, quindi faccio un lavoro composito che ha bisogno, per arrivare a un tentativo compiuto di espressione, di ambedue le componenti, quindi sia delle parole che della musica. Do più valore alle parole perché mi ci trovo meglio, mi trovo meglio a scrivere che a comporre. Sono più paroliere che musicista. Come ripeto, la musica per me continua a essere un tram col quale portare in giro le parole.
    [In Volammo davvero (a cura di Elena Valdini), RCS Libri, Milano 2007, p. 131]

    Per conoscere un poeta basta leggerlo. Anzi, forse limitandoti a leggerlo finisci per conoscerlo nel modo migliore, perché ti esimi e soprattutto lo esenti dalla ginnastica delle moine e dei complimenti, dal desiderio troppo umano di toglierti curiosità superflue e ridurlo a personaggio. Del resto, un artista dà il meglio di sé con la sua arte.
    [in A. Gennari, Doppia sfida per chitarra e voce, "Panorama", 8 febbraio 1996]

    Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.
    [Fabrizio De André, Sotto le ciglia chissà, Mondadori (Oscar Saggi), Milano 2018, p. 234]

    Questo insistere nella mania occidentale, aristotelica, di distinguere il bello dal brutto, forse non è esattamente l'aspirazione profonda dell'anima umana. Sono abbastanza contrario alle vittorie, e i premi sono sostanzialmente una vittoria, cui corrispondono una o molteplici sconfitte. Sono anche molto preoccupato dell'invidia, diffusa in tutti noi, purtroppo.
    [in C. Moretti, Parla De André premiato da pubblico e critica, "Musica! Rock & altro" - supplemento del quotidiano "la Repubblica", 7 maggio 1997]

    Un'opera d'arte non può mai diventare un mezzo per raggiungere uno scopo diverso da quello della bellezza.
    [Fabrizio De André, Sotto le ciglia chissà, Mondadori (Oscar Saggi), Milano 2018, p. 234]