• Consegnata ai vecchi sacerdoti quando aveva solo tre anni, Maria impara a misurare il tempo con il succedersi delle preghiere, fino a quando l'ingresso nella pubertà fa ritenere ai sacerdoti che una fanciulla, divenuta donna e quindi impura, non possa più restare nel recinto sacro del tempio. Così, con grande concorso di popolo, si tiene un'insolita asta pubblica per assegnare in sposa la giovane Maria. La sorte assegna a Giuseppe, un vecchio falegname, quella che, in realtà, è per lui una figlia piuttosto che una moglie.
    Questa è la trama, impreziosita dalla trascrizione, sulla busta interna del disco, di alcuni brani del protovangelo di Giacomo. La canzone si chiude sulla voce narrante del solista, che cita un altro passo dello stesso vangelo: Giuseppe porta Maria nella propria casa e subito la lascia per andare a svolgere un lavoro che lo terrà lontano quattro anni [...].
    Il coro [...] prima piange l'infanzia reclusa della giovane e poi impersona la folla durante l'assegnazione di Maria.
    [Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 63-64]


    *   *   *


    Terminato il Laudate Dominum, inizia L'infanzia di Maria: questo è un brano di circa cinque minutiin cui si ascolta per la prima volta la voce dell'autore, in cui la struttura voce-musica è più canonica.
    I toni non sono cupi ma sono comunque malinconici; De André non canta bensì recita, anzi racconta: la musica si sposa ancora alla parola, direi alla narrazione cantata in questo caso, senza però dimenticare che di canzone si tratta e che questo l'ascoltatore si aspetta; e così intona L'infanzia di Maria attraverso un'alchimia di linguaggio e musica che lascia immediatamen te sedotto lo spettatore.
    La vicenda narrata, come proposto dal titolo, riguarda la storia di Maria bambina.
    Il racconto è triste, una tristezza che vorremmo vedere estranea all'infanzia ma che è anche antonomasia dell'inizio di ogni fiaba, una vicenda tragica ed apparentemente senza soluzione: Maria viene reclusa in un tempio senza un motivo preciso ma suggerendo dei "forse" - il bisogno o, "peggio", il bnuon esempio - che comunque non rendono conto dell'importanza di un figlio, come se la bambina fosse un elemento di secondo piano per la famiglia, abbandonata a se stessa senza affetti su cui contare.
    Il "forse fu all'ora terza, forse alla nona" è anch'esso strumento tipico della retorica fiabesca, i "forse" in generale rimandano all'incertezza del quando e anche del dove, in quanto tipici di ciò che non è preciso, di ciò che non è dunque letto o scritto ma raccontato, tramandato: con L'infanzia di Maria sembra proprio che all'ascoltatore venga proposta una narrazione fiabesca.
    Ma cosa accade alla bambina?
    Gli [sic] viene "cucino qualche giglio sul vestitino alla buona" e viene lasciata ai sacerdoti nel cui tempio la piccola non riesce a supplire l'affetto maternoche, tramite il senso di Anna - la mamma di Maria - le placava la sete tra le mura discrete di casa.
    Ciò che sembra distinguere la permanenza della fanciulla nel tempio sono "cibo e Signore" ma, finalmente, compare un personaggio estraneo e magico che allevia le sue pene: è un angelo.
    Anche qui c'è un richiamo alla favola; l'angelo infatti sembra proprio interpretare l'elemento magico-fiabesco, cioè il personaggio che nei racconti per bambini giunge per risolvere una situazione disperata (...). Ma l'angelo è solo un accenno, la sfortuna di Maria deve ancora essere completata dal racconto, gli elementi compaiono poco alla volta, probabilmente per non sviare l'attenzione dal sentiero che l'autore vuole farci calpestare: ed è così che ritorniamo ai sacerdoti che dopo anni (Maria ne aveva solo tre quando fu portata al tempio) le rifiutano alloggio per colpa della sua pubertà sopraggiunta; ma è questa una colpa?
    Maria dunque viene bistrattata, discriminata direi, per la sua verginità "che si tingeva di rosso" e così la vogliono maritare pur essendo lei giovane e, soprattutto, non intenzionata al matrimonio.
    Ennesima negazione dell'amore: i sacerdoti le cercano uno sposo chiamando gli scapoli d'ogni lega e facendo lotteria del suo corpo (...).
    Entra ora in scena un nuovo personaggio: Giuseppe. Un uomo ritratto come vecchio e stanco ma, soprattutto, già padre: a questo punto, pur non ricorrendo ad alcun metatesto, ossia a nessuna sapienza esperta, e quindi senza citare i vangeli canonici, è dato di comune conoscenza che il padre terreno di Gesù non avesse figli; De André sfrutta ancora una volta l'incerto, del resto al fruitore dell'opera è dato di sapere che questa buona novella è tratta dai vangeli apocrifi (...) scritti grazie al connubio di tradizioni popolari, leggende, note ufficiali e notizie tramandate sulla venuta del Cristo (...).
    E comunque, come tutti intuiamo, è Giuseppe ad accaparrarsi Maria, in questo gioco che l'autore sviluppa sfiorando la fede ed aggrappandosi più che altro al fantastico.
    L'uomo scelto per la bambina non ha però voglia di assumersi responsabilità di un nuovo figlio impostogli, sì, perché essendo ormai vissuto, "un cuore che ormai si riposa", Giuseppe non può che vedere la bambina come tale, senza alcuna intenzione su di lei.
    Dunque un uomo triste, piegato dagli anni e disinteressato, prende in mano il destino della sventurata (...).
    La malinconia regna sovrana ed è ben sottolineata dai cori che, nel finire del brano, fanno da sottofondo alla voce di De André che, piatta e arida, a mo' di cronaca ci informa del viaggio che Giuseppe affronterà per un impegno di lavoro preso in precedenza: resterà assente quattro anni. Ancora una volta Maria viene abbandonata, ancora una volta non è assolutamente protagonista del proprio destino.
    [Riccardo Succi, Laudate Hominem. Uno studio "sacrilego" su "Labuona novella" di De André, Greco&Greco, 2004, pp. 29-32]