• A volte ci lascia perplessi la sensazione "di avere già vissuto quel momento". I partigiani dell’eterno ritorno ci giurano che è così, e cercano un rincalzo alla loro fede in quei perplessi stati.
    Storia dell’eternità, 1936.

    Avere insegnato ciò che ignoro a chi ne saprà meno di me.
    La cifra, 1981, "La fama".

    Certo, non v'è cosa nell'universo che non serva da stimolo al pensiero.
    Altre inquisizioni, 1952, "Pascal".

    Che cosa morrà con me quand'io morrò, quale forma patetica o effimera perderà il mondo?
    L'artefice, 1960, "Il testimone".

    Che cosa non darei per il ricordo
    Di te che m'avessi detto che mi amavi,
    E di non aver dormito fino all'aurora,
    Straziato e felice...
    Elegia del ricordo impossibile, 1976.

    Ci sono tenerezze che da nessuna morte sono sminuite:
    le intime, indecifrabili notizie che ci racconta la musica,
    la patria che accondiscende a piante di fico e cisterna,
    la gravitazione dell'amore, che ci giustifica.
    A Francisco Lòpez Merino, 1929.

    Dove sarà quella vita che avrei
    Potuto vivere e non vissi?
    L'oro delle tigri, 1972, "Ciò che è passato".

    Dove saranno?, chiede l'elegia
    Di quelli che non sono, come se
    Vi fosse una regione dove l'Ieri
    Potesse essere Oggi, Ancora e Sempre...
    Il tango, 1964.

    È poco ciò che intendo della morte.
    L'artefice, 1960, "In memoriam A.R.".

    Essere immortale è cosa da poco: tranne l'uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte. La cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali. Ho osservato che, nonostante le religioni, tale convinzione è rarissima.
    L'Aleph, 1949.

    Essere una cosa è, inesorabilmente, non essere tutte le altre cose.
    Altre inquisizioni, 1952, "Da qualcuno a nessuno".

    Felice colui che non insiste nell'avere ragione, perché nessuno ha ragione o tutti l'hanno.
    Elogio dell'ombra, 1969, "Frammenti di un vangelo apocrifo".

    Il caso o il destino, entrambi nomi
    di una segreta cosa che ignoriamo.
    La cifra, 1981, "Yesterday".

    Il concetto di arte impegnata è una ingenuità, perché nessuno può veramente sapere quello che sta facendo.
    La rosa profonda, 1975, "Prologo".

    Il destino si compiace di ripetersi, e ciò che accade una volta torna spesso ad accadere.
    Evaristo Carriego, 1930.

    Il dubbio è uno dei nomi dell'intelligenza.
    Prologhi, 1975, "William Shakespeare: Macbeth".

    Il morto non è un morto: è la morte.
    Fervore di Buenos Aires, 1923, "Rimorso per qualsiasi morte".

    Il nostro vivere è una serie di adattamenti cioè un'educazione dell'oblio.
    Discussione, 1932, "La postulazione della realtà".

    Il presente non è altra cosa che una particella fugace del passato.
    Storia della notte, 1977, "G.A. Burger".

    Il tempo, se possiamo intuire questa identità, è un'illusione: la non differenza e la non separabilità tra un momento del suo apparente ieri e un altro del suo apparente oggi, bastano per disintegrarlo.
    Storia dell’eternità, 1936.

    Io non parlo di vendette né di perdoni; la dimenticanza è l'unica vendetta e l'unico perdono.
    Elogio dell'ombra, 1969, "Frammenti di un vangelo apocrifo".

    Io so che non sono morto.
    L'oro delle tigri, 1972, "Il palazzo".

    Io so (tutti lo sanno) che la sconfitta ha una dignità che la strepitosa vittoria non merita.
    La cifra, 1981, "Appunto per un racconto fantastico".

    L'abitudine ci aiuta a sentirci immortali.
    La cifra, 1981, "Poema".

    L'infanzia è timida.
    Dedica "A Leonor Acevedo de Borges", premessa a Tutte le opere, Mondadori, Milano 1985, p. 5.

    La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini. Questi commuovono per la loro condizione di fantasmi; ogni atto che compiono può esser l'ultimo; non c'è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto d'un sogno.
    L'Aleph, 1949.

    La morte – tempesta oscura e immobile – disperderà le mie ore.
    Luna di fronte, 1925, "Per una strada dell'ovest".

    La poesia non è meno misteriosa degli altri elementi dell'universo.
    Elogio dell'ombra, 1969.

    La sventura di oggi non è più reale della felicità passata.
    Altre inquisizioni, 1952, "A".

    La vecchiaia, aurora della morte.
    La cifra, 1981, "Quello".

    La verità è che nessuno può ferirci, se non quelli che amiamo.
    Elogio dell'ombra, 1969.

    Le cose che capitano ad un uomo capitano a tutti.
    Dedica "A Leonor Acevedo de Borges", premessa a Tutte le opere, Mondadori, Milano 1985, p. 5).

    Le sere sono uguali a ogni altra sera.
    L'altro, lo stesso, 1964, "Spinoza".

    Mi conosco affatto indegno di opinare in materia politica, ma forse mi sarà consentito aggiungere che diffido della democrazia, questo curioso abuso della statistica.
    Prologo a La moneta di ferro, 1976.

    Mi è capitato più volte di pensare che qualunque vita umana, per intricata e complessa che sia, consista in realtà di un solo attimo: l'attimo in cui l'uomo sa per sempre chi è.
    Evaristo Carriego, 1930.

    Morire è essere nati.
    Per le sei corde, 1965, "Milonga di Manuel Flores".

    Morire è un'abitudine
    Che sa avere la gente.
    Per le sei corde, 1965, "Milonga di Manuel Flores".

    Morirono altri, ma ciò accadde nel passato,
    che è la stagione (nessuno lo ignora) più propizia alla morte.
    È possibile che io, suddito di Yaqub Almansur,
    muoia come dovettero morire le rose e Aristotele?
    L'artefice, 1960, "Quartina".

    Nel mondo non possono esservi due cose uguali.
    L'artefice, 1960, "Parabola del palazzo".

    Nel profondo del sonno stanno i sogni.
    Efialte, 1975.

    Nessuno può ferirci, se non quelli che amiamo.
    Elogio dell'ombra, 1969, "Prologo".

    Niente c'è come la morte
    per migliorare la gente.
    Per le sei corde, 1965, "Dove se ne saranno andati?".

    Non c'è uomo che non sia, in ogni momento, ciò ch'è stato e ciò che sarà.
    Altre inquisizioni, 1952, "Su Oscar Wilde".

    Non giudicare l'uomo dai suoi frutti né l'uomo dalle sue opere: essi possono essere peggiori o migliori di quelli.
    Elogio dell'ombra, 1969, "Frammenti di un vangelo apocrifo".

    Non esagerare il culto della verità; non c'è uomo che alla fine d'una giornata non abbia mentito, a ragione, molte volte.
    Elogio dell'ombra, 1969, "Frammenti di un vangelo apocrifo".

    Non posso lamentare la perdita di un amore o di un'amicizia senza meditare che si perde solamente ciò che in realtà non si è posseduto.
    Altre inquisizioni, 1952, "A".

    Penso che nulla può essere comunicato attraverso l’arte della scrittura.
    L'Aleph, 1949, "La casa di Asterione".

    Ripugna alla gente vedere un vecchio, un malato o un morto, e tuttavia è sottomessa alla morte, alle malattie e alla vecchiaia.
    Altre inquisizioni, 1952, "Forme di una leggenda".

    Si stenta a immaginare il mondo senza gli epigrammi di Wilde.
    Altre inquisizioni, 1952, "Su Oscar Wilde".

    Un solo uomo è nato, un solo uomo è morto sulla terra. Affermare il contrario è pura statistica, è un'addizione impossibile.
    L'oro delle tigri, 1972, "Tu".