• Volta la carta si presenta come la più classica delle filastrocche in versione De André. Le immagini si sostituiscono velocemente le une alle altre, proprio come si voltano le pagine. Si comincia da una mondina, poi si passa a un villano, poi alla guerra e così via, senza un nesso logico preciso, e senza la pretesa di dire qualcosa, al di fuori di un fuggevole amore tra una ragazza (Angiolina) e un ragazzo straniero, amore che "finisce in gloria".
    [Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, pp. 111-112]


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    È una filastrocca alla quale ognuno potrebbe aggiungere una strofa, come da tradizione, perché l'importante è creare rime. I primi versi appartengono a una filastrocca preesistente che conoscevo - "c'è una donna che semina il grano / volta la carta e viene il villano / il villano che zappa la terra / volta la carta e viene la guerra" e così via. Da lì in poi abbiamo proseguito noi.
    "Volta la carta" è per me un perfetto esempio di "dadaismo" contadino e popolare. La metrica è in endecasillabi su cui puoi inventare accoppiando delle rime baciate. Ricordo mia nonna che la cambiava ogni volta che la cantava. Non contenti di inserire nuove strofe, abbiamo anche operato nel ritornello l'innesto di altre canzoni popolari. La prima è quella che parla di Angiolina e che mia madre cantava spesso: "Ohi Angiolina bell'Angiolina / innamorato io son di te / E la gh'aveva la veste rosa e le scarpette di raso blu"; la seconda è Madamodorè che "ha perso sei figlie / tra i bar del porto e le sue meraviglie".
    Poi c'è un omaggio a quella commedia all'italiana ancora legata al neorealismo che è Pane, amore e fantasia: il carabiniere del paese che ha fatto innamorare Angiolina-Lollobrigida ("carabiniere l'ha innamorata / volta la carta e lui non c'è più") era il giovane carabiniere veneto comandato dal maresciallo Vittorio De Sica. Poi c'è un riferimento ad altri film di quel periodo con l'arrivo del soldato americano che portava i primi dischi delle grandi orchestre jazz, "ragazzo straniero ha un disco d'orchestra / che gira veloce, che parla d'amore".
    L'intento era di creare una filastrocca d'impianto folk sulla quale aprire finestre di cinema popolare e richiami alla tradizione della canzone contadina del passato.
    Alla fine, su tutti, emergono due figure gioiose e pure: quella del bambino che sale il cancello, ruba ciliegie e piume d'uccello, e Angiolina.
    Poi, come in tante di quelle commedie, c'è il lieto fine: "Angiolina ritaglia i giornali, si veste da sposa e canta vittoria / chiama i ricordi col loro nome, volta la carta e finisce in gloria".
    [Massimo Bubola, in Massimo Cotto, Fabrizio De André raccontato da Massimo Bubola, Aliberti, Reggio Emilia 2006, pp. 42-43]


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    Da sempre Faber ama comporre pezzi che affondino le radici in svariati filoni popolari di filastrocche, nenie, scioglilingua, che appartengono a loro volta a numerosi patrimoni etnoculturali sparsi lungo l'intero Stivale. Come in queste tradizioni, De André accosta, verso dopo verso - introducendoli con la frase che dà il titolo al pezzo - concetti anche molto diversi tra loro benché collegabili formalmente dalle rime, fino a ottenere una sorta di surrealtà popolaresca o di folclorismo dotto per via delle numerose citazioni. Si inzia infatti con l'inserimento di alcune parole della celeberrima Mamadorè di dominio pubblico, e si approda a un più generale discorso che riguarda il prestito di un altro motivo folk chiamato Angiolina, bell'Angiolina. E c'è pure un riferimento al neorealismo di Pane, amore e fantasia (regia di Luigi Comencini) che prelude alla commedia all'italiana, nelle analogie con le vicende sentimentali di una bella giovane di nome Angiolina, che soffre le pene d'inferno per l'amore (corrisposto) verso un carabiniere in un lieto fine matrimoniale. Il senso del brano è fornito dal Cantautore medesimo: "Con l'andare del tempo si scopre che gli uomini sono dei meccanismi talmente complessi che agiscono tante volte in modo indipendente dalla loro volontà". Nell'incidere l'allegro motivetto ben ritmato (unico "felice" nell'intero album), di fatto si recupera un'antica "foletta" (filastrocca infantile) dal titolo La donnina che semina il grano e si ascolta anche la voce di Dori Ghezzi (già discretamente famosa pop singer) da poco compagna di Fabrizio.
    [Guido Michelone, Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone, Barbera, 2011, p. 147]