• Scrivere il Cantico dei drogati, per me che avevo una tale dipendenza dall'alcol, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non mi spaventava, anzi, ero compiaciuto. È una reazione frequente, tra i drogati, quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all'alcol la fantasia viaggiava sbrigliatissima. Ho scritto sotto effetto dell'alcol testi di cui vado orgoglioso, come Amico fragile per esempio. Con il Cantico mi rappresentavo e mi liberavo dell'imbarazzo di essere considerato un alcolizzato. "Tu che mi ascolti /insegnai / un alfabeto che sia / differente da quello / della mia vigliaccheria". Non è che io mi dia soltanto del vigliacco, non è una preghiera. È un modo di dire: "Tu che ti ritieni tanto furbo, insegnami un modo di comportarmi". Questo è un discorso delicato, perché c'è il rischio di fare l'apologia della droga, ma non c'è dubbio che le droghe potenzino la capacità creativa delle persone, perché disinibiscono, e la creatività, come qualsiasi attività umana, è fortemente ostacolata dalle inibizioni. Io sono a favore della liberalizzazione delle droghe, anche per motivi sociali, per evitare che organizzazioni camorristiche o mafiose possano proliferare su di esse.
    [Fabrizio De André, in Cantico per i diversi, intervista a cura di Roberto Cappelli, Mucchio Selvaggio, settembre 1992]


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    A nostro parere resta il testo che meglio di tutti ha saputo descrivere i drammi di un tossicodipendente. Questo colpisce ancora di più se si pensa che trent'anni fa la droga non aveva ancora assunto la drammatica diffusione dei nostri giorni, ma era piuttosto un vizio dei pochi giovani ricchi che se lo potevano permettere, forse come qualcuno dei suoi compagni del liceo privato. Si capisce allora come sia significativo che Fabrizio dedichi proprio a questa realtà una canzone così toccante. Il testo risulta crudo ed essenziale e per questo tanto efficace: nella mente di un drogato non c'è più posto per Dio né per un amore, ma solamente per un sovrumano vuoto che rende senza senso le parole, impedendo di comunicare. Il drogato è ossessionato da fantasmi, costruiti dalla sua stessa mente, che lo opprimono con la loro presenza inquietante e sinistra, come le domande senza risposta: "perché non hanno fatto delle grandi pattumiere?... chi sarà mai il buttafuori del sole?... e soprattutto chi e perché mi ha messo al mondo?..." per ritornare poi al ritornello che riprende il vuoto più terribile, quello che costringe all'isolamento e alla vergogna: "come potrò dire a mia madre che ho paura?" Il finale stupisce in quanto il drogato si rivolge direttamente all'ascoltatore: "tu che mi ascolti insegnami / un alfabeto che sia / differente da quello / della mia vigliaccheria". È la supplica di un condannato che si scopre, ancora e nonostante tutto, non privo di un barlume di speranza e di fiducia nei propri simili.
    [Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 40-41]


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    Nel Cantico dei drogati si rivela la tendenza alla manipolazione del linguaggio, alla ricerca di analogie che affondano in un immaginario intenso, e a cui corrisponde un tipo di elaborazione musicale ricercata ed anche manierata.
    [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 117-118]