• La critica internazionale ha giudicato Creuza de mä tra i dieci migliori dischi degli anni Ottanta.


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    Creuza de mä è stato scritto nel 1983 ed è uscito nel 1984. È un incontro di energie che difficilmente, almeno per quanto mi riguarda, si ripeterà. Perché l'abbiamo scritto? Certe cose vengono fuori da quello che chiamiamo l'altro, quello che ci suggerisce il subconscio. Probabilmente l'ho scritto per idenfiticarmi in un'etnia precisa, quella ligure, ma anche per identificarmi in un universo più vasto, che è quello del Mediterraneo. Voleva essere, in effetti, un disco sul Mediterraneo. Per gli strumenti abbiamo scelto quelli che vanno dal Bosforo fino a Gibilterra, dallo shannaj turco al bouzouki greco, passando attraverso l'oud (il nonno della nostra chitarra) per arrivare proprio alla chitarra andalusa, senza dimenticarci il mandolino napoletano. Per la lingua, abbiamo scelto il genovese, la lingua che mi è più familiare.
    Ricordo quando il rappresentante della Ricordi mi telefonò sconcertato: "guarda che qui a Genova non lo capisce nessuno". In effetti è il dialetto che molti non ricordano più. Sono andato a cercare quei termini caduti in disuso, importati direttamente dall'arabo-turco, da cui il nostro idioma ha preso almeno duemila vocaboli. Credo che la nostra sia una nazione ancora molto giovane per potersi identificare completamente nella lingua italiana, che a sua volta, comunque, è stata un dialetto. Il rapporto lingua/dialetto è un rapporto, direi, nutrizionale: la lingua è un po' scaduta dal punto di vista della diversificazione e dell'arricchimento della terminologia, a parte molte parole straniere; ma i dialetti, le lingue locali, le lingue cosiddette minori continuano a nutrire la lingua italiana delle loro espressioni divertenti e sicuramente artistiche. Meno male che questi dialetti non si perdono, malgrado l'ostracismo della televisione. Pasolini diceva che il dialetto è il popolo e il popolo è l'autenticità. Sembrano la premessa, la tesi e l'antitesi di un sillogismo; se vogliamo fare una sintesi, potremmo dire che il dialetto è l'autenticità.
    [presentando il disco al Teatro Valli di Reggio Emilia, 06/12/1997]


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    Credo che io e Mauro abbiamo fatto un'operazione completamente innovativa, perché questa famosa world music non si era ancora affermata. Paul Simon, per esempio, vi si accostò dopo. Credo che noi abbiamo contribuito all'affermazione di questo genere musicale. Non ci siamo affatto basati su esperienze esterne, ci siamo sganciati da culture che non ci riguardavano. Mauro lo avevo conosciuto nella tournée de L'Indiano e un giorno mi aveva detto, quasi scherzosamente: "Quand'è che facciamo un disco da 400.000 copie", ed io risposi: "anche subito!". E così abbiamo messo insieme i nostri rispettivi bagagli etnici e abbiamo tirato fuori questo lavoro, con fatica, ma anche con estrema soddisfazione. Con Mauro ho avuto un rapporto lavorativo quasi simbiotico, con tutti i rischi che questo tipo di commistione comporta. Certo, non abbiamo raggiunto le sue previsioni iniziali, ma lui è sempre troppo ottimista. [in Cantico per i diversi, intervista a cura di Roberto Cappelli, Mucchio Selvaggio, settembre 1992]


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    Non è dedicato né al genovese né a Genova ma al bacino mediterraneo. Ora, là dove Mauro Pagani attraverso la sua capacità strumentale, come musicista, era riuscito sicuramente a rappresentare, anche se in vitro, un piccolo mondo mediterraneo, io dovevo fare delle parole che rispecchiassero in qualche maniera, altrettanto in vitro (e "letterariamente", perché poi sono sempre versi per canzoni) quello che è il mondo del Mediterraneo. Credo che il genovese sia fra gli idiomi neolatini quello che ha più importazione di fonemi arabi, che coinvolgono quindi tutto il Mediterraneo. Il genovese questa funzione l'ha svolta e la continua a svolgere anche se purtroppo... dico purtroppo per quanto riguarda l'ipotetico "separatismo" genovese, che in effetti non esiste.
    [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 63]


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    Creuza de mä non è altro che la rappresentazione di un viaggio nel Mediterraneo, che ha come punto di partenza e di arrivo la città di Genova, ma i cui personaggi si muovono lungo tutto il bacino del Mediterraneo, Africa del Nord e Vicino Oriente compresi.
    [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 72]


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    Creuza de mä è un flusso continuo di suoni strumentali e vocali: non tanto canzoni, in cui la musica si adatta al testo e viceversa, quanto veri e propri incontri tra i fonemi dell'idioma genovese - con le sue tonalità basse e gutturali, le liaisons, le vocali modulate - e i suoni di strumenti etnici dell'area mediterranea, dalla gaida macedone alla chitarra andalusa, dallo shannaj turco al liuto arabo. È il frutto di una lunga e appassionata ricerca sulle affinità morfologiche che si ritrovano nel patrimonio musicale di tutti i popoli del bacino mediterraneo, siano africani, europei o asiatici, e non solo di quelli, poiché le strade di diffusione delle culture - del modo di raccontare i miti come di quello di fare musica - risalgono a tempi arcaici, travalicano, qualche volta, le vie dei commerci, e disegnano un atlante nuovo ed insospettato delle forme della creatività umana.
    De André non rinnega con questo disco il suo lavoro passato, ma compie un altro giro di boa in quella che all'inizio abbiamo chiamato la sua navigazione nella musica. Partito dalla canzone d'autore, giocata su uno schema musicale tradizionale accordato a testi molto curati dal punto di vista dell'effetto emotivo, De André ha sviluppato enrambe le componenti, in alcuni casi, elaborando ampiamente gli arrangiamenti, in altri, riducendo al minimo la parte musicale e affidando così tutto l'effetto alla modulazione della voce.
    Da un po' di tempo a questa parte, un nuovo atteggiamento si è fatto strada, un interesse alla sintesi dei suoni e delle emozioni: e l'orizzonte musicale di De André si è allargato e arricchito di una nuova gamma di possibilità sonore e ritmiche, di strumenti, accordi e immagini raccolte sulle coste e sulle isole di un mare più grande.
    La guerra di Piero e Il pescatore sono lontante trent'anni, ma non sono dimenticate del tutto se, all'interno di questo lavoro musicale ormai decisamente diverso, la scelta dei temi è ancora quella che ha caratterizzato De André fin dall'inizio. Ancora i tipi umani tante volte incontrati: l'emarginato sociale, in questo caso la Pìttima che riscuote i crediti; le prostitute in uscita domenicale e la regina "de e bagasce", Jamin-a, cantata in un capolavoro hard-core; la guerra raccontata attraverso la "piccola" morte di un bambino palestinese nel tragico orizzonte del Libano; infine la scaltrezza di un marinaio genovese che da prigioniero dei turchi diventa Sinàn Capudàn Pascià. Una galleria di situazioni aperta e conclusa da due canzoni di mare, la malinconica D'ä mæ riva, uno sguardo verso terra mentre si naviga "un po' più al largo del dolore", e l'onda calma e continua di Creuza de mä.
    [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 233-234]