• Che lui fosse un poeta ne dubitano soltanto i mestieranti del verso sciolto, i Raboni, i Magrelli, i piccoli speziali della metafora.
    [Cesare G. Romana, in Volammo davvero (a cura di Elena Valdini), RCS Libri, Milano 2007, p. 25]

    De André cantautore parte sempre da sé ma canta sempre degli altri. Perciò fra l'altro la sua canzone è in senso perfettamente gramsciano, pedagogica, formatrice di una nuova coscienza. Ossia De André parte, nel suo lavoro di cantautore, dalle sue reazioni e conoscenze pratiche vissute fin dalla gioventù volutamente fuori dal mondo perbene cui era destinato, o quindi dentro l'altro mondo degli emarginati, degli offesi e umiliati d'ogni tipo e risma, però tutti da includere nel rapporto umano che non prevede disuguaglianze, per cui al centro del suo discorso c'è sempre l'altro che poi è il mondo degli uomini reali da scoprire, cantare, infine affermare.
    [L. Pestalozza, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, Milano 1997, pp. 169-170]

    "De André ha una cosa fondamentale, al di là delle canzoni che scrive: ha questa voce... una voce che anche se legge l'elenco del telefono ti suggerisce qualche emozione. Non saprei spiegarne il movito: sarà forse perché ha un timbro diverso, forse perché è profondo, perché viene da dentro, insomma ha questa specie di carisma strano".
    [F. Zampa, in D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, terza edizione: 1999, p. 10]

    "De André non è stato mai di moda. E infatti la moda, effimera per definizione, passa. Le canzoni di De André restano a brillare al sole di oggi come il primo giorno che sono nate."
    [N. Piovani, Portiamolo nelle scuole, in "Musica! Rock & altro", supplemento a "la Repubblica", 21 gennaio 1999]

    Fabrizio è il capostipite e unico rappresentante di un genere mai più imitato e soprattutto mai più percorso, perché è suo e basta, consono alla sua voce, alla sua cultura, al suo modo d'essere, alla sua straordinaria verve culturale. E quel po' di snob che fa bene, a dire la verità, lo ha sempre salvato, lo ha sempre distinto dal mucchio, dal gruppo. Per quanto riguarda il miracolo De André, nel suo caso possiamo proprio parlare di un genio (...).
    Ha dato sicuramente una grande dolcezza alla canzone e anche molti concetti belli e tanta politica fatta senza i termini tipici della politica. Ha dato una grande mano a tutta la sinistra, a tutta la democrazia, pur senza sventolare bandiere, senza far chiasso politico, anzi molto di più di altri che l'hanno fatto, guardando dentro l'uomo, l'archetipo umano proprio, quelli che sono i problemi veri, per farlo naturalmente, con la favola, col mito, che sono elementi tipici dell'uomo da sempre, ecco perché il suo uomo, i suoi personaggi, sono quasi sempre fuori dal tempo, a parte alcune canzoni come Don Raffaè.
    E poi ha un'eleganza straordinaria, non è mai barocco, non si lascia mai andare a esagerazioni, a sovrascrizioni, al di sopra delle righe, è sempre di una contenutezza straordinaria, che è appunto il massimo della formalità, la sua forma non è formalismo.
    Il suo è un marchio di garanzia indimenticabile".
    [R. Vecchioni, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 131-133]

    Fabrizio De André ha accompagnato questi anni come un contrappunto, come uno stimolo, uno stimolo a non perdere mai la capacità di far volare gli occhi un po' più in alto rispetto al piano della vita ordinaria, della cronaca, oppure anche dell'impegno politico. Io seguo la sua musica sin dagli anni sessanta e penso che davvero De André ci ha "aiutato a pensare", ci ha aiutato a pensare in altri modi, a guardare le cose con altre parole, e le parole, in qualche modo, sono delle guide che spingono l'animo, il corpo, verso territori che spesso, nell'impegno quotidiano, vengono dimenticati.
    [R. Curcio, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 47]

    I dischi di De André sono insieme poesia, canto e profezie, danno giudizi sulla società, misurandola con l'ambizione di poterla cambiare: insomma sono le canzoni che ci tengono in vita.
    [A. Franchini, Uomini e donne di Fabrizio De André, Fratelli Frilli Editori, Genova 2000, pp. 142-143]

    La canzone di De André ripercorre il doppio binario tematico su cui è corsa la letteratura italiana: da un lato, la linea estetico-intimista e, dall'altro, il versante etico-civile. Campione del primo filone (con sporadiche incursioni nel secondo ) Petrarca, capofila del secondo tracciato (con varie frequentazioni del primo) Dante.
    Nei primi dischi di De André la dicotomia sembra evidente: da una parte storie d'amore, dall'altra canzoni di satira e di polemica (contro la guerra, il perbenismo, l'autoritarismo, l'ingiustiza...). In realtà, a ben guardare, le due linee si intrecciano spesso. [Nota. Canzoni come La guerra di Piero, Fila la lana, La ballata dell'eroe, Marcia nuziale, Bocca di rosa, Via del Campo e Geordie, La ballata del Michè si pongono al crocevia tra la tematica amorosa passionale di La canzone di Marinella o della Canzone dell'amore perduto e gli spunti satirici o polemici di La città vecchia, Il fannullone, Il gorilla, Il testamento, Carlo Martello].
    [F. De Giorgi, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, Milano 1997, p. 94]

    La poesia di De André si distendeva in una demistificazione del perbenismo borghese, delle sue meschine sicurezza, delle sue grette piccinerie, dei suoi sciocchi luoghi comuni, della sua ipocrisia avida e vigliacca.
    [F. De Giorgi, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, Milano 1997, p. 73]

    Le opere di De André, [...] attraverso la magica fusione tra musica ed endecasillabi, hanno fatto conoscere la sopraffazione dei forti, le miserie umane, la solitudine, la guerra, la morte.
    [A. Franchini, Uomini e donne di Fabrizio De André, Fratelli Frilli Editori, Genova 2000, p. 9]

    Le sue canzoni parlano di un dolore e di una solitudine senza tempo, nella quale chi ha fatto esperienza del male di vivere non può non riconoscersi.
    [F. Canero Medici, Fabrizio De André. Un volo tra amore e morte, Bibliosofica, Roma 2000, p. 15]

    Le sue canzoni sono un vaccino contro ogni razzismo.
    [S. Benni, La voce dei mari, "Il Manifesto", 12 gennaio 1999]

    Lo stimo sia come musicista, ma soprattutto come poeta, che ha aiutato la crescita della nostra gente con le sue canzoni. Ci ha stimolato a pensare. Fabrizio De André ha uno spessore diverso dagli altri, ha toccato vari temi, vari problemi, anche con coraggio in un momento in cui sappiamo l'Italia cos'era e cosa è stata.
    Ha sempre rischiato in prima persona non avvalendosi di appoggi come altri colleghi e, pur essendo una persona di estrazione borghese, è stato attento a problemi che in fondo lo riguardavano soltanto fino a un certo punto. Lo ha fatto avvicinandosi col pudore della sua educazione, trattandoli con estrema verità, sensibilità e attenzione.
    [U. Bindi, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000, pp. ]

    "Nelle sue poesie Fabrizio De André ha sempre espresso un grande rispetto per le puttane, ma non per le puttanate."
    [N. Piovani, Portiamolo nelle scuole, in "Musica! Rock & altro", supplemento a "la Repubblica", 21 gennaio 1999]

    Non c'è volto e figura della strada su cui Fabrizio De André non abbia scritto e cantato. Volti e fatiche (fatica di vivere e fatica per vivere) tradotti in versi e in emozioni. Tolti dall'ombra e dal pregiudizio. Liberati dal moralismo e dal perbenismo; dalla carità pelosa, anche. Volti e fatiche sottratti ai gesti vuoti e ipocrite delle elemosine, della solidarietà senza giustizia, della giustizia senza umanità. Restituiti alla dignità di uomini e donne. Di essere considerati persone e riconosciuti come cittadini. Che si tratti di drogati e alcolisti, prostitute e vagabondi, carcerati o immigrati. [...] La poesia cantata di De André ha restituito dignità, dunque speranza, dunque giustizia, a tutti loro. A tutti loro, a tutti gli abitanti del "mondo in controluce": il popolo della strada e del sottosuolo, dei senzapace e dei senzadiritti.
    [Don Luigi Ciotti, in Volammo davvero (a cura di Elena Valdini), RCS Libri, Milano 2007, pp. 47-48]

    "Non era un poeta tout court, tutt'altro. Era un incantatore di suoni e parole, uno di quelli che possiedono il segreto, del resto antichissimo, di una lingua in cui versi e musica non possono essere separati, e la poesia è sempre anche suono."
    [G. Castaldo, Scolpiva le parole con la voce. Liberò la canzone dall'età dell'innocenza, "la Repubblica", 12 gennaio 1999]

    Prima che quel fastidioso mal di schiena che lo affliggeva sfociasse nella malattia, Fabrizio aveva in testa un disco sulla notte e per questo aveva ripreso in mano il De rerum natura di Tito Lucrezio Caro (Lavorava sempre sui libri).
    [A. Franchini, Uomini e donne di Fabrizio De André, Fratelli Frilli Editori, Genova 2000, p. 123]

    Se poesia e canzone nella loro origine nascono ad un medesimo parto, De André torna a far loro vedere la luce insieme, perché gli antichi poeti greci erano cantori e la dimensione dell'oralità non si è perduta nella tradizione medievale dei trovatori provenzali e della ballata.
    [F. Canero Medici, Fabrizio De André. Un volo tra amore e morte, Bibliosofica, Roma 2000, pp. 24-25]

    "Si pensa soprattutto al poeta, ma ci si dimentica che De André era soprattutto la sua voce e che per quella erano pensate le canzoni, una voce nitida, ferma, profonda, scolpita come un bassorilievo che nei dischi e nei concerti riempiva l'aria con un'autorità che pochi hanno posseduto."
    [G. Castaldo, Scolpiva le parole con la voce. Liberò la canzone dall'età dell'innocenza, "la Repubblica", 12 gennaio 1999]

    Se, come scriveva Tucidide, "i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo, e tuttavia l'affrontano", allora l'intera vicenda artistica e intellettuale di Fabrizio De André (condividerla o meno non muta i termini della questione) è la storia di un coraggioso che [...] non ha smesso di puntare la prua della sua galea carica di dannati, di esclusi e di "servi disobbedienti" verso i porti del disinteresse, dell'arroganza e della violenza dei piccoli e grandi borghesi perché lì, la loro voce, continuasse a gridare con rabbia e disincanto "per quanto voi vi crediate assolti /siete per sempre coinvolti".
    [R. Giuffrida / B. Bigoni, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, Milano 1997, pp. 62-63]

    Temi portanti di Fabrizio: l'amore per la marginalità, lo sdegno nei confronti del potere, l'attenzione al sociale come primario movente del canto.
    [Cesare G. Romana, in F. Canero Medici, Fabrizio De André. Un volo tra amore e morte, Bibliosofica, Roma 2000, p. 11]

    Una delle cose più strordinarie di Fabrizio De André è stata la sapienza infinita nell'uso della parola.
    [Michele Serra, in Volammo davvero (a cura di Elena Valdini), RCS Libri, Milano 2007, p. 58]