• Dal greco éthos (= "costume, comportamento"), questo termine è stato introdotto da Aristotele per indicare quella parte della filosofia che si occupa del comportamento generale dell'uomo e dei criteri in base ai quali giudicare le sue azioni e le sue scelte. In questa prospettiva generale, si può distinguere tra:
    1. E. descrittiva, che si limita appunto a descrivere la condotta morale e le regole che orientano tale condotta;
    2. E. normativa, che mira a stabilire i valori e a fornire indicazioni e regole a cui attenersi.

    Benché in certi casi sia possibile distinguere questi due aspetti (ad esempio l'E. aristotelica è prevalentemente descrittiva; quella platonica essenzialmente normativa), il più delle volte questi due aspetti sono strettamente connessi ed intrecciati.

    Una seconda distinzione dipende dalla risposta che le varie teorie etiche danno alla domanda: "perché si deve agire moralmente?". Le risposte ricorrenti si riducono sostanzialmente a due:

    1. "perché solo agendo moralmente si consegue la felicità" (ad esempio Aristotele);
    2. "perché agire moralmente è un dovere" (ad esempio Kant).

    La prima risposta è alla base delle etiche eudemonistiche (dal greco eudaimonía = "felicità"). La seconda presiede alle etiche deontologiche (dal greco déon = "dovere").

    Un'altra particolare distinzione è quella introdotta da Hegel tra moralità (come sfera della condotta individuale) e eticità (come valori morali incarnati nella storia).

    L'E., accanto alla metafisica, è indubbiamente la disciplina filosofica su cui più si è discusso; ma, a differenza della metafisica, è ancor oggi al centro del discorso filosofico, e per gli scenari che si vanno profilando o si sono già realizzati (globalizzazione, società multirazziali, divario tra ricchezza e povertà, questioni bioetiche, terrorismo, e guerra come soluzione al problema del terrorismo) è facile prevedere che lo resterà a lungo.

    Ma al di là di un mondo in costante e inarrestabile mutamento, l'E. si mantiene in vita per la problematicità spesso aporetica dei suoi interrogativi, anche di quelli più banali e quotidiani. Tralasciando il discorso su un'impostazione di fondo della vita, basti pensare a quando due princìpi "etici" confliggono tra loro in una determinata situazione. Un esempio indicativo e di facile comprensione potrebbe essere il seguente.
    Un principio ampiamente condivisibile potrebbe essere: "bisogna sempre dire la verità"; ed un altro, non meno irrefutabile: "non è giusto uccidere". Ma se io vedessi un uomo fuggire, invocando aiuto a squarciagola, e dopo alcuni minuti ne vedessi un altro che lo sta inseguendo con un coltello in mano, come dovrei comportarmi? Dovrei rivelare all'inseguitore la via imboccata dal fuggitivo, procurando così la morte di un uomo, o dovrei mentirgli per evitare l'omicidio? Forse la risposta più immediata sarebbe: mentire, senza dubbio! Ma se l'uomo in fuga fosse un pluriomicida che ha sterminato la famiglia del suo inseguitore? Potrei allora pensare: devo dire la verità! Ma, in tal caso, non finirei per confondere la vendetta con la giustizia? E già; ma allora un terribile reato resterebbe impunito. Ecc. ecc.

    Il fascino dell'E. risiede proprio e purtroppo nella difficoltà delle risposte che essa intende fornire.