• È una satira, e direi che era il momento adatto per farla. Anche perché nonostante la lucidità che ti permette di intravedere l'avvicinarsi di un collasso della nostra società, di questa società fai comunque parte. Partecipi in qualche maniera a questa cena di Trimalcione, e quindi direi che hai tutti i requisiti adatti per poter fare una satira.
    [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 68]


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    Il tema di Le nuvole è il rapporto tra chi detiene il potere e chi lo subisce e, in questo caso, proprio da un punto di vista dello svolgimento del tema, il disco è addirittura diviso in due.
    [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 72]


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    Si stava bene (e si stava male) al tempo in cui gli Dei gestivano fulmini e bonacce, nuvole e calure: ci si rassegnava. Poi venne il tempo di molti dubbi e interrogazioni, e l'Olimpo parve quel povero monte che è, e la sua vetta stuzzicava un cielo divenuto più concreto, e le nuvole, figlie sue, ebbero un peso specifico senza voler gravare sul destino dell'uomo.
    È a partire da quest'epoca, forse, che scrutare il cielo per cavarne responsi o riflessi speculari di umori e misteri terreni è parsa un'attività ridicola. E parimenti ridicolo l'attardarsi a guardarlo, il cielo, per cavarne impressioni o incanti o spaventi. Soltanto i poeti, traversando i secoli, sono stati a contemplarlo: attitudine sublime e inutile: ma i poeti, si sa, sono l'essenza del ridicolo. Più ridicoli di loro sono soltanto coloro che il cielo non lo conoscono neppure come metafora; e continuano a estrarre l'utile rincorrendo in branco le consistenze terrene: i normali.
    Nuvole.
    "Sono loro che ci procurano idee, parola agile e mente pronta, e l'arte di incantare e raggirare...".
    È il Socrate di Aristofane che parla così, in un'epoca intensamente metereologica che vuol capire il cielo senza il dizionario di oracoli e divinità.
    Nuvole.
    "Vanno / vengono / ogni tanto si fermano / e quando si fermano / sono nere come il corvo / sembra che ti guardano con malocchio".
    È il coro che apre la raccolta (il racconto?) di De André, in un'epoca che torna alle divinazioni in forma di previsioni del tempo.
    La questione, dunque, è tutta nella meteorologia. Poi, naturalmente, scivola nei suoi traslati; e investe caratteri e persone, maschere e deformazioni.
    Le Nuvole.
    Ai tempi di Aristofane si cerca di sottrarre a Zeus il monopolio dei fulmini; ai tempi nostri di sottrarre al Caso la programmazione delle vacanze. Ce n'è d'avanzo per interpretare ed esprimere tutta una casistica di comportamenti umani, di perversioni e corruzioni indotte, chi sa, dall'irritazione degli Dei o del Caso.
    Andiamo con ordine.
    Nuvole come arte del confondere e raggirare; nuvole come espressione di un cielo denegato; nuvole illusorie che promettono e non mantengono le immagini della favola e peranco "ci lasciano una voglia di pioggia".
    In Aristofane, di contro a una società gretta e stupidotta, v'è un'intellighenzia che organizza senza volere le tecniche della fraudolenza e della malversazione. In uno stile che sarà molto più tardi dei racconti filosofici, si affrontano, sermocinanti, Discorso Migliore e Discorso Peggiore. Sullo sfondo, la Legge della città e dell'Olimpo. Aristofane, si sa, è fautore della conservazione.
    Senza essere conservatore De André mette a fuoco il microscopio sul vetrino di una società che non ha più alcun Discorso, la coglie dopo una catastrofe che non è neppure avvenuta, nell'immobilità d'una condizione di sostanziale anomia, ove i miti-feticci hanno preso il posto della Verità e del Dubbio. La corruzione si radica in un contesto decaduto e degenerato: nessuno fa sperare o illudere un futuro ove possa esplicarsi l'Autenticità. Ci si lamenta dei propri futili quotidiani problemucci, la trasgressione diviene norma, lo Stato recita la scena madre dell'indignazione.
    Piccoli personaggi senza volto si alternano nei testi delle canzoni soffrendo e offrendo lo spettacolo della loro propria confusione, della loro disperata e però banale protesta: una galleria di mostriciattoli senza il conforto di alcun Discorso, migliore o peggiore che sia, di alcuna legge da accettare o da confutare. Personaggi senza identità sprofondano in un quotidiano senza furuto. Secondini, commercianti, cuochi, contadini... inseguono il loro piccolo illusorio tornaconto e seppelliscono anche il sentire, sempre che ne conservino uno, occultandolo in una palude di oggetti ai quali hanno delegato l'identità.
    Le nuvole di Aristofane onorano la struttura della commedia e seguono il percorso della fabula affidandola a caratteri grotteschi, a linguaggi contrapposti, vuoi affettati vuoi scurrili, che fanno esplodere l'urto comico. Il "racconto" di De André non ha modelli né generi: soltanto esplica una ironia amarissima, dalla quale traspare una rabbia impotente. Per resistere, per continuare a essere liberi occorre tenere un cannone nel cortile di casa: l'assedio non regala tregua, non è più appannaggio esclusivo di istituzioni folli, di politiche assurde, di economie assassine. È il risultato d'una confusione senza limiti. Persino l'uomo che s'innamora di un'asina non desta stupore, semmai stupide rituali invidie e impedimenti paradossali. Persino il dolore per la morte d'un figlio può essere facilmente sedato con opportune "pillole" in libera offerta sul mercato.
    E la satira?
    Dentro questo quotidiano immobile e senza esuberanze, nella rete di un infinito borbottio, in un tempo che bada soltanto a riprodurre se stesso è forse possibile che la satira esplichi la propria funzione antropofaga? Quale potere è talmente concreto da poter essere divorato? Forse è finita (meglio dire sospesa) l'epoca in cui i cantautori elevavano la protesta contro storture e torture? Forse anche i cantautori sono responsabili dello sfacelo; anche i loro canti prezzolati hanno contribuito ad ammonticchiare i detriti d'un mondo senza avventura, immiserito dallo spasmodico bisogno di rassicurazioni?
    L'unica avventura possibile allora è nella ricerca di nuove forme che sappiano esprimere, come i testi di De André, il vuoto di personaggi senza volto né carattere, affidando la poetica a un ornato volutamente crudo e a figure che rifiutano qualunque dolcezza.
    Aristofane è davvero lontano: nella sua città le contraddizioni potevano essere espresse in Discorsi e l'avventura della conoscenza, benché egli non l'amasse, era ancora possibile.
    Nuvole.
    Nuvole che lasciano voglia di pioggia e non fermentano alcunché: ripetono l'andare e il tornare dentro uno scenario senza desideri.
    [Giorgio Pellegrini. In Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 249-252]