• NOTA
    Per quanto riguarda lo Zibaldone, i numeri fra parentesi quadre si riferiscono alle pagine del manoscritto leopardiano.



    Al levarsi da letto, parte pel vigore riacquistato col riposo, parte per la dimenticanza dei mali avuta nel sonno, parte per una certa rinnuovazione della vita, cagionata da quella specie d'interrompimento datole, tu ti senti ordinariamente o più lieto o meno tristo, di quando ti coricasti. Nella mia vita infelicissima l'ora meno trista è quella del levarmi. Le speranze e le illusioni ripigliano per pochi momenti un certo corpo, ed io chiamo quell'ora la gioventù della giornata per questa similitudine che ha colla gioventù della vita. E anche riguardo alla stessa giornata, si suol sempre sperare di passarla meglio della precedente. E la sera che ti trovi fallito di questa speranza e disingannato, si può chiamare la vecchiezza della giornata. (4 Luglio 1820) [151-152]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Anche il dolore che nasce dalla noia e dal sentimento della vanità delle cose è più tollerabile assai che la stessa noia. [72]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Anche nell'amore, ch'è lo stato dell'anima il più ricco di piaceri e d'illusioni, la miglior parte, la più dritta strada al piacere, e a un'ombra di felicità, è il dolore (27 Giugno 1820). [142]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Certamente non c'è vita senza amor di se stesso, e amor della vita. [180]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Che vuol dire che gl'ignoranti, in luogo di esser più infelici, sono evidentemente i più felici? [387]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Chi comunica poco cogli uomini, rade volte è misantropo. Veri misantropi non si trovano nella solitudine, ma nel mondo: perché l'uso pratico della vita, e non già la filosofia, è quello che fa odiale gli uomini. E se uno che sia tale si ritira dalla società, perde nel ritiro la misantropia.
    Pensieri (LXXXIX), Adelphi, Milano 1982.

    Chi sa pascersi delle piccole falicità, raccogliere nell'animo suo i piccoli piaceri che ha provato nella giornata, dar peso presso sé medesimo alle piccole fortune, facilmente passa la vita, e se non è felice, può crederlo e non accorgersi del contrario. Ma chi non dà mente se non alle grandi felicità (...) vivrà sempre cruccioso, ansioso, senza godimenti, e invece della gran felicità ritroverà una continua infelicità. Massimamente che, conseguito ancora quel grande scopo, lo troverà molto inferiore alla speranza, come sempre accade nelle cose lungamente desiderate e cercate. (6 Novembre 1820) [303]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Chi sente e vuol esprimere i moti del suo cuore ec. l'ultima cosa a cui arriva è la semplicità, e la naturalezza, e la prima cosa è l'artifizio e l'affettazione, e chi non ha studiato e non ha letto, e insomma come costoro dicono è immune dai pregiudizi dell'arte, è innocente ec. non iscrive mica con semplicità, ma tutto all'opposto: e lo vediamo nei fanciulli che per le prime volte si mettono a comporre: non iscrivono mica con semplicità e naturalezza, che se questo fosse, i migliori scritti sarebbero quelli dei fanciulli. [20]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Ci sono tre maniere di vedere le cose. L'una e la più beata, di quelli per li quali esse hanno anche più spirito che corpo, e voglio dire degli uomini di genio e sensibili, ai quali non c'è cosa che non parli all'immaginazione o al cuore, e che trovano da per tutto materia di sublimarsi e di sentire e di vivere, e un rapporto continuo delle cose coll'infinito e coll'uomo, e una vita indefinibile e vaga, in somma di quelli che considerano il tutto sotto un aspetto infinito e in relazione cogli slanci dell'animo loro. L'altra e la più comune di quelli per cui le cose hanno corpo senza aver molto spirito, e voglio dire degli uomini volgari (volgari sotto il rapporto dell'immaginazione e del sentimento, e non riguardo a tutto il resto, per esempio alla scienza, alla politica ec. ec.) che senza essere sublimati da nessuna cosa, trovano però in tutte una realtà, e le considerano quali elle appariscono, e sono stimate comunemente e in natura, e secondo questo si regolano. Questa è la maniera naturale, e la più durevolmente felice, che senza condurre a nessuna grandezza, e senza dar gran risalto al sentimento dell'esistenza, riempie però la vita, di una pienezza non sentita, ma sempre uguale e uniforme, e conduce per una strada piana e in relazione colle circostanze dalla nascita al sepolcro. La terza e la sola funesta e miserabile, e tuttavia la sola vera, di quelli per cui le cose non hanno nè spirito nè corpo, ma son tutte vane e senza sostanza, e voglio dire dei filosofi e degli uomini per lo più di sentimento che dopo l'esperienza e la lugubre cognizione delle cose, dalla prima maniera passano di salto a quest'ultima senza toccare la seconda, e trovano e sentono da per tutto il nulla e il vuoto, e la vanità delle cure umane e dei desideri e delle speranze e di tutte le illusioni inerenti alla vita per modo che senza esse non è vita. [102-103]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Come l'individuo per natura è buono e felice, così la moltitudine (e l'individuo in essa) è malvagia e infelice. [112]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Come nella speranza o in qualunque altra disposizione dell'animo nostro, il bene lontano è sempre maggiore del presente, così per l'ordinario nel timore è più terribile il male. [105]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Conoscere, amare, operare, ecco tutto l'uomo. [379]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Conseguito un piacere, l'anima non cessa di desiderare il piacere, come non cessa mai di pensare, perchè il pensiero e il desiderio del piacere sono due operazioni egualmente continue e inseparabili dalla sua esistenza. (12-23 Luglio 1820). [183]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Conviene che il filosofo si ponga bene in mente che la vita, per se stessa non importa nulla, ma il passarla bene e felicemente, o se non altro, anzi soprattutto, il non passarla male e infelicemente. E perciò non riponga l'utilità in quelle cose che semplicemente aiutano, conservano ec. la vita, considerata quasi fosse un bene in se stessa, ma in quelle che la rendono un bene, cioè felice da vero. Ma felice da vero non la rende altro che il falso, ed ogni felicità fondata sul vero è falsissima, o vogliamo dire, ogni felicità si trova falsa e vana quando l'oggetto suo giunge ad esser conosciuto nella sua realtà e verità. [351-352]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Cosa odiosissima è il parlar molto di se. Ma i giovani, quanto sono più di natura viva, e di spirito superiore alla mediocrità, meno sanno guardarsi da questo vizio: e parlano delle cose proprie con un candore estremo, credendo per certissimo che chi ode, le curi poco meno che le curano essi. E così facendo, sono perdonati; non tanto a contemplazione dell'inesperienza, ma perché è manifesto il bisogno che hanno d'aiuto, di consiglio e di qualche sfogo di parole alle passioni onde è tempestosa la loro età. Ed anco pare riconosciuto generalmente che ai giovani si appartenga una specie di diritto di volere il mondo occupato nei pensieri loro.
    Pensieri (XL), Adelphi, Milano 1982.

    Dalla mia teoria del piacere séguita che l'uomo, desiderando sempre un piacere infinito e che lo soddisfi intieramente, desideri sempre e speri una cosa ch'egli non può concepire. E cosí è infatti. Tutti i desiderii e le speranze umane, anche dei beni, ossia piaceri i piú determinati, ed anche già sperimentati altre volte, non sono mai assolutamente chiari e distinti e precisi, ma contengono sempre un'idea confusa, si riferiscono sempre ad un oggetto che si concepisce confusamente. E perciò, e non per altro, la speranza è meglio del piacere, contenendo quell'indefinito, che la realtà non può contenere. E ciò può vedersi massimamente nell'amore, dove la passione e la vita e l'azione dell'anima essendo piú viva che mai, il desiderio e la speranza sono altresí piú vive e sensibili e risaltano piú che nelle altre circostanze. Ora osservate che per l'una parte il desiderio e la speranza del vero amante è piú confusa, vaga, indefinita che quella di chi è animato da qualunque altra passione; ed è carattere (già da molti notato) dell'amore, il presentare all'uomo un'idea infinita (cioè piú sensibilmente indefinita di quella che presentano le altre passioni), e ch'egli può concepir meno di qualunque altra idea ec. Per l'altra parte notate, che, appunto a cagione di questo questo infinito, inseparabile dal vero amore, questa passione, in mezzo alle sue tempeste, è la sorgente de' maggiori piaceri che l'uomo possa provare (6 maggio 1821). [1017-1018]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Diciamo male che il tal desiderio è stato soddisfatto. Non si soddisfanno i desideri, conseguito che abbiamo l'oggetto, ma si spengono, cioè si perdono ed abbandonano per la certezza acquistata di non poterli mai soddisfare. E tutto quello che si guadagna conseguito l'oggetto desiderato, è di conoscerlo intieramente. (14 Agosto 1820). [210]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Difficoltà d'imitare: più facile il far più che quel medesimo. [8]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    È curioso vedere che quasi tutti gli uomini che vogliono molto, hanno sempre le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore.
    Pensieri (CX), Adelphi, Milano 1982.

    È manifesto che all'aspetto del male noi cerchiamo d'ingannarci e di credere che non sia tale, o minore che non è. [43]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    E non per altra cagione sono odiose e riputate contrarie alla buona creanza le lodi di se medesimo, se non perché offendono l'amor proprio di chi le ascolta. E perciò la superbia è vizio nella società, e perciò l'umiltà è cara e stimata virtú (7 aprile 1821). [926]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    È più dolce il guarir dai mali, che il vivere senza mali. [175]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Gli anni della fanciullezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della sua vita; come, nella memoria delle nazioni, i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime.
    Pensieri (CII), Adelphi, Milano 1982.

    Gli uomini si vergognano, non delle ingiurie che fanno, ma di quelle che ricevono. Però ad ottenere che gl'ingiuratori si vergognino, non v'è altra via che di rendere loro il cambio.
    Pensieri (LVII), Adelphi, Milano 1982.

    Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l'inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un'anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo scoraggiamento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione, raccendono l'entusiasmo e, non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduto. [259-260]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto. [527]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il desiderio che ha l'uomo di amare è infinito perché l'uomo si ama di un amore senza limiti. [388]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il desiderio del piacere essendo materialmente infinito in estensione (non solamente nell'uomo ma in ogni vivente), la pena dell'uomo nel provare un piacere è di veder subito i limiti della sua estensione, i quali l'uomo non molto profondo gli scorge solamente da presso. [169]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il desiderio del piacere non ha limiti per durata, perchè non finisce se non coll'esistenza, e quindi l'uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione perch'è sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio del piacere. Ora una tal natura porta con se materialmente l'infinità, perchè ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere la cui estensione è indeterminata, e l'anima amando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l'estensione immaginabile di questo sentimento, senza poterla neppur concepire, perchè non si può formare idea chiara di una cosa ch'ella desidera illimitata. [165]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il dolore o la disperazione che nasce dalle grandi passioni e illusioni o da qualunque sventura della vita, non è paragonabile all'affogamento che nasce dalla certezza e dal sentimento vivo della nullità di tutte le cose, e della impossibilità di esser felice a questo mondo, e dalla immensità del vuoto che si sente nell'anima. [140]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il fatto è che quando l'anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non un tal piacere. [166]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il giovane che entra nel mondo vuol diventarci qualche cosa. Questo è desiderio comune e certo di tutti. [130]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il nascere istesso dell'uomo cioè il cominciamento della sua vita, è un pericolo della vita, come apparisce dal gran numero di coloro per cui la nascita è cagione di morte, non reggendo al travaglio e ai disagi che il bambino prova nel nascere. [68]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il passato, a ricordarsene, è piú bello del presente, come il futuro a immaginarlo. Perchè? Perché il solo presente ha la sua vera forma nella concezione umana; è la sola immagine del vero; e tutto il vero è brutto (18 agosto 1821). [1521-1522]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. Perciò non è maraviglia 1. che la speranza sia sempre maggior del bene, 2. che la felicità umana non possa consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni. [167]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il piacere non è mai né passato né presente, ma sempre e solamente futuro. E la ragione è che non può esserci piacer vero per un essere vivente se non è infinito (e infinito in ciascuno istante, cioè attualmente); e infinito non può mai essere, benché confusamente ciascuno creda che può essere e sarà, o che anche non essendo infinito sarà piacere; e questa credenza (naturalissima, essenziale ai viventi e voluta dalla natura), è quello che si chiama piacere, è tutto il piacer possibile. Quindi il piacer possibile non è altro che futuro o relativo al futuro, e non consiste che nel futuro (20 gennaio 1821).[535]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il più certo modo di celare agli altri i confini del proprio sapere, è di non trapassarli.
    Giacomo Leopardi, Pensieri (LXXXVI), Adelphi, Milano 1982

    Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni. [51]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il poeta non deve seguir nè la ragione nè la metafisica. [19]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il posseder più lingue dona una certa maggior facilità e chiarezza di pensare seco stesso, perchè noi pensiamo parlando. Ora nessuna lingua ha forse tante parole e modi da corrispondere ed esprimere tutti gl'infiniti particolari del pensiero. Il posseder più lingue e il potere perciò esprimere in una quello che non si può in un'altra, o almeno così acconciamente, o brevemente, o che non ci viene così tosto trovato da esprimere in un'altra lingua, ci dà una maggior facilità di spiegarci seco noi e d'intenderci noi medesimi, applicando la parola all'idea che senza questa applicazione rimarrebbe molto confusa nella nostra mente. [94-95]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il riposo dalla fatica è un piacere per sé. [173]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il sentimento che si prova alla vista di una campagna o di qualunque altra cosa v'ispiri idee e pensieri vaghi e indefiniti quantunque dilettosissimo, è pur come un diletto che non si può afferrare, e può paragonarsi a quello di chi corra dietro a una farfalla bella e dipinta senza poterla cogliere: e perciò lascia sempre nell'anima un gran desiderio: pur questo è il sommo de' nostri diletti, e tutto quello ch'è determinato e certo è molto più lungi dall'appagarci, di questo che per la sua incertezza non ci può mai appagare. [75]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l'animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L'anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benchè sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt'uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch'è ingenita o congenita coll'esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. [165]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il silenzio è il linguaggio di tutte le forti passioni, dell'amore (anche nei momenti dolci) dell'ira, della maraviglia, del timore ec. (27 Giugno 1820). [142]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il sommo dell'arte è la naturalezza e il nasconder l'arte, che i principianti, o gl'ignoranti non sanno nascondere, benchè n'hanno pochissima, ma quella pochissima trasparisce, e tanto fa più stomaco quanto è più rozza. [20]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il tempo medica tutte le piaghe dell'anima. [513]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il tipo o la forma del bello non esiste, e non è altro che l'idea della convenienza. Era un sogno di Platone che le idee delle cose esistessero innanzi a queste, in maniera che queste non potessero esistere altrimenti. [154]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il veder morire una persona amata, è molto meno lacerante che il vederla deperire e trasformarsi nel corpo e nell'animo da malattia (o anche da altra cagione). Perché? Perché nel primo caso le illusioni restano, nel secondo svaniscono, e vi sono intieramente annullate e strappate a viva forza. La persona amata, dopo la sua morte, sussiste ancora tal qual’era, e cosí amabile come prima, nella nostra immaginazione. Ma nell'altro caso, la persona amata si perde affatto, sottentra un'altra persona, e quella di prima, quella persona amabile e cara, non può piú sussistere neanche per nessuna forza d'illusione, perché la presenza della realtà e di quella stessa persona trasformata per malattia cronica, pazzia, corruttela di costumi ec. ec., ci disinganna violentemente, e crudelmente, e la perdita dell'oggetto amato non è risarcita neppur dall'immaginazione, anzi neanche dalla disperazione o dal riposo sopra lo stesso eccesso del dolore, come nel caso di morte. Ma questa perdita è tale, che il pensiero e il sentimento non vi si può adagiar sopra in nessuna maniera. [479]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Il vino è il più certo, e (senza paragone) il più efficace consolatore. [324]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    In molte opere di mano dove c'è qualche pericolo (o di fallare o di rompere ec.) una delle cose più necessarie perchè riescano bene è non pensare al pericolo e portarsi con franchezza. [9]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    In tutte le cose fisiche e morali, il voler troppo intensamente e il timore di non conseguire, distorna le nostre azioni dal loro fine, e il mettersi ad un'operazione di mano per esempio chirurgica con troppa intenzion d'animo e timore di non riuscire, la manda a male, e nelle lettere, o belle arti, il cercar la semplicità con troppa cura, e paura di non trovarla, la fa perdere ec. [90]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Intendo per innocente non uno incapace di peccare, ma di peccare senza rimorso. [51]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Io conobbi già un bambino il quale ogni volta che dalla madre era contrariato in qualche cosa, diceva: ah, ho inteso, ho inteso: la mamma è cattiva. Non con altra logica discorre intorno ai prossimi la maggior parte degli uomini, benché non esprima il suo discorso con altrettanta semplicità.
    Pensieri (XC), Adelphi, Milano 1982.

    Io credo che nell'ordine naturale l'uomo possa anche in questo mondo esser felice, vivendo naturalmente, e come le bestie, cioè senza grandi né singolari e vivi piaceri, ma con una felicità e contentezza sempre, più o meno, uguale e temperata (eccetto gl'infortuni che possono essere nella sua vita [...]) insomma come sono felici le bestie quando non hanno sventure accidentali ec. Ma non già credo che noi siamo più capaci di questa felicità da che abbiamo conosciuto il voto delle cose e le illusioni e il niente di questi stessi piaceri naturali del che non dovevamo neppur sospettare: "tout homme qui pense est un être corrompu", dice il Rousseau, e noi siamo già tali. E pure vediamo che questi piccoli diletti non ostante che noi siamo già guasti pur ci appagano meglio che qualunque altro come dice Werter ec. e vediamo il minore scontento dei contadini, ignoranti ec. (quantunque essi pure assai lontani dallo stato naturale), che dei culti, e dei fanciulli massimamente, che dei grandi. [56]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla. [85]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Io non chiamo malavagio propriamente colui che pecca (...), ma colui che pecca o peccherebbe senza rimorso (14 Ottobre 1820) [276]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Io non ho mai provato invidia nelle cose in cui mi son creduto abile, come nella letteratura, dove anzi sono stato proclivissimo a lodare. [73]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Io non ho mai sentito tanto di vivere quanto amando, benchè tutto il resto del mondo fosse per me come morto. L'amore è la vita e il principio vivificante della natura, come l'odio il principio distruggente e mortale. Le cose son fatte per amarsi scambievolmente, e la vita nasce da questo. Odiandosi, benchè molti odi sono anche naturali, ne nasce l'effetto contrario, cioè distruzioni scambievoli, e anche rodimento e consumazione interna dell'odiatore. [59]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    (...) L'animo tende a giudicare gli altri da se medesimo.
    Pensieri (I), Adelphi, Milano 1982.

    L'arte non può mai uguagliare la ricchezza della natura. [189]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'imitare è una tendenza naturale, ma ella giova, quando ci porta a cercar la somiglianza coi grandi e cogli ottimi. Ma chi cerca di somigliare a tutti? anzi perciò appunto sfugge di somigliare ai grandi e agli ottimi, perchè questi si distinguono dagli altri? [148]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'immaginazione è il primo fonte della felicità umana. Quanto più questa regnerà nell'uomo, tanto più l'uomo sarà felice. Lo vediamo nei fanciulli. Ma questa non può regnare senza l'ignoranza, almeno una certa ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei limiti e definizioni delle cose, circoscrive l'immaginazione. [168]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'invidia e l'odio altrui per le felicità che hanno, cade ordinariamente sopra quei beni che noi desideriamo di avere e non abbiamo, o de' quali vorremmo esser gli unici o i principali possessori ed esempi. Sopra gli altri beni non è cosa ordinaria l'invidia, ancorchè sieno beni grandissimi. [204]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'irresoluzione è peggio della disperazione. [245]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'origine del sentimento profondo dell'infelicità, ossia lo sviluppo di quella che si chiama sensibilità, ordinariamente procede dalla mancanza o perdita delle grandi e vive illusioni. [232]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'uomo non parla né può parlare se non di se stesso. (17 Gennaio 1821). [519]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'uomo non può quasi sperare senza temere, e tanto più quanto la speranza è maggiore. Chi spera teme, e il disperato non teme nulla. [458]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'uomo onesto, coll'andar degli anni, facilmente diviene insensibile alla lode e all'onore, ma non mai, credo, al biasimo né al disprezzo. Anzi la lode e la stima di molte persone egregie non compenseranno il dolore che gli verrà da un motto o da un segno di noncuranza di qualche uomo da nulla. Forse ai ribaldi avviene al contrario; che, per essere usati al biasimo, e non usati alla lode vera, a quello saranno insensibili, a questa no, se mai per caso ne tocca loro qualche saggio.
    Pensieri (XCVI), Adelphi, Milano 1982.

    L'uomo senza la speranza non può assolutamente vivere, come senza amor proprio. [1545]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    L'utile non è il fine della poesia benchè questa possa giovare. [3]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La bellezza è nell'istante, e la grazia nel tempo. [198]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La cagione per cui il bene inaspettato e casuale, c'è più grato dello sperato, è che questo patisce un confronto cioè quello del bene immaginato prima, e perchè il bene immaginato è maggiore a cento doppi del reale, perciò è necessario che sfiguri e paia quasi un nulla. Al contrario dell'inaspettato che non perde nulla del suo qualunque valore reale per la forza del confronto troppo disuguale. [73]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La compassione, la quale io dico che è l'unica qualità e passione umana che non abbia nessunissima mescolanza di amor proprio. L'unica, perchè [...] ogni qualunque operazione dell'animo nostro ha sempre la sua certa e inevitabile origine nell'egoismo, per quanto questo sia purificato, e quella ne sembri lontana. Ma la compassione che nasce nell'animo nostro alla vista di uno che soffre è un miracolo della natura. [108]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La cosa piú durevolmente e veramente piacevole è la varietà delle cose, non per altro se non perché nessuna cosa è durevolmente e veramente piacevole (10 maggio 1821). [1028]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La diligenza nei poeti è contraria alla naturalezza. [21]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La felicità o infelicità non si misura dall'esterno, ma dall'interno [296]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La felicità consiste nell'ignoranza del vero. [326]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La felicità è impossibile a chi la desidera, perché il desiderio, sí come è desiderio assoluto di felicità e non di una tal felicità, è senza limiti necessariamente, perché la felicità assoluta è indefinita e non ha limiti. Dunque questo desiderio stesso è cagione a se medesimo di non poter essere soddisfatto. [648]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La felicità non si trova se non nella perfezione di cui l'essere è capace. [378]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La gran diversità fra il Petrarca e gli altri poeti d'amore, specialmente stranieri, è ch'egli versa il suo cuore, e gli altri l'anatomizzano (anche i più eccellenti) ed egli lo fa parlare, e gli altri ne parlano. [112-113]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La ingiuria eccita in tutti gli animi il desiderio di vederla punita, ma negli alti il desiderio di punirla (20 marzo 1821). [829]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La lettura per l'arte dello scrivere è come l'esperienza per l'arte di viver nel mondo, e di conoscer gli uomini e le cose. [222]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La lode più cara è spesso quella che cade sopra una cosa nella quale tu desideri, ma dubiti o stimi di non esser lodevole, o che altri non ti abbia per tale. [197]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La mente nostra non può non solamente conoscere, ma neppur concepire alcuna cosa oltre i limiti della materia. Al di là non possiamo con qualunque possibile sforzo, immaginarci una maniera di essere, una cosa diversa dal nulla. Diciamo che l’anima nostra è spirito. La lingua pronunzia il nome di questa sostanza, ma la mente non ne concepisce altra idea, se non questa, ch’ella ignora che cosa e quale e come sia. [601-602]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La morale è un detto, e la politica un fatto. [311]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La morte non è male: perché libera l'uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desiderii. La vecchiezza è male sommo: perché priva l'uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appettiti; e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini tempono la morte, e desiderano la vecchiezza.
    Pensieri (VI), Adelphi, Milano 1982.

    La natura, come ho detto è grande, la ragione è piccola e nemica di quelle grandi azioni che la natura ispira. [37]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La natura degli uomini e delle cose può ben esser corrotta, ma non corretta. [293-294]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La natura ha posto negli esseri viventi sommo amor della vita, e quindi odio della morte. [296]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La noia non è altro che una mancanza del piacere che è l'elemento della nostra esistenza, e di cosa che ci distragga dal desiderarlo. [174]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La pazienza è la più eroica delle virtù giusto perchè non ha nessuna apparenza d'eroico. [112]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La perfezione di un'opera di Belle Arti non si misura dal più Bello ma dalla più perfetta imitazione della natura. [3]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La poesia malinconica e sentimentale è un respiro dell'anima. L'oppressione del cuore, o venga da qualunque passione, o dallo scoraggiamento della vita, e dal sentimento profondo della nullità delle cose, chiudendolo affatto, non lascia luogo a questo respiro. [136]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La poesia può esser utile indirettamente, ma l'utile non è il suo fine naturale, senza il quale essa non possa stare, come non può senza il dilettevole, imperocchè il dilettare è l’ufficio naturale della poesia. [3]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La pura ragione dissipa le illusioni e conduce per mano l'egoismo. [161]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La ragione è nemica d'ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola. Voglio dire che un uomo tanto meno o tanto più difficilmente sarà grande quanto più sarà dominato dalla ragione: che pochi possono esser grandi (e nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non sono dominati dalle illusioni. [14]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La rimembranza del piacere si può paragonare alla speranza, e produce appresso a poco gli stessi effetti. Come la speranza, ella piace piú del piacere: è assai piú dolce il ricordarsi del bene (non mai provato, ma che in lontananza sembra di aver provato) che il goderne, come è piú dolce lo sperarlo, perché in lontananza sembra di poterlo gustare. La lontananza giova egualmente all'uomo nell'una e nell'altra situazione; e si può conchiudere che il peggior tempo della vita è quello del piacere o del godimento (13 maggio 1821). [1044]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La somma della teoria del piacere, e si può dir anche della natura dell'animo nostro e di qualunque vivente, è questa. Il vivente si ama senza limite nessuno e non cessa mai di amarsi. Dunque non cessa mai di desiderarsi il bene e si desidera il bene senza limiti. Questo bene in sostanza non è altro che il piacere. Qualunque piacere, ancorché grande, ancorché reale, ha limiti. Dunque nessun piacere possibile è proporzionato ed uguale alla misura dell'amore che il vivente porta a se stesso. Quindi nessun piacere può soddisfare il vivente. Se non lo può soddisfare, nessun piacere, ancorché reale astrattamente e assolutamente, è reale relativamente a chi lo prova. Perché questi desidera sempre di piú, giacché per essenza si ama, e quindi senza limiti. Ottenuto anche di piú, quel di piú similmente non gli basta. Dunque nell'atto del piacere o nella felicità, non sentendosi soddisfatto, non sentendo pago il desiderio, il vivente non può provar pieno piacere; dunque non vero piacere perché inferiore al desiderio e perché il desiderio soprabbonda. [646-647]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La somma felicità possibile dell'uomo in questo mondo, è quando egli vive quietamente nel suo stato con una speranza riposata e certa di un avvenire molto migliore, che per esser certa, e lo stato in cui vive, buono, non lo inquieti e non lo turbi coll'impazienza di goder di questo immaginato bellissimo futuro. Questo divino stato l'ho provato io di 16 e 17 anni per alcuni mesi ad intervalli, trovandomi quietamente occupato negli studi senz'altri disturbi, e colla certa e tranquilla speranza di un lietissimo avvenire. E non lo proverò mai più, perchè questa tale speranza che sola può render l'uomo contento del presente, non può cadere se non in un giovane di quella tale età, o almeno, esperienza. [76]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La speranza, cioè una scintilla, una goccia di lei, non abbandona l'uomo, neppur dopo accdutagli la disgrazia la più diametralmente contraria ad essa speranza, e la più decisiva. (18 Ottobre 1820) [287]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    La superiorità della natura sulla ragione si dimostra anche in questo che non si fa mai cosa con calore che si faccia per ragione e non per passione. [116]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Le altre arti imitano ed esprimono la natura da cui si trae il sentimento, ma la musica non imita e non esprime che lo stesso sentimento in persona, ch'ella trae da se stessa e non dalla natura. [79]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Le illusioni per quanto sieno illanguidite e smascherate dalla ragione, tuttavia restano ancora nel mondo, e compongono la massima parte della nostra vita. E non basta conoscer tutto per perderle, ancorchè sapute vane. E perdute una volta, nè si perdono in modo che non ne resti [214] una radice vigorosissima, e continuando a vivere, tornano a rifiorire in dispetto di tutta l'esperienza, e certezza acquistata. [213-214]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Le grandi passioni di rado sono destate dalle grandi bellezze, ma ordinariamente dalla grazia, perchè l'effetto della bellezza si compie tutto in un attimo, e all'anima dopo che s'è appagata di quella vista non rimane altro da desiderare nè da sperare, se però la bellezza non è accompagnata da spirito, virtù ec. Al contrario la grazia ha successione di parti, anzi non si dà grazia senza successione. Quindi veduta una parte, resta desiderio e speranza delle altre. Perciò la grazia ordinariamente consiste nel movimento: e diremo così, la bellezza è nell'istante, e la grazia nel tempo. [198]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Lo scopo dei governi (siccome quello dell'uomo) è la felicità dei governati. [625]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Molte cose son vecchie che si credono nuove. [19]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Molti sono che dalla lettura de' romanzi libri sentimentali ec. o acquistano una falsa sensibilità non avendone, o corrompono quella vera che avevano. [64]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Monti è un poeta veramente dell'orecchio e dell'immaginazione, del cuore in nessun modo. [36]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Nella infinita varietà dei casi è molto più improbabile che segua precisamente quello a cui tu miri invariabilmente, che gl'infiniti altri possibili. [91]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Nessun bene si può avere al mondo, che non sia accompagnato da mali della stessa misura. (...)
    Pensieri (II), Adelphi, Milano 1982, p. 15.

    Nessun dolore cagionato da nessuna sventura, è paragonabile a quello che cagiona una disgrazia grave e irrimediabile, la quale sentiamo ch'è venuta da noi, e che potevamo schivarla, in somma al pentimento vivo e vero. [188]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Nessun maggior segno d'essere poco filosofo e poco savio, che volere savia e filosofica tutta la vita.
    Pensieri (XXVII), Adelphi, Milano 1982.

    Nessuna compagnia è piacevole al lungo andare, se non di persone dalle quali importi o piaccia a noi d'essere sempre più stimati. Perciò le donne, volendo che la loro compagnia non cessi di piacere dopo breve tempo, dovrebbero studiare di rendersi tali, che potesse essere desiderata durevolmente la loro stima.
    Pensieri (LXV), Adelphi, Milano 1982.

    Nessuna cosa è bella né buona assolutamente e per se stessa; e quindi non esiste un bello né un buono assoluto. [1188]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Nessuna qualità umana è più intollerabile nella vita ordinaria, né in fatti tollerata meno, che l'intolleranza.
    Pensieri (XXXVII), Adelphi, Milano 1982.

    Nessuno è meno filosofo di chi vorrebbe tutto il mondo filosofo e filosofica tutta la vita umana, che è quanto dire, che non vi fosse piú vita al mondo. E pur questo è il desiderio ec. de' filosofastri, anzi della maggior parte de' filosofi presenti e passati. [1253]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Noi ci consoliamo e ci diamo pace quando ci persuadiamo che quel bene non era in nostra balìa d'ottenerlo, nè quel male di schivarlo, e però cerchiamo di persuadercene, e non potendo, siamo disperati, quantunque il male in tutti i modi si rimanga lo stesso. [66]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Noi giudichiamo del carattere degli uomini dal modo nel quale si sono portati verso noi. [194]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non c'è dubbio che i progressi della ragione e lo spegnimento delle illusioni producono la barbarie, e un popolo oltremodo illuminato non diventa mica civilissimo, come sognano i filosofi del nostro tempo, la Stael ec. ma barbaro: al che noi c'incamminiamo a gran passi e quasi siamo arrivati. La più gran nemica della barbarie non è la ragione ma la natura. [22]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non è vero che l'uomo naturale sia tormentato da un desiderio infinito di conoscere. Neanche l'uomo corrotto e moderno si trovain questo caso. Egli è tormentato da un desiderio infinito di piacere. Il piacere non consiste se non che nelle sensazioni, perché quando non si sente, non si prova né piacere né dispiacere. Le sensazioni non le prova il corpo, ma l'anima, qualunque cosa s'intenda per anima. [383-384]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non il Bello ma il Vero o sia l'imitazione della Natura qualunque, si è l'oggetto delle Belle arti. [2]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non possiamo né contare tutti gli sventurati né piangerne uno solo degnamente. [703]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non siamo dunque nati fuorché per sentire, qual felicità sarebbe stata se non fossimo nati? (18 febbraio 1821). [676]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non solamente il bello ma forse la massima parte delle cose e delle verità che noi crediamo assolute e generali, sono relative e particolari. [208]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non vale il dire che i piaceri, i beni, le felicità di questo mondo, sono tutti inganni. Che resta levati via questi inganni? E chi per le sue sventure manca di questi benché ingannosi, piaceri e beni, che altro gode o spera quaggiú? Insomma l'infelice è veramente e positivamente infelice; quando anche il suo male non consista che in assenza di beni; laddove è pur troppo vero che non si dà vera né soda felicità e che l’uomo felice non è veramente tale (3 marzo 1821). [712]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non v'ha forse cosa tanto conducente al suicidio quanto il disprezzo di se medesimo. [...] Effetto dell'amor proprio che preferisce la morte alla cognizione del proprio niente, ec. onde quanto più uno sarà egoista tanto più fortemente e costantemente sarà spinto in questo caso ad uccidersi. E infatti l'amor della vita è l'amore del proprio bene; ora essa non parendo più un bene, ec. ec. [70-71]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Non vi è quasi altra verità assoluta se non che Tutto è relativo. Questa dev'esser la base di tutta la metafisica. [452]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Nulla è più raro al mondo che una persona abitualmente sopportabile.
    Pensieri (XXVI), Adelphi, Milano 1982.

    Ogni uomo ha diritto di giudicare di per se stesso, e la diversità delle opinioni è tanto naturale quanto la diversità dei gusti. [364]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Ogni volta che l'uomo è occupato da qualche passion forte, è incapace di pensare ad altro, ogni volta che o la sua propria infelicità o la sua propria fortuna l'interessano vivamente, e lo riempiono, è incapace di pigliar premura de' negozi delle infelicità dei desiderii altrui. Nei momenti di gioia viva o di dolor vivo l'uomo non è suscettibile nè di compassione, nè d'interesse per gli altri, nel dolore perchè il suo male l’occupa più dell'altrui, nella gioia perchè il suo bene l'inebbria, e gli leva il gusto e la forza di occuparsi in verun altro pensiero. [97-98]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Oh infinita vanità del vero! [69]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Osservate che forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita non sono altro che una rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei; o in genere o anche in ispecie; vale a dire, proviamo quella tal sensazione, idea, piacere, ec., perché ci ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa sensazione, immagine ec., provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse circostanze. Cosí che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non è un'immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica. [515]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Ottimamente il Paciaudi come riferisce e loda l'Alfieri nella sua propria Vita, chiamava la prosa la nutrice del verso, giacchè uno che per far versi si nutrisse solamente di versi sarebbe come chi si cibasse di solo grasso per ingrassare. [29]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Pare un assurdo, e pure è esattamente vero che tutto il reale essendo un nulla, non v'è altro di reale nè altro di sostanza al mondo che le illusioni. [99]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Parlando, non si prova piacere che sia vivo e durevole, se non quanto ci è permesso discorrere di noi medesimi, e delle cose nelle quali siamo occupati, o che ci appartengono in qualche modo. Ogni altro discorso in poca d'oraviene a noia; e questo, ch'è piacevole a noi, è tedio mortale a chi l'ascolta. (...) Uno degli errori più gravi nei quali gli uomini incorrono giornalmente, è di credere che sia tenuto loro il segreto. (...) Però prendi fermamente questa regola: le cose che tu non vuoi che si sappia che tu abbi fatte, non solo non le ridire, ma non le fare. E quelle che non puoi fare che non sieno, o che non sieno state, abbi per certo che si sanno, quando bene tu non te ne avvegga.
    Pensieri (XXI), Adelphi, Milano 1982.

    Passano anni interi senza che noi proviamo un piacer vivo, anzi una sensazione pur momentanea di piacere. Il fanciullo non passa giorno che non ne provi. Qual è la cagione? La scienza in noi, in lui l'ignoranza. Vero è che cosí viceversa accade del dolore (2 luglio 1821). [1262]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Per disprezzar la vita e le sventure non basta essere infelici, ma si richiede magnanimità e profondità di sentimenti, e forza d'animo. [122]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Per piacere intendo e vanno intese tutte le cose che l'uomo desidera. [178]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Pesa molto più l'odio che l'amore degli uomini, essendo quello molto più operoso.[55]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Prima di provare la felicità, o vogliamo dire un'apparenza di felicità viva e presente, noi possiamo alimentarci delle speranze, e se queste son forti e costanti, il tempo loro è veramente il tempo felice dell'uomo, come nella età fra la fanciullezza e la giovanezza. Ma provata quella felicità che ho detto, e perduta, le speranze non bastano più a contentarci, e la infelicità dell'uomo è stabilita. Oltre che le speranze dopo la trista esperienza fatta sono assai più difficili, ma in ogni modo la vivezza della felicità provata, non può esser compensata dalle lusinghe e dai diletti limitati della speranza, e l'uomo in comparazione di questa piange sempre quello che ha perduto e che ben difficilmente può tornare, perchè il tempo delle grandi illusioni è finito. [85]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Provatevi a respirare artificialmente, e a fare pensatamente qualcuno di quei moltissimi atti che si fanno per natura; non potrete, se non a grande stento e men bene. Così la tropp'arte nuoce a noi: e quello che Omero diceva ottimamente per natura, noi pensatamente e con infinito artifizio non possiamo dirlo se non mediocremente, e in modo che lo stento più o meno quasi sempre si scopra. Vedi p. 461. [8]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Qual è la piú grata compagnia? Quella che rileva l'idea che abbiamo di noi medesimi; quella che ci fa compiacere di noi stessi, che ci persuade di valer piú che non credevamo, che ci mostra come lodevoli alcune qualità dove non credevamo di meritar lode o non tanta; quella da cui partiamo con maggiore stima di noi, che ci lascia piú soddisfatti di noi stessi. Tutto è amor proprio nell'uomo e in qualunque vivente. Amabile non pare e non è, se non quegli che lusinga, giova ec. l'amor proprio degli altri. [508-509]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Quando l'uomo concepisce amore tutto il mondo si dilegua dagli occhi suoi, non si vede più se non l'oggetto amato, si sta in mezzo alla moltitudine alle conversazioni ec. come si stasse in solitudine, astratti e facendo quei gesti che v'ispira il vostro pensiero sempre immobile e potentissimo senza curarsi della maraviglia né del disprezzo altrui, tutto si dimentica e riesce noioso ec. fuorchè quel solo pensiero e quella vista. Non ho mai provato pensiero che astragga l'animo così potentemente da tutte le cose circostanti, come l'amore. [59]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Quando le sensazioni d'entusiasmo ec. che noi proviamo non sono molto profonde, allora cerchiamo di avere un compagno con cui comunicarle, e ci piace il poterne discorrere in quel momento, (secondo quella osservazione di Marmontel che vedendo una bella campagna non siamo contenti se non abbiamo con chi dire: la belle campagne!) perchè in certo modo speriamo di accrescere il diletto di quel sentimento e il sentimento medesimo con quello degli altri. Ma quando l'impressione è profonda accade tutto l'opposto perchè temiamo, e così è, di scemarla e svaporarla partecipandola, e cavandola dal chiuso delle nostre anime, per esporla all'aria della conversazione. Oltre ch'ella ci riempie in modo, che occupando tutta la nostra attenzione, non ci lascia campo di pensare ad altri, nè modo di esprimerla, volendosi a ciò una certa attenzione che ci distrarrebbe, quando la distrazione ci è non solamente importuna, ma impossibile. [85-86]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Quanto più del tempo si tiene a conto, tanto più si dispera d'averne che basti, quanto più se ne gitta, tanto par che n'avanzi. [43]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Quella maravigliosa facilità che hanno i fanciulli di passare immediatamente dal piú profondo dolore alla gioia, dal pianto al riso ec. e viceversa, e ciò per minime cagioni; questa somma volubilità e versatilità d'indole e d'immaginazione non dev'ella esser causa di una molto maggiore felicità o molto minore miseria che nelle altre età? (16 febbraio 1821). [668-669]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Quello che noi crediamo del mondo è solamente degli uomini. [55]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Se il poeta non può illudere non è più poeta, e una poesia ragionevole, è lo stesso che dire una bestia ragionevole [18]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Se ti troverai in un luogo, occasione ec., dove ti prema assai di figurare, probabilmente sfigurerai. [461]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Sopra ogni dolore d'ogni sventura si può riposare, fuorché sopra il pentimento. Nel pentimento non c'è riposo né pace, e perciò è la maggiore o la più acerba di tutte le disgrazie. [466]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Sopravvenendo un mal minore a un maggiore, o viceversa, sogliamo dire, Se potessi liberarmi, ovvero, Se non mi travagliasse questo male cosí grave, terrei per un nulla questo leggero. E accadrebbe in verità l’opposto, che ci parrebbe assai maggiore che or non ci pare (21 luglio 1821). [1364]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Tutti gli affetti umani derivano dall'amor proprio conformato in diversissime guise. [149]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Tutti i piaceri da lontano sono grandi, e da vicino minimi, aridi, voti e nulli. [271]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Tutti i piaceri sono illusioni o consistono nell'illusione, e di queste illusioni si forma la nostra vita. Ora se io non posso averne, che piacere mi resta? e perché vivo? [271]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione, della quale ogni uomo anche savio, ma più tranquillo, ed io stesso certamente in un'ora più quieta conoscerò, la vanità e l'irragionevolezza e l'immaginario. Misero me, è vano, è un nulla anche questo mio dolore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi in un vôto universale, e in un'indolenza terribile che mi farà incapace anche di dolermi. [72]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Tutto è o può esser contento di se stesso, eccetto l'uomo, il che mostra che la sua esistenza non si limita a questo mondo, come quella dell'altre cose. [29]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia. [58]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Udrai dire sovente che per esser compatito o per interessare, giova indirizzarsi a chi abbia provato le stesse sventure, o sia stato nella stessa tua condizione. Se intendono del passato, andrà bene. Ma non c'è uomo da cui tu possa sperar meno che da chi si ritrova presentemente nella stessa calamità o nelle stesse circostanze tue. L'interesse ch'egli prova per se, soffoca tutto quello che potrebbe ispirargli il caso tuo. Ad ogni circostanza, ad ogni minuzia del tuo racconto, egli si rivolge sopra di se, e le considera applicandole alla sua persona. Lo vedrai commosso, crederai che senta pietà di te, ma la sente di se stesso unicamente. T'interromperà ad ogni tratto con dirti: appunto ancor io: oh per l'appunto se sapessi quello ch'io provo: questo è propriamente il caso mio. [99]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Un abito silenzioso nella conversazione, allora piace ed è lodato, quando si conosce che la persona che tace ha quanto si richiede e ardimento e attitudine a parlare.
    Pensieri (CXI), Adelphi, Milano 1982.

    Un uomo perfetto non è mai grande. Un uomo grande non è mai perfetto. [470]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Una cosa stimabile non può essere apprezzata degnamente se non da quelli che ne conoscono il valore. Perciò la rarità non porta sempre con sé la stima della cosa, anzi spessissimo l'impedisce. Un uomo di grande ingegno fra gl'ignoranti o è disprezzato, o apprezzato senz'ammirazione, senza entusiasmo, senza nessuno di quegli affetti che paiono conseguenze infallibili dello straordinario. (...) Ed è cosa certa che un grande ingegno non può essere intimamente conosciuto, e però degnamente apprezzato e ammirato se non da un altro grande ingegno; e così le sue opere. [263-264]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Una delle cose più dispiacevoli, è il sentir parlare di un soggetto che c'interessi, senza potervi interloquire. E molto più se ne parlano a sproposito. [97]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Una delle principali cagioni per cui l'infelicità rende l'uomo inetto al fare e lo debilita e snerva, onde l'infelicità toglie la forza, non è altra se non che l'infelicità debilita l'amor di se stesso. (...) Ma l'amor di se stesso è l'unica possibile molla delle azioni e dei sentimenti umani (...). E così l'uomo ch'è divenuto per forza indifferente verso se stesso, è indifferente verso tutto, è ridotto all'inazione fisica e morale. [958-959]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Una delle prove evidenti e giornaliere che il bello non sia assoluto ma relativo, è l'essere da tutti riconosciuto che la bellezza non si può dimostrare a chi non la vede o sente da sé, e che nel giudicare della bellezza differiscono, non solo i tempi da' tempi e le nazioni dalle nazioni, ma gli stessi contemporanei e concittadini, gli stessi compagni differiscono sovente da' compagni, giudicando bello quello che a' compagni par brutto, e viceversa. E convenendo tutti che non si può convincere alcuno in materia di bellezza, vengono insomma a convenire che nessuno de' due che discordano nell'opinione può pretendere di aver piú ragione dell'altro, quando anche dall'una parte stieno cento o mille e dall'altra un solo. Tutto ciò avviene sí nelle cose che cadono sotto i sensi, e queste o naturali o, massimamente, artificiali, sí nella letteratura ec. ec. [1084-1085]
    Zibaldone, in Tutte le opere (2 volumi), Sansoni, Firenze 1983.

    Uno degli errori più gravi nei quali gli uomini incorrono giornalmente, è di credere che sia tenuto loro il segreto. (...) Però prendi fermamente questa regola: le cose che tu non vuoi che si sappia che tu abbi fatte, non solo non le ridire, ma non le fare. E quelle che non puoi fare che non sieno, o che non sieno state, abbi per certo che si sanno, quando bene tu non te ne avvegga.
    Pensieri (VIII), Adelphi, Milano 1982.