• Evviva! Finalmente anche nella mia scuola è stato installato ed è in funzione un bellissimo orologio marcatempo, per "meglio verificare l'orario di servizio di tutti i dipendenti" (cito il testo del contratto integrativo di Istituto).

    È ora di smetterla con questi insegnanti ritardatari, fannulloni e lavativi, capaci solo di prelevare lo stipendio e che lavorano 4/5 mesi all'anno... E si lagnano continuamente!

    Invece, con questo "rivelatore di presenze automatico" tutti i mali della mia scuola saranno eliminati per sempre, a cominciare dal lassismo dei docenti che saranno costretti a svolgere il proprio dovere.

    Mi chiedo: ma le cose stanno veramente in questo modo?

    In realtà, la controversa questione dell'orologio marcatempo nasconde e richiama ben altre ragioni, problemi e contraddizioni, insite nel mondo della scuola e del lavoro in generale.

    Anzitutto, voglio chiarire che la mia tenace opposizione all'impiego di tale strumento elettronico di controllo, non deriva certo dalla volontà di perorare la "causa" dei nullafacenti e dei lavativi. Oltretutto posso garantire che nella mia scuola non esistono casi gravi di lassismo, anzi. D'altronde sono convinto che il "malcostume", laddove esista, non si contrasta con il ricorso a strumenti che possono apparire coercitivi. Infatti, per noi insegnanti il vero e principale deterrente contro, ad esempio, la tendenza a fare tardi a scuola, è costituito dalla responsabilità penale verso gli alunni che sono minorenni. E con ciò la faccenda è a mio avviso risolta.

    Dunque, sono altre le ragioni per cui io ho deciso di battermi contro l'adozione di tale sistema di controllo.

    Voglio esporle in breve.

    Anzitutto contesto i metodi e le procedure assolutamente autoritarie e verticistiche adottate dal dirigente per imporre questo nuovo "arredo" scolastico.

    Al di là se siano stati seguiti o meno i passaggi normativi necessari, sia per quanto concerne la delibera del Consiglio di Istituto, sia in sede di accordo contrattuale con le RSU (benché siano ravvisabili vizi formali), occorre segnalare l'atteggiamento di ostinato e arrogante rifiuto di aprire momenti di confronto e consultazione democratica con la base dei lavoratori, a partire dal Collegio dei docenti, nel quale invece si è registrata solo una brutale censura verso ogni richiesta di dibattito sull'argomento.

    Questo passaggio di consultazione collegiale e democratica, pur non essendo obbligatorio sul piano strettamente normativo (cosa che è pure discutibile), era ed è moralmente corretto e significativo, soprattutto sotto il profilo della democrazia sindacale, che a quanto pare è diventata un semplice optional!

    Tale vicenda conferma che l'introduzione della cosiddetta "autonomia scolastica" (che troppi dirigenti scambiano per tirannia personale) ha accelerato un processo di crisi e di svalutazione dei diritti, delle libertà democratiche e delle norme sindacali a tutela dei lavoratori della scuola, docenti e non docenti.

    Inoltre, l'uso dell'orologio marcatempo, che è uno strumento tradizionalmente applicato in luoghi di lavoro quali fabbriche ed uffici, nel momento in cui si va diffondendo anche nelle scuole, costituisce il suggello, anche simbolico, di un processo di aziendalizzazione in atto ormai da anni nella realtà della scuola italiana.

    Credo che sia superfluo ricordare che la professione dell'insegnamento non è assimilabile o inquadrabile in una logica aziendalista, date le originali peculiarità che la caratterizzano e la distinguono nettamente dalle funzioni impiegatizie e dalla produzione di manufatti.

    Infatti, l'educazione e la cultura non sono merci misurabili, quantificabili o alienabili economicamente.

    Il ruolo docente è una professione di tipo intellettuale, che comporta anche impegni straordinari in termini di studio, aggiornamento, preparazione delle lezioni, correzione dei compiti ecc., che vanno oltre l'orario di servizio certificato da una firma o dal timbro del cartellino, a meno che non si decida di installare una macchinetta elettronica anche nell'abitazione di ogni singolo docente.

    Veniamo ora ad un altro punto.

    Il costo economico di un orologio marcatempo non è di poco conto. Non conosco le cifre esatte, ma certamente si tratta di apparecchiature che, in quanto elettroniche, hanno un prezzo decisamente superiore a 1500 euro, e probabilmente possono superare i 2000/2500 euro. Vi invito a smentirmi.

    Ebbene, io mi domando: considerando il misero budget finanziario della scuola in cui lavoro, il cui Fondo di Istituto è di per sé ridotto e limitato nelle sue dimensioni, tale somma non poteva essere investita in modo più proficuo per sovvenzionare progetti e attività didattiche di qualità, così da elevare, ampliare e potenziare l'offerta formativa della scuola? Ciò avrebbe consentito di promuovere e migliorare anche l'immagine della scuola all'interno del contesto socio-ambientale in cui è inserita. Al contrario, l'acquisto di un'apparecchiatura indubbiamente costosa ha comportato seri tagli alle spese previste per l'arricchimento dell'offerta culturale.

    Queste ed altre motivazioni mi hanno indotto ad espormi contro l'introduzione dell'orologio marcatempo, che è (ripeto) un aggeggio tecnologico inutile e costoso, che suscita reazioni negative e controverse tra i lavoratori.

    Eppure c'è chi trae un vantaggio dall'impiego di tale sistema di controllo elettronico.

    Tale vantaggio consiste anzitutto nel permettere un controllo a distanza, così da evitare e risparmiare al controllore la "fatica quotidiana" di recarsi fisicamente sul luogo di lavoro per verificare l'orario di servizio dei propri dipendenti. Pertanto, il controllo elettronico giova solo al dirigente, che in tal modo non deve nemmeno scomodarsi da casa per effettuare i consueti controlli, che avvengono automaticamente.

    Chi è dunque il fannullone o il lavativo della situazione?

    Mi auguro di aver messo in luce la netta contraddizione tra le ragioni, più nobili, giuste e democratiche di chi, come il sottoscritto, si oppone fermamente al ricorso a questi sistemi di controllo, da un lato, e dall'altro il carattere verticista e autoritario dei metodi e delle procedure seguite da chi tenta di imporre uno strumento di controllo a distanza, che serve soltanto ad inasprire ed avvelenare i rapporti tra i lavoratori.



    POSTILLA: UNA VERTENZA EMBLEMATICA

    La dura vertenza sorta nell'Istituto Comprensivo di Sant'Angelo dei Lombardi sintetizza in modo emblematico le diverse e molteplici contraddizioni insite nel mondo della scuola in generale.
    In particolare emerge un'antitesi tra due opposte concezioni della cultura, dell'educazione, del diritto all'istruzione. Da un lato si colloca una linea burocratica e verticistica, che confonde un ambiente educativo e di apprendimento quale la scuola, con un'azienda o, peggio ancora, con una caserma; dall'altro lato si contrappone una visione più aperta, elastica, più democratica e più attenta alle istanze della collegialità e ai bisogni reali della comunità scolastica e sociale, formata dalle nuove generazioni e dalle famiglie, oltre che dai lavoratori della scuola.
    Tale dicotomia, che rischia di generare conflitti, antagonismi e vertenze molto aspre (come nel caso dell'I.C. di Sant'Angelo dei Lombardi), si snoda a partire da un grave motivo di controversia, che cela una perversa ipocrisia di fondo: il docente che timbra il cartellino registra la sua presenza nell'Istituto (come se fosse un'azienda) ma non in classe, laddove invece è chiamato a svolgere il proprio dovere professionale che è di natura didattico-educativa, per cui esercita un ruolo chiave e decisivo nel processo dialettico di insegnamento/apprendimento.
    La vertenza riflette anche una profonda divergenza di interpretazione rispetto alla cosiddetta "autonomia scolastica", che tanti, troppi dirigenti scolastici (autoproclamatisi "manager") scambiano per tirannia o arbitrio personale. Infatti, l'atteggiamento spesso arrogante, unilateralista e intransigente dei presidi, è il frutto di una mentalità dirigista che mortifica le spinte vitali e le potenzialità emancipatrici che possono derivare dall'applicazione dell'autonomia scolastica intesa come valorizzazione delle risorse umane, professionali, intellettuali e sociali presenti sul territorio, nel quale le scuole possono e devono assumere una funzione di traino e di promozione culturale.



    NUOVA POSTILLA: J'ACCUSE!

    Il "grande manager" della mia scuola mi ha convocato nel suo ufficio e mi ha invitato a "difendermi"... Ma rispetto a quale capo di imputazione? Forse dall'accusa di "non aver ottemperato ad un ordine di servizio" che io ritengo un atto verticistico ed illegittimo in quanto è il risultato finale di un percorso burocratico che ha decretato l'introduzione di un orologio marcatempo come strumento elettronico di rilevazione delle presenze nell'Istituto.

    Voglio far presente che, se anche solo per assurdo (ripeto: per assurdo!) il dirigente avesse seguito alla lettera e in maniera corretta le procedure necessarie dal punto di vista normativo, tale precisione formale sarebbe annichilita ed offuscata dai risultati concreti che sono disastrosi, viste le reazioni negative suscitate tra i docenti.

    Insomma, io avrei "disobbedito" all'imposizione di un rito che è totalmente inutile dato che, in base a norme già esistenti, per la rilevazione delle presenze dei docenti "fa fede la firma sul registro delle presenze", ma soprattutto è un sistema ipocrita in quanto l'insegnante deve certificare la sua presenza esclusivamente in classe, non nell'istituto.

    È dunque questo il capo d'accusa rispetto al quale io sarei chiamato a "discolparmi"?

    Ebbene, io mi discolpo rovesciando mille accuse su chi mi invita a difendermi.

    J'ACCUSE! Io accuso! Ecco la mia replica più immediata e sentita, un grido d'accusa che rievoca il celebre titolo di un articolo di Emile Zola sullo storico "affare Dreyfus", articolo pubblicato dal quotidiano francese "L'Aurora" in data 13 Gennaio 1898.

    Naturalmente occorre riconoscere la notevole distanza (non solo temporale) tra le due vicende, oltre che tra il sottoscritto e l'impareggiabile talento dello scrittore francese.

    Tuttavia, vista l'ubriacatura di potere dimostrata dall'altra parte, io mi diverto a millantare, da megalomane burlone quale sono, una certa qualità letteraria. Inoltre penso che l'arma più efficace da usare contro le angherie del potere, qualunque esso sia, è proprio l'ironia.

    Pertanto, io accuso il dirigente dell'Istituto Comprensivo di Sant'Angelo dei Lombardi:

    1) di aver diffuso discordie tra i lavoratori della scuola, alimentando un clima di sospetto e diffidenza e avvelenando l'ambiente lavorativo. Ciò inficia il normale svolgimento delle attività didattico-educative;

    2) di aver abusato della sua autorità (che non è di origine divina, né è illimitata o assoluta) per imporre un "arredo" inutile e costoso, sperperando quindi denaro pubblico che poteva essere impiegato in modo più proficuo per migliorare l'offerta culturale e formativa della scuola;

    3) di aver viziato anche dal punto di vista formale l'iter normativo e procedurale condotto attraverso due passaggi, l'uno concernente la delibera del Consiglio di Istituto, l'altro in sede di concertazione con le RSU, laddove si evince un semplice atto di informazione unilaterale, priva di qualsiasi momento di scambio dialettico e di trattativa che avrebbe dovuto comportare la definizione di un regolamento applicativo circa l'uso dell'orologio;

    4) di aver mortificato i diritti e le istanze di confronto democratico provenienti dalla base dei lavoratori, a cominciare dall'organo collegiale per antonomasia, il Collegio dei docenti, la cui sovranità è riconosciuta dallo spirito più autentico della legge sull'autonomia scolastica, che invece è concepita e praticata secondo una logica dirigista e pseudo-efficientistica. Affermo ciò considerando che un passaggio di consultazione ufficiale all'interno del Collegio dei docenti su una materia che pure attiene all'organizzazione dell'orario di lavoro, pur non essendo obbligatorio sotto il profilo normativo (cosa che è pure discutibile), era ed è moralmente corretto in quanto avrebbe probabilmente consentito di metabolizzare la novità, evitando equivoci e polemiche astiose, ma soprattutto rimuovendo quella parvenza di unilateralità e di illegittimità che ha indotto non pochi docenti a "disobbedire";

    5) di aver respinto ogni iniziativa di dialogo e di mediazione riconciliatrice, persino con i rappresentanti provinciali delle maggiori organizzazioni sindacali della scuola, ostacolando in tal modo la ricerca di una soluzione utile e dignitosa per tutti;

    6) di essere venuto meno ad uno dei compiti più delicati che sono una prerogativa primaria di un capo d'istituto, ossia il dovere di gestire le controversie con intelligenza e buon senso, e non mi riferisco solamente alla questione dell'orologio marcatempo.