• PARMA - "Fabrizio, sei grande!", tuona una voce nel buio. Una voce allegra, tenorile. Quasi golosa. E lui: "Vado per i 58, certo che sono grande...". E tutti ridono, e una lama di luce sfarfalla sugli stucchi degli ori del Teatro Regio. Ma dov'è l'imbronciato Fabrizio che incuteva timore? Venerato dagli studenti, insopportabile a certi benpensanti: con il ciuffo ribelle, e la faccia di traverso? Gli anni sono scivolati via, e l'artista di oggi è pacato, solido come una roccia, fra le sue canzoni, la sua musica.
    Domenica, al Teatro Regio è cominciato il nuovo tour teatrale: approderà all'Ariston di Sanremo il 28 novembre, e al Carlo Felice il 10 e 11 dicembre. La prima cosa che vedi sono giganteschi tarocchi genovesi, che sembrano merli di una cittadella fortificata: una bella idea di Emilia Pignatelli Morgia.
    Ma è De André lo specchio che riflette una concentrazione assoluta: con il suo golf blu, il mandolino del '700, la voce dalla sinuosa bellezza delle onde. "Vi canterò la solitudine e l'emarginazione. Quelle delle minoranze, come gli zingari di cui ci parla già Erodoto che difendono la propria libertà. C'è gente che non riesce a tenersi compagnia. Ma il silenzio non è un orrore. In una notte come questa, possiamo ascoltare mille voci dell'universo. E scoprire che il silenzio è meraviglioso...".
    E il pubblico applaude. E capisce che De André li sta prendendo per mano, per portarli in un viaggio nella coscienza degli uomini, ai margini frastagliati del deserto arido del potere: "Che fa le leggi, ma non le rispetta mai...". In questo senso, la prima parte affidata alle canzoni di Creuza de mä e del recente Anime salve, il cantautore affronta La buona novella: "Nel '69, cercai di spiegare agli studenti che anche Gesù di Nazareth aveva lottato contro i soprusi del potere...".
    E quando dà voce a Tito, uno dei ladroni crocifissi sul Golgota, De André assicura uno dei momenti più alti dello spettacolo: "io, nel vedere quest'uomo che muore, madre, io provo dolore, nella pietà che non cede al rancore, madre, io ho imparato l'amore...". Più tardi, rilassato e in forma ("Ho perso sette chili...") dice: "Gesù rimane un esempio da imitare. Ama il prossimo tuo come te stesso è un principio bellissimo...". E la Chiesa cosa dirà di questo recupero dei Vangeli Apocrifi? "A suo tempo, l'album fu accettato...". Cosa pensa dell'incontro fra il Papa e Bob Dylan? "Una bella sponsorizzazione... reciproca".
    Dopo le quattro ballate della Buona Novella, De André affronta "una carrellata di vecchi ronzini da battaglia. Canzoni che peccavano d'ingenuità ed entusiasmo, decidete voi...". E vengono La canzone di Marinella, Amico Fragile, Via del campo, Bocca di Rosa. Uno show ricco di "genovesità", con la bella Invincibili interpretata da Cristiano De André che, alle spalle del padre, intreccia melodie suggestive. Bravissima anche la figlia Luvi che, dopo Khorakhané, duetta col padre in Geordie: "una ballata del '700 che m'insegnò la professoressa d'inglese di uno degli istituti privati di mio padre...".
    Il pubblico va in delirio, e lui, più tardi, dirà: "Troppi riconoscimenti: non vorrei finire in un museo o in una piazza, come una statua, alla mercé dei piccioni...". Può sempre continuare a scrivere canzoni... "E invece, noi cantautori ci troviamo un po' alle strette. Giornali e televisione ci rubano il mestiere. I tempi dei cantastorie sono finiti. E non vorrei cantare di me, odio l'autobiografismo".
    Il Teatro Regio lo richiama in scena, lo coccola pieno di gratitudine: "E pensare che mi accusano di non essere un musicista. D'accordo, un esimio collega come Paolo Conte gira con la carta da musica in tasca: io non sarei capace...". E allora? Allora ci rimane questo genovese corsaro, che canta: "Che bell'inganno sei, anima mia, e che grande questo tempo, che solitudine, che bella compagnia...". E noi con lui.