• Ottocento è il XIX secolo visto come l'epoca della borghesia che prende il potere al posto della nobiltà, il trionfo del progresso e degli affari, che fa scadere il valore della famiglia ridotta a fabbrica domestica. Il protagonista è un borghese, probabilmente un commerciante, fiero della "moglie dalle larghe maglie", della figlia "già matura e ancora pura" e del figlio "bello e audace, bronzo di Versace". Purtroppo è incapace di vedere i bisogni del figlio, che si suicida buttandosi nel naviglio "per ferirmi, pugnalarmi nell'orgoglio".
    Davvero una fine indegna, commenta il padre, se non altro perché su di lui aveva investito molto, e il figlio l'ha deluso. Il dolore è solo sfiorato: la delusione, in un buon capitalista, non deve mai avere la meglio, rieccolo quindi che riprende la sua filastrocca allegra, in un maccheronico e finto imponente tedesco, convinto di futuri successi.
    È una maestosa orchesta, insieme ad un coro operistico, a rendere la grossolana presunzione del protagonista. (...)
    Fabrizio fa l'interprete, prestando una voce da operetta al ricco commerciante. Nella tournée de Le nuvole, Fabrizio esordirà sul palco proprio con questa canzone, cantata in piedi e indossando un frac.
    [Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, pp. 145-146]


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    La sottile critica al capitalismo odierno - eccessivo e incontrollabile - avviene mediante analogie e paragoni con le strutture e le idee del XIX secolo (l'Ottocento, appunto). La cadenza di proposito esageratamente farsesca prende di mira tanto la borghesia dipinta come una classe onnisciente (ma che alla fine non sa fare niente), quanto il proletariato ridotto a mero consumatore supino nell'accettare indiscriminatamente ogni boutade reclamistica. Ed è pure un'invettiva riguardante la scarsa considerazione che taluni contemporanei ingenerano in molti artisti - poeti e cantautori compresi - che a loro volta restano sfiduciati nel loro impegno creativo. Si tratta di una canzone dal disinvolto cosciente anacronismo, che appare il concentrato di un'opera buffa, ma che, a ben vedere (e sentire) risulta un cocktail di svariate forme sonore, dall'operetta al cantautorato, dal musical allo jodel tirolese. C'è persino un riferimento, di proposito dissonante, alla Donna de Paradiso di Jacopone da Todi. Addirittura la voce di Faber è qui insolita, con un'intonazione snob in falsetto, da lui stesso commentata, quando riporta in un'intervista le motivazioni di questa scelta: "Ė un modo di cantare falsamente colto, un fare il verso al canto lirico, suggeritomi dalla valenza enfatica di un personaggio che più che un uomo è un aspirapolvere: aspira e succhia sentimenti, affetti, organi vitali ed oggetti di fronte ai quali dimostra un univoco atteggiamento mentale: la possibilità di venderli e di comprarli. La voce semi-impostata mi è sembrata ideonea a caratterizzare l'immaginario falso-romantico di un mostro incolto e arricchito".
    [Guido Michelone, Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone, Barbera, 2011, pp. 112-113]