• 'A pittima, ancora oggi, a Genova, è sinonimo di una persona appiccicosa e insistente; in origine designava chi aveva il compito di esigere i crediti dai debitori. Anche la pittima è una vittima del proprio destino, di una natura che le ha assegnato un corpo gracile e minuto, a causa del quale i mestieri più faticosi le sono preclusi. Che cosa ci posso fare, se non ho le braccia per fare il marinaio, se in fondo alle braccia non ho le mani del muratore...; quel lavoro che altri, più fortunati, possono scegliere di non fare, è allora obbligato. Il senso di rassegnazione è dato anche dal malinconico interludio-ritornello affidato al flauto. Il sistema per beffare in qualche modo il proprio destino è quello di assolvere segretamente, di tasca propria, i debiti degli "straccioni".
    [Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, p. 140]


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    Nella Genova di un tempo (e anche nella repubblica marinara veneta), la cosiddetta "pittima" simboleggia la figura a cui i normali cittadini si rivolgevano privatamente per far esigere i crediti dai pagatori insolventi. Il compito della "pittima" - di solito vestita di rosso - è dunque quello di convincere i debitori a pagare attraverso metodi più o meno ortodossi; e ancor oggi nel capoluogo ligure il termine resta sinonimo di una persona insistente, noiosa, petulante, appiccicosa. De André poi ne fa un personaggio quasi emarginato anche per via di un aspetto sgradevole che idealmente lo apparenta allo iettatore napoletano o all'untorello milanese, pur nella diversità dei contesti storici e sociali. Eccellente risulta l'uso del genovese, nella piena consapevolezza che "le parole - come dice lui - sono affascinanti proprio perché cambiano continuamente di significato. Specie nei dialetti: la bellezza degli idiomi è la loro mobilità". Alcuni spunti letterari sono ispirati a una canzone bretone quattrocentesca, mentre la musica segue un andamento lento da ballata, assai ben supportato dalle sonorità di strumenti "esotici" come bouzuki e tabla.
    [Guido Michelone, Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone, p. 25]


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    "Sei una pìttima", si dice a chi ci infastidisce fino allo sfinimento. Dietro, come sempre, c'è una storia e Fabrizio sa raccontarla: "Alla pìttima si dava il compito nell'antica Genova di riscuotere, dietro compenso, i conti dei debitori insolventi. Il personaggio è la risultante di un'emarginazione sociale (almeno come io la descrivo) dovuta principalmente alle carenze fisiche". C'è la confessione rassegnata: "Cosa ci posso fare se non ho le braccia da marinario, se in fondo alle braccia non ho le mani da muratore... Ho un torace largo un dito giusto per nascondermi col vestito dietro un filo". Secondo la filosofia di De André, la pìttima in un attimo cambia iniziale e diventa vittima, uno sgradevole recuperatore di crediti si fa samaritano e gentile, disposto perfino ad aiutare in silenzio i debitori disperati: "E nu anâ 'ngìu a cuntà / che quando 'a vittima l'è 'n strassé / ghe dö du mæ" ("E non andare in giro a raccontare / che quando la vittima è un poveraccio / gli offro del mio").
    La musica di Pagani ondeggia morbida su percussioni, fiati e corde fuori dalla storia e dallo spzio, accompagnando i pensieri della pìttima che ritrova finalmente la sua dignità nonostante la condanna a essere, come lo definisci De André, "un uccello che non riesce ad aprire le ali ed è destinato a nutrirsi dei rifiuti dei volatili da cortile".
    [Federico Pistone, Tutto De André. Il racconto di 131 canzoni, pp. 176-177]