• I. Oggetto: la dialettica nei Topici di Aristotele

    La dialettica aristotelica costituisce, insieme alla scienza apodittica trattata nei libri degli Analitici Posteriori, l'altra grande forma di razionalità teorizzata nelle opere di logica, ed in particolare nei Topici e negli Elenchi Sofistici. Oggetto d'analisi sarà qui non la trattazione della intera dialettica, ma l'insieme degli otto libri che compongono i Topici1.
    Una prima sottolineatura, utile a introdurre la comprensione degli otto libri in questione, riguarda la loro collocazione. In primo luogo, la collocazione rispetto alle altre trattazioni aristoteliche: come già accennato, i Topici sono situati nell'opera dedicata alla logica, l'Organon. Più precisamente, la dialettica è, con la apodittica, compresa nella sillogistica, ovvero nell'arte di argomentare. La convivenza di dialettica e apodittica nella sillogistica ha, nella storia degli studi aristotelici, dettato le alterne sorti della dialettica: dapprima svalutata come logica del probabile rispetto ad una logica della certezza, la dialettica viene poi rivalutata in merito ai suoi diversi scopi. Si avrà modo di discutere di questi scopi e approfondire la questione. In secondo luogo, la collocazione cronologica: gli studiosi2 sono oggi generalmente concordi nel ritenere che i libri centrali dei Topici (II-VII) appartengano ad un periodo in cui Aristotele non aveva ancora elaborato la teoria del sillogismo. Ciò non dovrebbe però indurre a declassare le argomentazioni dialettiche dei Topici come ragionamenti di scarso rigore: poiché il lavoro di revisione e completamento dei Topici segue la stesura della teoria sillogistica, ciò dovrebbe indicare che gli studi dialettici non ebbero per Aristotele minor dignità all'interno della trattazione logica dopo la messa a punto delle leggi della dimostrazione, e che i Topici stessi guadagnarono quel rigore che poteva inizialmente mancare loro.


    II. Topici: i contenuti.

    Presentiamo sinteticamente il contenuto dei Topici, per poter disporre di un quadro di riferimento delle questioni trattate.
    Il libro I, come si accennava, è probabilmente il risultato di una aggiunta al nucleo costituito dai libri II-VII, e contribuisce a definire lo statuto della dialettica.
    Aristotele indica l'oggetto della dialettica, che consiste nel mettere a punto un metodo per costruire sillogismi che argomentino a partire da èndoxa, ovvero da ciò che è condiviso dalla maggior parte delle persone, o dai sapienti, o dalla maggior parte di essi. Del sillogismo viene data una definizione, e in seguito una classificazione: oltre al sillogismo dialettico, focus della discussione, vi è la dimostrazione (che procede da premesse vere), il sillogismo eristico (che procede da premesse le quali sono opinioni notevoli solo apparentemente), il paralogismo (che muove da premesse specifiche, ma non vere, di una data scienza)3.
    Successivamente4 vengono circoscritti i quattro ambiti di applicabilità della dialettica: i) l'esercizio, o l'acquisizione della capacità argomentativa ii) le conversazioni, in cui diverse opinioni vengono a confronto iii)la filosofia, poiché è possibile giudicare la verità e la falsità considerando argomenti pro e contro una certa questione iv) le scienze, i cui principi primi non possono essere discussi mediante dimostrazione, ma possono essere comprovati esaminando gli èndoxa che concernono loro.

    Il sillogismo dialettico prende origine da una proposizione, e verte intorno ad un problema. Proposizioni e problemi sono uguali in numero, differiscono solo per la forma: mentre la proposizione enuncia la questione presentando una sola alternativa, il problema lo fa enunciando sempre un'alternativa accompagnata dall'alternativa opposta5.
    La proposizione è dunque una domanda fondata su un'opinione notevole, o è una proposizione contraddittoria rispetto ad una proposizione fondata su un'opinione notevole; è inoltre proposizione dialettica anche qualsiasi proposizione basata su opinioni conformi alle arti6. Il problema ha come oggetto una ricerca che verte o sulla preferenza e il rifiuto, o su una questione teorica (la quale a sua volta, interessa per se stessa, o per sciogliere una questione in merito alla quale non si ha un'opinione, o la maggioranza della persone ha un'opinione contraria rispetto a quella dei sapienti, o viceversa i sapienti hanno un'opinione discorde rispetto alla maggioranza). Sono problemi inoltre anche quelli rispetto ai quali si costituiscono sillogismi contrari, o sillogismi non concludenti (qui Aristotele annovera grandi questioni, come quella che chiede se il modo sia o meno eterno).
    Ogni problema poi è una tesi, ma non vale l'inverso. La tesi è definita come un giudizio contrario all'opinione dei più, che può essere inerente ad un argomento filosofico. Aristotele specifica anche che non bisogna esaminare ogni tesi e ogni problema: è importante infatti escludere quelli che sono immediati e quelli che richiederebbero una dimostrazione eccessivamente lunga7.
    Gli elementi su cui vertono problemi e proposizioni, ovvero gli elementi che costituiscono il metodo, sono:
    - la definizione, e cioè il discorso che esprime l'essenza. Tra definiens e definiendum deve esserci identità: se questo non accade, è possibile demolire la definizione; al contrario, per costruire una definizione non è sufficiente mostrare che ci sia la suddetta identità. La definizione implica dunque che il predicato sia convertibile con ciò di cui si predica.
    - Il proprio, ovvero ciò che, pur non esprimendo l'essenza di un certo oggetto, appartiene unicamente ad esso (in senso assoluto o in senso relativo - vale a dire solo in certe circostanze o rispetto a qualcosa), e può esser predicato al posto dell'oggetto. Anche il proprio quindi implica che il predicato si converta con l'oggetto di cui si predica.
    - Il genere, che è il predicato di più oggetti di specie differenti. In questo caso, il predicato non implica convertibilità con l'oggetto di cui si predica, o rientra nelle determinazioni essenziali dell'oggetto.
    - L'accidente, che appartiene ad un oggetto senza esserne definizione, proprio, o genere; caratteristica dell'accidente è il poter appartenere o meno ad un oggetto. Esso inoltre, può costituire un proprio temporale o relativo. Come per il genere, anche per l'accidente non vale la convertibilità del predicato, e in più, esso non rientra nelle determinazioni essenziali dell'oggetto.
    - La differenza non viene citata come quinto elemento perché inseparabile dal genere8.

    In sintesi, Aristotele delinea una dialettica che discute problemi mediante proposizioni . Un problema è una questione che pone un alternativa: tale questione costituisce la tesi di colui che interroga; la risposta a tale a tale questione diventa la premessa di un argomento. Il problema di per sé consiste in un soggetto e un predicato; definizione, proprio, genere, accidente, sono i tipi di relazioni che un soggetto può avere con il predicato (la definizione, in particolare, presuppone gli altri tre tipi).

    Aristotele passa poi ad occuparsi dell'identità. L'identità può essere inerente al numero ( si possono avere ad esempio, molti nomi per una sola cosa); alla specie (si possono avere cose numericamente diverse ma appartenenti alla stessa specie); al genere (si possono avere cose diverse per specie, che appartengono ad un solo genere)9.

    I predicabili più ampi, che comprendono i quattro rapporti di predicazione presi in considerazione sopra, sono le dieci categorie: sostanza, quantità, qualità, relazione, dove, quando, giacere, avere, agire, patire. Ognuna di queste dieci categorie esprime che cosa è ciascuna delle determinazioni compresa in essa, ma può essere attribuita anche a determinazioni comprese in altre categorie: in quest'ultimo caso, non esprime che cosa è la determinazione, ma che un certo oggetto ha una certa qualità o quantità, ad esempio. Ciò che si predica solo di se stesso è la sostanza10.

    Annoverate le dieci categorie, Aristotele tratta delle specie di argomenti dialettici, l'induzione e il sillogismo. Nell'induzione, il ragionamento parte dai particolari per arrivare agli universali. Un concetto che Aristotele ribadirà più volte nei Topici, è che se l'induzione è più persuasiva, perché più legata alla percezione sensibile e quindi più comprensibile per la maggioranza, il sillogismo può essere invece utilizzato nelle discussioni con chi è già esperto dell'arte dialettica11.

    Gli strumenti con cui costruire tali sillogismi sono: l'assunzione delle proposizioni, il saper distinguere i diversi sensi in cui una cosa si dice, il saper riconoscere differenze e il saper parimenti indagare le somiglianze12. L'assunzione delle proposizioni deve seguire delle regole di massima: bisogna occuparsi di opinioni sostenute da tutti, o dalla maggioranza, o dai sapienti, o di opinioni simili a quelle notevoli, o che contraddicano - cioè neghino il contrario - le opinioni notevoli. Aristotele precisa che le proposizioni devono essere tratte anche da argomenti scritti e da argomenti di celebri pensatori. A questo punto Aristotele offre una classificazione tripartita delle proposizioni: esse possono essere etiche, fisiche, logiche; non è semplice capire a quale classe una proposizione appartenga, ma è possibile arrivare a capirlo utilizzando l'induzione.
    Qui Aristotele chiarisce una distinzione importante e offre un suggerimento metodologico: mentre trattare le proposizioni secondo verità è compito della filosofia, quando ci si occupa di opinioni si deve procedere dialetticamente. Il procedimento dialettico implica l'assunzione di proposizioni quanto più possibile in forma universale, da cui trarre una molteplicità di proposizioni, che saranno ulteriormente divise13.
    Per quanto riguarda il secondo strumento, viene fornito uno schema di regole utili a verificare se si è in presenza o meno di un caso di omonimia14.

    Il terzo strumento e il quarto strumento consistono poi nell'esaminare le differenze e le somiglianze tra oggetti all'interno di uno stesso genere o appartenenti a generi diversi15.

    Dagli oggetti Aristotele passa poi ai termini con cui li designiamo: comprendere i molteplici sensi di un termine è importante sia ai fini della chiarezza del ragionamento (dietro un nome potrebbero infatti celarsi più oggetti, o al contrario, potremmo discutere su di uno stesso oggetto attribuendogli nomi diversi), sia perché il ragionamento non riguardi puramente i nomi. Dunque, gettare luce sulla molteplicità dei sensi è utile nei sillogismo che vertono su alterità e differenze; è utile a capire cosa sia un oggetto; è utile infine per le induzioni: in quest'ultimo caso si stabilisce infatti che ciò che vale per molti vale in generale, e si tenta di arrivare alla definizione individuando il genere tramite l'esame di ciò che è identico tra gli oggetti16.

    Dal libro II Aristotele comincia la compilazione degli elenchi di luoghi concernenti ogni rapporto di predicazione.
    I libri II e III discutono i luoghi riguardanti gli accidenti.
    In particolare, il libro II discute le proposizioni universali; il libro III discute le stesse proposizioni nei primi cinque capitoli, e le proposizioni particolari nel sesto e ultimo capitolo.
    Nel libro II compare inoltre una dichiarazione di validità generale: il luogo può andare nella direzione di un consolidamento della tesi, o in quella di una demolizione della tesi17.
    Nel libro III vengono segnalati e discussi i luoghi notevoli concernenti la preferibilità tra due cose.
    Proseguendo, il libro IV contiene i luoghi per le proposizioni in cui i predicati sono il genere di un soggetto, mentre il libro V elenca i luoghi per le proposizioni in cui il predicato è una proprietà di un soggetto e per le proposizioni che affermano identità o diversità tra il soggetto e il predicato.

    I libri VI e VII concernono poi le proposizioni che affermano una definizione, e presentano luoghi distruttivi (libro VI) e costruttivi (libro VII). All'inizio del libro VI Aristotele specifica che vi sono cinque casi in cui è possibile contestare una definizione: 1) la definizione non si predica di ciò di cui si predica il nome; 2) l'oggetto definito non è posto nel genere, e in particolare nel genere appropriato; 3) la definizione non è propria dell'oggetto definito; 4) la definizione non esprime l'essenza individuale dell'oggetto. Può accadere inoltre che la definizione non sia corretta, perché espressa in modo non chiaro, o perché più estesa del dovuto. L'elenco dei luoghi notevoli riguarderà quindi nei paragrafi 1-4 l'oscurità della definizione, la sua estensione, e le caratteristiche che le consentono di esprimere l'essenza dell'oggetto: la definizione deve infatti essere costruita a partire da ciò che è primo e più noto, altrimenti si avrebbero più definizioni per un un'unica essenza; coloro che non sono in grado di conoscere ciò che è più noto in senso assoluto, possono costruire la definizione a partire da ciò che è più noto per se stessi: in questo modo però, solo accidentalmente si giungerà alla essenza individuale dell'oggetto, e inoltre si avranno definizioni che variano da individuo a individuo. La definizione autentica si ottiene solo facendo riferimento a ciò che è più noto in senso assoluto (ovvero, specifica Aristotele, non noto a tutti, ma noto a chi ha una mente ben costituita).
    La definizione ottenuta procedendo non da ciò che è primo o più anteriore, può esser costruita in diversi modi: definendo un opposto mediante il suo opposto (Aristotele qui riporta anche che secondo l'opinione di alcuni, gli opposti sono oggetto della stessa scienza, e quindi non si può dire che uno sia più noto dell'altro); utilizzando nella definizione lo stesso oggetto definito; definendo ciò che deriva da una suddivisione mediante un'altra determinazione che deriva dalla stessa suddivisione.
    L'elenco dei luoghi notevoli continua poi con i luoghi concernenti il rapporto tra la definizione e il genere, la definizione e la differenza, e ulteriori casi specifici18.
    Infine, comparando definizione, proprio, genere e accidente, si esamina la maggiore o minore difficoltà nell'argomentare su di essi, e la maggiore o minore difficoltà nel costruirli e distruggerli: per ciò che riguarda la definizione, il proprio, e il genere, risulta più facile confutarli che costruirli; questo è valido anche per ciò che riguarda l'accidente universale, ma non per quello particolare (poiché per costruire quest'ultimo, è sufficiente provare che appartenga a qualche oggetto).

    Il libro VIII è, come il libro I, di probabile aggiunta posteriore. Aristotele offre qui una considerazione globale sulla mancanza di uno studio sulle regole della discussione - discussione che non ha scopi agonistici, ma esaminativi19 - e definisce i compiti e le regole cui devono attenersi colui che pone le domande e colui che risponde: in generale, chi interroga deve provocare nell'avversario l'enunciazione di risposte da cui derivino per necessità conseguenze paradossali; chi risponde deve mostrare come la paradossalità non dipenda dalle sue risposte, ma dalla tesi dell'avversario20.
    Spetta inoltre a chi interroga individuare lo schema, formulare mentalmente e ordinare le domande, per poi porle all'interlocutore. Fino all' individuazione dello schema, il percorso è comune al filosofo al dialettico; il porre le domande e l'ordinarle, riguarda invece solo il dialettico.
    Viene anche specificato, che oltre alle proposizioni che fungono da premesse del sillogismo, bisogna assumere altre proposizioni, di quattro tipi: un primo tipo ha lo scopo di ottenere la concessione della premessa universale da parte dell'avversario; un secondo tipo, ha lo scopo di ampliare il discorso, perché venga più agevolmente accettato; un terzo tipo, ha lo scopo di nascondere la conclusione del sillogismo; un quarto tipo, ha il compito di chiarificare il discorso. Per quanto riguarda le premesse da cui procede il sillogismo, queste non devono essere poste immediatamente (a meno che non siano assolutamente palesi), ma derivate da proposizioni di contenuto più universale, o ottenute tramite induzione21.
    Altre due nozioni rilevanti all'interno di questo libro, concernono la distinzione tra epicheirema ed aporema, e la petizione di principio. Per quanto concerne la prima nozione, viene detto che la dialettica si avvale sia di un sillogismo che può concludere o meno con la contraddizione della tesi avversaria (epicheirema), sia di un sillogismo dialettico che conclude con la contraddizione della tesi avversaria (aporema)22. Il capitolo 13 si sofferma invece sui modi di determinare la petizione di principio e la petizione dei contrari, esaminate dal punto di vista dell'opinione.


    III. Discussione dei contenuti.

    3.1 Metodo, sillogismo, induzione.

    Esaminiamo ora da vicino il testo dei Topici, per metterne man mano a fuoco alcune questioni rilevanti. In I,1 Aristotele stabilisce il fine del trattato, e, dopo aver dato una generale definizione del sillogismo, ne elenca le tipologie. Il trattato mira a fissare un metodo che metta in grado chi lo padroneggi, di argomentare su ogni tipo di questione, senza cadere in contraddizione. Il sillogismo è definito come un discorso in cui, posti alcuni elementi, altri ne seguono necessariamente. Tale sillogismo è una dimostrazione, se gli elementi posti sono veri e primi (ovvero traggono da se stessi la propria credibilità); è un sillogismo dialettico, se gli elementi posti sono opinioni notevoli (sono cioè accettati da tutti, o dalla maggioranza, o dai sapienti); eristico, se gli elementi posti sono opinioni notevoli solo in apparenza (dunque il sillogismo sembra concludere, ma non conclude); paralogismo, se gli elementi posti sono premesse specifiche di una data scienza, non vere.

    Ci si può subito soffermare su queste prime dichiarazioni di Aristotele, per tematizzare due nodi fondamentali di questo capitolo: il metodo e il sillogismo.
    Ciò con cui si avrà a che fare nel corso dell'opera, sarà la costruzione di un metodo. Non una scienza, ma uno strumento la cui forza probativa è indispensabile a testare la validità di qualsiasi argomentazione. Se infatti è plausibile l'ipotesi che i Topici siano nati come raccolta di topoi, luoghi in cui reperire argomentazioni per una discussione, il successivo sviluppo dell'opera ha trasformato un repertorio di luoghi in un dispositivo di verifica e inventiva: l'obiettivo è il reperimento delle argomentazioni che possano confutare le tesi altrui e difendere le proprie, non la catalogazione di quelle già esistenti, da tenere in memoria23. Enrico Berti fa inoltre notare come l'espressione greca methodos abbia una duplice valenza: quella di procedura effettiva seguita, e quella di trattazione scientifica della stessa procedura24. Similmente, Wolfgang Weiland fa notare che, mentre la nozione moderna di 'metodo' indica il cammino ma non i suoi scopi, nel concetto greco di methodos cammino e scopo non figurano separati25. Potremmo dire che è questa duplice valenza del methodos dialettico ad aver spinto più di uno studioso a sottrarre la dialettica dal confronto con la analitica, per paragonarla piuttosto ad un'arte, ovvero ad un operare secondo un sapere26. Oltre che ad una téchne, la dialettica è stata accostata anche ad una dynamis: una disposizione, concretizzata nell'acquisizione di un metodo27. La capacità di argomentare implica infatti l'attenersi ad alcune regole: la dialettica è nel suo esercizio una pratica empirica, ma non si ferma per l'appunto ad un esercizio, basato sull'acquisizione mnemonica di schemi o luoghi universalmente applicabili; essa deve comprendere anche una cognizione del rapporto causale tra il luogo da applicare e l'effetto da raggiungere. Aristotele è pienamente consapevole che la dialettica deve costituirsi come sapere e non come pratica empirica basata solo sulla conoscenza del "che"; come fa notare T. H. Irwin28, l'indagine dialettica e l'indagine empirica sono simili nella misura in cui entrambe procedono da ciò che ci è noto a ciò che è noto per natura o in assoluto; ma la dialettica ha caratteristiche peculiari, che la distinguono dall'indagine empirica per il riferimento agli èndoxa, per le modalità con cui le questioni vengono sollevate, e per il fatto di configurarsi come conoscenza causale. Al fine di saggiare una tesi o difenderla bisogna, infatti, conoscere la causa della confutazione e della difesa. In quanto conoscenza delle cause, la dialettica è poi anche conoscenza dell'universale, dal momento che la causa è tale di tutti gli effetti di un certo tipo. Su questa vocazione universale della dialettica si avrà modo di discutere in seguito.

    Veniamo ora al sillogismo. Il sillogismo viene ampiamente considerato da Aristotele nella analitica: se gli Analitici primi vertono sulla coerenza, o meglio sulla trattazione del sillogismo nelle sue varietà formali, gli Analitici secondi si occupano di coerenza e verità, o meglio del sillogismo scientifico relativamente all'oggetto su cui verte il ragionamento. Cosa ne è del sillogismo nei Topici? In I 1 Aristotele definisce sillogismo dialettico. Per comprenderne la natura e la funzione, consideriamo ulteriori passi dei Topici in cui si invoca il sillogismo, e lo si confronta con un altro schema di ragionamento, l'induzione. In I, 12 Aristotele fissa, per l'appunto, le specie dei discorsi dialettici: induzione e sillogismo.

    Induzione (...) è la via che dagli oggetti singoli porta all'universale. (...) L'induzione è qualcosa di più persuasivo, di più chiaro e conoscibile nella sfera della sensazione, e alla portata della grande maggioranza delle persone; il sillogismo è invece più possente e più efficace contro gli esperti nell'arte di contraddire29.

    Confrontiamo a questo proposito tre diversi rilievi:

    i) W. D. Ross30 scrive che i Topici e gli Elenchi sofistici concernono ragionamenti sillogisticamente corretti, che non soddisfano una o più condizioni del pensiero scientifico. Ma quali sono le condizioni del pensiero scientifico? Di certo la dialettica procede in direzione inversa rispetto alla scienza: la scienza prende il via da principi evidenti e procede deducendo da questi principi conclusioni o conseguenze; la dialettica esamina le conseguenze senza conoscere principi, quindi non usa i principi come base per il ragionamento, e inoltre - come vedremo - ha tra i suoi scopi quello di controllare la validità di tali principi.
    Lo stesso Ross ipotizza poi che Aristotele riconosca due processi induttivi: uno che conduce dalla percezione di particolari alla concezione di universali, l'altro che va da giudizi particolari a giudizi universali31. Sembra in generale, che l'additare molti casi particolari nell'ambito di una discussione sia procedimento più persuasivo che il presentare un sillogismo. Basandoci sull'ipotesi della doppia induzione formulata da Ross, potremmo dire che l'interlocutore è più facilitato nella comprensione di una argomentazione induttiva perché questa richiama lo schema di ragionamento attraverso cui solitamente ognuno percepisce e concettualizza; in altre parole il dialogo è facilitato se procede secondo modalità che ricalcano il 'monologo interiore del pensiero'. Un dialogante presenta una lunga serie di casi a favore della propria tesi, e a quel punto l'interlocutore potrà obiettare presentando un caso in cui non valga ciò che il primo dialogante afferma32.

    ii) Alessandro di Afrodisia, nel suo commento ai Topici, sostiene che:

    Come le tecniche, in quanto tecniche, si distinguono l'una dall'altra solo per la differenza della materia di cui si occupano e per il modo del loro uso, e ricevono così le loro distinzioni, e in tal modo una è la tecnica del carpentiere, altra quella del muratore e così via, la stessa cosa capita ai sillogismi. I sillogismi non si distinguono affatto per la loro forma. La loro differenza si distingue in rapporto all'oggetto33.

    E ancora, più avanti34:

    Vi sono, inoltre, anche nella logica, alcune questioni sulle quali si indaga per comparazione. Per esempio, la questione se sia ragionamento più atto a persuadere l'induzione o il sillogismo.

    La dialettica articola quindi ragionamenti, che non si distinguono dalle dimostrazioni della scienza per il rigore formale, ma per il diverso scopo cui mirano, essendo le une rivolte a far conoscere, gli altri a confutare o difendere una tesi. Alessandro di Afrodisia afferma che i diversi sillogismi si distinguono per l'oggetto o la materia. Tralasciando per il momento il sillogismo eristico e il paralogismo, concentriamo l'attenzione su tre fattori importanti che differenziano il sillogismo dialettico dalla dimostrazione: il muovere da endoxa, il considerare premesse le proposizioni concesse all'avversario, e il poter applicarsi universalmente. La traduzione dell'espressione èndoxa non è di certo pacifica35. Aristotele definisce èndoxa gli "elementi accettati da tutti, o dalla maggioranza, o dai sapienti, e tra questi o tra tutti, dai più noti e illustri"36. Laddove viene fornita la definizione di èndoxa, viene fatta anche una importante distinzione rispetto alle premesse vere del sillogismo dimostrativo e rispetto agli èndoxa nelle premesse del sillogismo eristico: da una parte, le premesse vere sono tali in forza di se stesse, mentre le premesse fondate su èndoxa valgono in virtù del riconoscimento dei più; dall'altra, mentre le premesse del sillogismo eristico sono solo apparentemente fondate su èndoxa, le premesse dialettiche sono largamente condivise. Dall'incontro di queste due distinzioni, potremmo affermare che è scorretto considerare la dialettica come una logica del verosimile rispetto ad una analitica come logica della verità: la differenza tra le premesse vere e le premesse èndoxa non è una differenza di grado di verità, ma, riprendendo il pensiero di Alessandro di Afrodisia, di oggetto o materia; ciò è corroborato dalla constatazione che, se con èndoxon si intendesse "verosimile", allora nel distinguere èndoxa apparenti (nel sillogismo eristico) e èndoxa non apparenti, si distinguerebbe tra apparenti apparenti e apparenti non apparenti37.
    Inoltre, il valore dell' èndoxa è da chiarire rispetto al contesto: come si è detto, non si tratta di qualcosa di plausibile, ma di qualcosa di vero, nel senso di ritenuto vero. Ciò non diminuisce il grado di verità, ma pone volontariamente l'accento sulla condivisione della verità: affinchè la discussione possa procedere, è indispensabile che gli interlocutori si intendano su cosa è la verità. Non a caso, la somiglianza tra il procedimento dialettico e quello filosofico, si ferma ad uno stadio ben preciso:

    Orbene, chi si propone di dare una forma alle interrogazioni dovrà anzitutto individuare lo schema (...) Sino a che lo schema risulta individuato, l'indagine è la stessa sia per il filosofo che per il dialettico. Quanto segue invece, ossia l'ordinare gli argomenti e il formulare le domande, è proprio del dialettico: tutto ciò presuppone infatti il rapporto con un altro individuo. Per contro, al filosofo e a chi indaga per se stesso è del tutto indifferente, quando le premesse onde deriva il sillogismo sono vere e note, che chi risponde non le conceda38.

    Bisogna considerare che la discussione dialettica suppone la presenza di un uditorio. Esaminando lo svolgimento di un dialogo, si vedrà che colui che domanda, formula la domanda in modo tale che l'interlocutore dovrà fornire una qualche risposta. Questa risposta deve essere al tempo stesso difficile da confutare, e non in contrasto con gli èndoxa accettati dall'uditorio. Il riconoscimento comune della verità sancisce la validità delle tesi affermate e confutate. Vedremo in seguito il ruolo dell'uditorio a proposito nel momento in cui la dialettica cerca di pervenire alla definizione. Possiamo per ora fare due osservazioni: la presenza dell'uditorio copre diverse funzioni, a seconda dell'uso della dialettica: l'uditorio sancisce, nel senso che contribuisce come fonte di opinioni condivise, nel caso in cui la dialettica sia utilizzata per esaminare la validità di certe opinioni; l'uditorio apprende, se la dialettica viene insegnata come esercizio per le conversazioni e per il discernimento delle tesi valide. Seconda osservazione: l'importanza dell'uditorio nel procedimento dialettico non esclude che questo possa svolgersi anche come esercizio mentale individuale, esercizio che Aristotele esplicitamente raccomanda in mancanza di interlocutori39.

    Utilizzare poi le opinioni dell'interlocutore come premesse del sillogismo con cui saggiare la sua stessa tesi, vuol dire in sostanza verificare la presenza di un'eventuale contraddizione.
    Quindi, mentre nei sillogismi dialettici le premesse sono proposizioni concesse dall'avversario, le premesse del sillogismo scientifico non hanno bisogno di questo perché si impongono da se stesse. Come ricorda Zanatta40, nel sillogismo dialettico abbiamo a che fare con un argomento ad hominem in cui la contraddizione costituisce un momento fondamentale della confutazione. A questo proposito Weil41 nota come una delle cose che può spiazzarci della dialettica, è proprio il suo presentarsi come logica 'impura', applicata cioè nelle discussioni tra uomini reali, e non esercitata in un metodo deduttivo puro, che non è passibile di obiezioni.

    Qualche parola ancora per quanto riguarda la terza caratteristica del sillogismo dialettico, ovvero la sua ampia applicabilità: rispetto alle dimostrazioni scientifiche, nelle cui premesse troviamo i principi specifici di ogni scienza, il sillogismo dialettico procede da principi comuni, e può essere applicato in ogni settore del sapere. Questo vuol dire che la dialettica non ha natura conoscitiva di per sé (il che non esclude che essa abbia anche una funzione conoscitiva)42. Di sicuro, è difficile comprendere come nella pratica sia possibile pronunciarsi in ogni settore del sapere. Una riflessione di W. D. Ross43 mette in luce in modo piuttosto marcato questa difficoltà:

    Non abbiamo né spazio né voglia di seguire Aristotele nella sua laboriosa esplorazione dei topoi, cioè i casellari da cui il ragionamento dialettico deve attingere i suoi argomenti. La discussione appartiene ad un sorpassato modo di pensare; è uno degli ultimi sforzi di quel movimento dello spirito greco verso una cultura generale, che tenta di discutere qualsiasi soggetto senza studiarne gli appropriati primi principi, e che noi conosciamo con il nome di movimento sofistico. Quel che distingue Aristotele dai sofisti, almeno come ci sono dipinti da lui e da Platone, è che il suo scopo non consiste nell'aiutare i suoi ascoltatori e lettori e raggiungere il guadagno o la gloria con una falsa apparenza di sapienza, ma di discutere le questioni nel modo più sensato che sia possibile senza una conoscenza speciale. Ma egli stesso ha mostrato una via migliore, la via della scienza. Sono i suoi Analitici che han messo fuori moda i suoi Topici.

    Bisogna innanzitutto rilevare che i topoi presenti nell'opera in questione sono per lo più privi di contenuti extra-logici, di qui la loro ampia applicabilità. In secondo luogo è Aristotele stesso a diffidare nella possibilità di una scienza universale44; ma qui più che di una scienza universale si tratta di una razionalità generale, che non ha la pretesa di modellare tutti i settori disciplinari, ma che probabilmente rispecchia lo spirito di un popolo profondamente convinto della razionalità della realtà: la scienza ci insegna oggi che i principi esplicativi del reale sono specifici e spesso controintuitivi, ma quest'insegnamento è, per l'appunto, un'acquisizione relativamente recente. In questo senso possiamo affermare con Weil45 che la dialettica aristotelica non ha un corrispondente oggi, di qui la difficoltà a calarsi nella prospettiva aristotelica.

    La dialettica poi, è costitutivamente peirastica, ossia esaminativa; proprio in virtù di questo, la dialettica non si sostituisce alla scienza (o filosofia prima), ma fornisce un metodo, che può essere utilizzato anche nella scienza. Mentre la scienza conosce e dimostra, la dialettica testa, esamina attraverso i predicati che sono comuni a tutte le scienze. La questione diventa più chiara quando si considera che uno degli scopi della dialettica, come si vedrà, concerne i principi primi delle scienze. Gli "appropriati primi principi" di cui parla Ross, possono cioè essere messi in discussione solo dalla dialettica, e in particolare, non dal sillogismo, ma dall'induzione. Nell'ultimo frammento di Alessandro di Afrodisia preso in considerazione, si citavano l'induzione e sillogismo in merito alla persuasione. Ma la persuasione, e la vittoria nella discussione non sono gli unici obiettivi della dialettica.

    iii) E.Weil fa notare, in due diversi punti del suo saggio, che l 'uso del sillogismo è raro nei libri II-VII, e successivamente che tra topica e induzione sussiste un rapporto molto stretto: questa verifica quella46. Ciò testimonia la cronologia delle opere aristoteliche, e conferma la doppia valenza del methodos di cui sopra, che è procedimento e insieme descrizione del procedimento.
    Osserviamo ora come Aristotele specifichi il sillogismo, che compare raramente nei libri centrali, e meno raramente nei libri appartenenti alla successiva elaborazione dei Topici: in VIII, 1147 Aristotele articola il sillogismo dialettico in epicheirema e aporema; l'epicheirema può concludere o meno con la contraddizione della tesi avversaria, l'aporema conclude con la contraddizione della tesi avversaria. Due note generali a proposito del sillogismo: in primo luogo, Aristotele non parla di una scienza logica48, sebbene nei Topici troviamo le espressioni logos, logichos, logichai: le opere comprese nell'Organon si occupano della articolazione del ragionamento nelle figure del sillogismo, e della scomposizione di questo in proposizioni e termini. Ma la logica concerne in Aristotele più la dialettica che l'analitica. In I 14, viene fornita una tripartizione delle proposizioni: le proposizioni o formulazioni di una ricerca sono etiche, logiche, fisiche. L'esempio di proposizione logica presentato è il seguente:

    (...) un esempio di una proposizione logica è dato dalla questione se i contrari siano oggetto di una medesima scienza oppure no49.

    Si tratta evidentemente di una proposizione dialettica. La sillogistica comprende quindi la analitica, e parte della dialettica o logica; e nella misura in cui sono comprese nella sillogistica, analitica e dialettica sono entrambe formali - i loro sillogismi prescindono cioè dal contenuto. Ma i rapporti di inclusione non sono forse così lineari: se, come avremo modo di vedere, la dialettica definisce la validità delle premesse dei sillogismi dimostrativi, considerate non ulteriormente analizzabili, allora senza dialettica non ci sarebbe sillogistica50, e in questo senso la dialettica includerebbe l'analitica, piuttosto che esserne una versione meno rigorosa, sfruttabile nelle competizioni.

    Di certo la questione ha alle spalle un dibattito molto ampio sulla natura propria del sillogismo aristotelico. Basilarmente, ciò che vediamo all'opera nel sillogismo è un'implicazione, ovvero una proposizione composta da un antecedente e un conseguente, raccordati nella formula "se..., allora...". Quel che interessa sono le condizioni alle quali un'implicazioni risulti vera: la sillogistica regola il ragionamento in vista di una correttezza formale, o, in negativo, per far venire alla luce le deviazioni rispetto ad un procedimento corretto51. L'implicazione dunque, risulta vera se l'antecedente e il conseguente sono entrambi veri, se sono entrambi falsi, e se l'antecedente è falso e il conseguente è vero; risulta falsa, nel caso rimanente: se l'antecedente è vero, e il conseguente è falso. Quindi, se si accetta come vero un antecedente, non si può non accettare il conseguente. Anche la tecnica stringente della dialettica ha alla base questo meccanismo: colui che pone la domanda, presenta all'interlocutore due alternative; una volta che l'interlocutore avrà scelto una di queste alternative, colui che aveva posto la domanda pone l'alternativa scelta come tesi di un ragionamento sillogistico nel corso del quale, si è detto, l'interlocutore deve stare attento a non contraddire né se stesso né gli èndoxa.

    Nella sua definizione più generale, il sillogismo è un discorso nel quale, poste alcune cose, è necessario che ne risulti per necessità, altro da esse, e causa di esse52. Il conseguente è quindi causa della necessità dell'antecedente. L'obiettivo di una scienza esaustiva sarebbe la coestensività di causa ed effetto, coestensività che sussiste se dalla causa possiamo inferire l'effetto e dall'effetto possiamo inferire la causa. La difficoltà di pervenire a tale coestensività è sicuramente molto alta. Lo è anche nella dialettica, poiché, se si parte dall'effetto per individuarne la causa, l'univocità che dalla causa porta necessariamente alla conseguenza viene a cadere, ed è possibile che dello stesso effetto si rintraccino più cause. Questo problema sarà ribadito più avanti.
    Un'altra considerazione riguarda la questione se il sillogismo aristotelico sia un'implicazione o un'inferenza53. La differenza fondamentale qui sta nel fatto che mentre un'implicazione è vera o falsa, un'inferenza è valida o non valida54.
    Ancora una volta, prendiamo in esame il testo stesso, e facciamo due annotazioni: nel libro I Aristotele pone una prima opposizione tra verità e opinione, confrontando il sillogismo dimostrativo e il sillogismo dialettico (di qui le discussioni concernenti il fatto che il sillogismo dialettico non porti ad una conoscenza, e che la sua formulazione corrisponda ad una logica del probabile). Ma non è questa, forse, l'opposizione che conta nei Topici: nel libro VIII infatti, i termini a confronto non sono più l'opinione e la verità, quanto piuttosto l'argomentazione chiara ed evidente e l'argomentazione falsa:

    D'altra parte, un'argomentazione è chiara ed evidente, anzitutto nel senso più popolare, se risulta conclusa in modo tale, da non rendere ulteriormente necessaria alcuna domanda, in secondo luogo e nel senso più riconosciuto, quando le premesse onde la conclusione discende necessariamente risultano bensì accettate, ma accettate in quanto siano esse stesse delle conclusioni, da cui deriva la conclusione ultima, e in terzo luogo, se non viene enunciata una premessa, implicita e fondata in misura assai notevole sull'opinione. Un'argomentazione si dice poi falsa in quattro sensi. La cosa si verifica, in primo luogo, quando l'argomentazione sembra concludere, ma non conclude: è questo il sillogismo eristico. L'argomentazione si dice falsa, in secondo luogo, se giunge bensì ad una conclusione, ma non a quella proposta, il che accade soprattutto nelle riduzioni all'assurdo; in terzo luogo, se riesce a concludere nella forma proposta, senza seguire però il metodo che è ad essa peculiare. Ciò avviene in vari casi, quando l'argomentazione appare medica, senza esserlo, o appare geometrica, senza esserlo, o appare dialettica, senza esserlo, sia poi che la conclusione risulti falsa, o anche vera. In quarto luogo, l'argomentazione si dice falsa, se conclude da premesse false. In tal caso, la conclusione sarà talvolta falsa, talvolta invece vera: in effetti, come si è detto anche prima, una conclusione falsa sarà sempre dedotta da premesse false, mentre una conclusione vera potrà anche non derivare da premesse vere55.

    Stabilire se il sillogismo aristotelico abbia la struttura di un'implicazione o di un'inferenza esula da questo lavoro, ma è possibile per il momento notare una cosa: il sillogismo dialettico ha a che fare con la correttezza del procedimento, e cioè con il corretto utilizzo dei quattro strumenti; con la coerenza delle tesi proposte rispetto alle opinioni condivise; con la chiarezza e l'evidenza dell'argomentazione. Esso non sembra però aver a che fare con il raggiungimento di una conoscenza vera, o meglio: è qui che sembrano scontrarsi due anime aristoteliche. Una, che è quella del realismo, ci dice della corrispondenza tra credenze, linguaggio, realtà56; l'altra accentua l'aspetto della intersoggettività della conoscenza. La dialettica pare fondarsi più su questa seconda anima che sulla prima.

    Richiamiamo ora sinteticamente alla memoria le tre osservazioni esposte: i) Ross sostiene che il sillogismo dialettico non soddisfa le condizioni del pensiero scientifico; ii) Alessandro d'Afrodisia argomenta che i diversi tipi di sillogismo si differenziano solo per l'oggetto, non per la forma o la struttura che li caratterizza; iii) Weil nota che sembra esserci un rapporto più stretto tra dialettica e induzione che tra dialettica e sillogismo. Considerate insieme, queste tre osservazioni sembrano segnalare una qualche manchevolezza nel sillogismo dialettico, eventualmente compensata dal ragionamento induttivo. Vedremo in realtà che la questione può invece esser posta inversamente: il sillogismo dialettico e l'induzione sembrano farsi carico delle 'carenze' del sillogismo dimostrativo, in merito agli obiettivi che la dialettica si prefigge, e soprattutto in merito a ciò che è anapodittico, dunque non passibile di dimostrazione.


    3.2. Gli strumenti della dialettica.

    In I 13 Aristotele definisce i quattro strumenti attraverso cui si sostituiscono i sillogismi: l'assumere le proposizioni, il saper distinguere in quanti sensi si dica un oggetto, l'indagine delle differenze e delle somiglianze. Quali proposizioni o formulazioni della ricerca possano essere legittimamente assunte, è detto da Aristotele in I 10-11 : la legittimità, in questo senso, è strettamente connessa all'accordo con gli èndoxa; legittime, sono la proposizione basata sulle opinioni notevoli, e la proposizione contraddittoria rispetto alla proposizione basata sulle opinioni notevoli57. Oltre all'accordo con gli èndoxa, un altro criterio, - da collocare forse ad un meta livello della dialettica - per la scelta delle formulazioni è il seguente:

    In verità, non si debbono considerare né le formulazioni immediatamente dimostrabili, né quelle la cui dimostrazione è troppo lontana: le prime invero non contengono materia di dubbio, le seconde per contro ne presentano più di quanto convenga ad una esercitazione58.

    Bisogna però a questo punto intendersi riguardo al tipo di entità cui ci si riferisce concretamente quando si parla di 'proposizione'59 (protasis): un conto è la domanda posta inizialmente, e che presenta due alternative; un altro conto è la risposta dell'interlocutore, ovvero la scelta tra le due alternative, che è la tesi da confutare o difendere. Nei Topici si distingue espressamente tra la formulazione di una ricerca, che consiste in una domanda concernente due alternative, e la proposizione, che consiste in una domanda concernente una sola alternativa:

    Se infatti si dice come segue: "animale terrestre bipede è forse l'espressione definitoria di uomo?", ed anche: "l'animale è forse il genere dell'uomo?", sorge una proposizione; se invece si dice: "animale terrestre bipede è l'espressione definitoria di uomo oppure no?", si ha la formulazione di una ricerca; così analogamente per gli altri casi; In questo modo le formulazioni di una ricerca e le proposizioni sono evidentemente uguali in numero: da ogni proposizione infatti si potrà ottenere, mutando la forma, la formulazione di una ricerca60.

    In generale, la scoperta delle differenze e delle somiglianze è utile per Aristotele sia rispetto ai sillogismi che vertono sull'identità e l'alterità, sia per capire cosa sia ciascun oggetto. La scoperta delle differenze, inoltre, è complementare a quella delle somiglianze in questo modo:

    Ci si deve poi esercitare soprattutto riguardo agli oggetti assai divergenti tra loro: ci sarà così più facile per i rimanenti di scorgere in complesso le somiglianze61.

    L'analisi delle differenze e delle somiglianze poi, riguarda sia le cose che le parole con cui le designiamo: se due cose appartengono a specie dello stesso genere, poiché in questo caso non si ha differenza di sensi del termine corrispondente al genere; viceversa, se alcune cose sono specie di genere diversi, vi è differenza di sensi. L'analisi semantica è quindi in primo luogo utile alla chiarezza del discorso: se infatti colui che interroga deve attenersi ad una formulazione della domanda del tipo 'sì-o-no', colui che risponde deve scegliere una delle alternative proposte, ma può anche chiedere chiarificazioni su eventuali termini ambigui. In secondo luogo, l'analisi semantica serve ad accertare che il discorso non abbia a che fare puramente con i nomi, ma con le cose stesse. Altri due utilizzi rilevanti dell'analisi semantica riguardano l'induzione e la definizione: l'induzione, infatti, procede dai particolari agli universali; i particolari da cui essa muove devono essere simili, affinché si possa applicare una generalizzazione. In questo senso è indispensabile poter rintracciare la somiglianza. Dal momento poi che ciò che è identico in molte cose segnala la circoscrizione di un genere, e il genere entra nella definizione, rintracciare l'identità contribuisce al raggiungimento di una definizione62. La questione dell'omonimia e della sinonimia viene ripresa da Aristotele nel libro VIII: qui63 si mostra come un'obiezione basata su un'omonimia che passa inavvertita nella discussione può sembrare in apparenza valida, fin quando appunto l'omonimia non viene esplicitata; e come possa realizzarsi una petizione di principio sfruttando la sinonimia di alcune espressioni. Infine, l'analisi semantica può essere utilizzata anche come strumento ingannatore: se infatti con essa i paralogismi possono essere smascherati, allo stesso modo possono essere costruiti64. Ciò ovviamente non depone a favore di una dialettica tutta versata nella logica dell'argomentazione corretta, ma piuttosto in quella dell'argomentazione vincente. E' pur vero però, che Aristotele prevede l'uso della dialettica anche per il semplice esercizio, propedeutico alla sua applicazione in attività più alte, prima fra tutte, come vedremo, il raggiungimento dei principi delle scienze.


    3.2. Gli strumenti della dialettica.

    Il termine topoi compare per la prima volta in I 18, dopo aver introdotto gli strumenti attraverso i quali si costituiscono i sillogismi. Nel primo libro non si parla di luoghi o schemi, ma Aristotele ne discuterà in II-VII: fornirà cioè quattro liste di loci, una per ogni tipo di predicato. E' da rilevare comunque, che nei Topici non viene fornita alcuna definizione di topos, il che lascia supporre che la nozione di luogo fosse già nota65.
    Proviamo ora a capire in che modo è strutturato un luogo, prendendo in considerazione alcune schematizzazioni che intendono render conto del suo funzionamento.
    N.J. Green Pedersen analizza i loci presenti nei libri II-VII, sottolineando che questi loci esprimono il dibattito dal punto di vista di chi interroga, ed esemplificandoli così66:

    1. a. See if the other part state/means that...
        b. Then do/say/ask...
    2. Because (gar).

    Secondo questa analisi, un locus è diviso in due parti: la prima parte è costituita da un'istruzione data per investigare i punti di partenza dell'interlocutore, e scegliere una certa linea di attacco contro di lui; la seconda parte afferma poi la ragione o il ground per l'istruzione data nella prima parte. Ma Green-Pedersen fa notare come raramente questo schema viene completamente realizzato nei Topici: in molti casi è possibile riscontrare l'assenza della seconda parte. Nel libro II ad esempio, sono presenti 36 loci67, di cui solamente nove realizzano lo schema in entrambe le parti. In 23 dei 36 complessivi, troviamo solamente l'istruzione; in 4, solamente la ragione. Nei 62 loci del libro IV, i 62 loci presenti comprendono tutti la parte inerente all'istruzione. Osserviamo invece più da vicino uno dei loci definiti completi da Green-Pedersen:

    Si può ancora considerare se la nozione che è stata posta entro il genere sia più estesa del genere, così come ciò che è oggetto di opinione è più esteso di ciò che è: tanto ciò che è, quanto ciò che non è risulta infatti oggetto di opinione. Di conseguenza, ciò che è oggetto di opinione non potrà essere una specie di ciò che è: il genere invero è più esteso della specie. Per un altro verso, si può osservare se la specie ed il genere abbiano un'uguale estensione, ad esempio se tra i predicati che toccano a tutti gli oggetti, come nel caso di ciò che è e dell'uno, se ne ponga uno come specie e l'altro come genere. Ciò che è e l'uno appartengono invero ad ogni oggetto; in tal modo nessuno dei due è genere dell'altro, poiché essi hanno uguale estensione68.


    In questi passi si fornisce evidentemente un'istruzione (si dice cioè di considerare se l'interlocutore ha incluso nel genere una nozione più estesa del genere stesso); si fa appello ad un esempio (ciò che è oggetto di opinione non può appartenere al genere di ciò che è, perché l'opinione ha un'estensione maggiore: può concernere sia ciò che è, sia ciò che non è); si giustifica infine l'esempio con la ragione che il genere è più esteso della specie.
    A questo punto la domanda è: il locus è concretamente un' istruzione o una ragione?
    Alessandro di Afrodisia69 ci informa che già Teofrasto operava nel locus una distinzione, tra una parte denominata parangelma (che possiamo identificare con l''istruzione') e una parte chiamata topos (che possiamo identificare con la 'ragione'); conseguentemente Teofrasto chiamava i topoi dove la parte della ragione è assente, topoi parangelmatikoi. Ma Alessandro di Afrodisia riscontra che Aristotele si riferisse ad entrambe le parti, istruzione e ragione, con il termine topos. Quanto a Green-Pedersen, la sua linea interpretativa è decisamente più vicina a quella di Alessandro che a quella di Teofrasto.

    Una ulteriore interessante schematizzazione del ragionamento sillogistico è quella proposta da Stephen Toulmin70. Toulmin argomenta che il passaggio da un dato ad una conclusione, è consentito dalla presenza di una garanzia. Tale garanzia, a sua volta, fonda la propria autorevolezza su una proposizione che ne rappresenta la ragione.

    Lo schema di Toulmin si presenta così:



    Toulmin situa le sue considerazioni circa la forma logica di un'argomentazione valida tra due modelli: il modello matematico e il modello giuridico; ovvero, egli indaga se un' argomentazione valida sia più comparabile ad una forma geometrica o ad una procedura, o se comprenda entrambi questi aspetti. Per affrontare la questione, Toulmin ritiene di dover espandere la canonica struttura del sillogismo (premessa maggiore, premessa minore, conclusione) specificando alcuni ulteriori elementi.
    Il suo ragionamento segue questo percorso: per supportare una affermazione si usa far riferimento a certi fatti; se però il nostro interlocutore non concorda su questo riferimento, allora bisogna innescare un'argomentazione in grado di confutare la sua abiezione. Per prima cosa, portiamo dei dati su cui fondare l'affermazione; a questo punto, l'interlocutore può chiederci ragione di questi dati: la sua domanda non riguarda i dati forniti (nei termini di Toulmin: what have you got on?) ma il modo in cui dai dati si arriva alla affermazione iniziale (how do you get there?). Per risolvere il quesito dobbiamo appellarci ad un enunciato generale ed ipotetico, che funzioni da ponte, e autorizzi il passaggio dai dati alla conclusione. Questo enunciato è indicato nello schema con la lettera 'W': esso costituisce la 'garanzia' su cui poggia il suddetto passaggio, ne registra la legittimità, e lo include in una classe più ampia di passaggi di cui si presuppone la legittimità. Per questo motivo, si può dire che mentre l'appello ai dati è esplicito, quello alla garanzia è implicito: la garanzia è generale, e giustifica la plausibilità di tutte le argomentazioni di un certo tipo. Toulmin marca la differenza tra W e D assimilandola alla differenza giuridica tra 'questioni di diritto' e 'questioni di fatto'.
    La garanzia, inoltre, può conferire diversi gradi di forza alla conclusione che giustifica: una garanzia può, con gli appropriati dati, autorizzare l'accettazione dell'affermazione in gioco, e consentirci di far riferimento alla conclusione utilizzando l'avverbio 'necessariamente'; oppure può richiedere l'intervento di qualificatori modali, come 'probabilmente', 'presumibilmente'.
    Questi qualificatori sono rappresentati nello schema con la lettera 'Q'.
    La lettera 'R' indica invece le circostanze eccetto le quali il passaggio da D a C è garantito.
    Ultima peculiarità di questo schema risiede è la distinzione tra W e B (backing): solitamente questa distinzione non viene esplicitata, e la possibilità del passaggio dal dato alla conclusione viene caricata interamente su W. Ma la garanzia non può auto-autenticarsi: essa deve essere ulteriormente giustificata, e la sua giustificazione (B) varia a seconda del contesto di indagine (variability o field-dipendence); inoltre mentre le garanzie sono proposizioni ipotetiche che servono da ponte tra i dati e la conclusione, le basi su cui poggiano sono affermazioni categoriche ( simili nella forma ai dati con cui supportiamo l'affermazione).
    Dunque, la freccia che porta dai dati alla conclusione può essere letta in due sensi: da sinistra a destra, essa collega i dati alla conclusione con un 'quindi'; da destra a sinistra, connette la conclusione ai dati con un 'perché'71.

    Esaminiamo ora una terza schematizzazione, proposta da W. A. De Pater72.



    De Pater sostiene che l'esegesi dei Topici è resa particolarmente difficile non solo dall'assenza da una definizione di topos o 'luogo', ma anche dalla mancata esplicitazione del rapporto tra strumenti e luogo. Leggendo infatti in I 13-18, si sarebbe tentati di identificare gli strumenti con i luoghi (topoi). Quando Aristotele definisce poi il secondo dei quattro strumenti della dialettica, si serve del termine stoixeia, ovvero del termine con cui designa il luogo. Ma De Pater argomenta a sfavore di questa ipotetica identificazione tra strumenti e luogo: innanzi tutto, egli sostiene, il legame tra lo strumento e la prova sembra essere più debole del legame tra il luogo e la prova; in secondo luogo, si ha più l'impressione che gli strumenti siano in qualche modo d'aiuto al luogo, ne comprovino cioè la validità supplendo alla sua portata. Per quanto riguarda la struttura del luogo in senso stretto, la prima parte del luogo è una regola di ricerca che formula il punto di vista dal quale il dialettico può esaminare il problema posto e i dati connessi a questo problema. La seconda parte del luogo, introdotta da gar, sembra costituire il momento decisivo della accettazione o della confutazione. La questione a questo punto è: il luogo comprende due parti, o si identifica con una solamente? Si potrebbe ipotizzare che il luogo sia una formula di ricerca, e che l'enunciato introdotto da gar sia solo una spiegazione o una giustificazione del luogo, non necessariamente facente parte del luogo. Ma si potrebbe ipotizzare anche il contrario, e cioè che il luogo sia una vera e propria legge di inferenza. Per sciogliere tale questione, bisogna tornare al problema del rapporto tra luogo e strumenti. Mentre infatti, come si diceva a proposito della portata conoscitiva della dialettica, i luoghi non hanno contenuti extra-logici, e presentano quindi un campo di applicazione piuttosto vasto, la funzione informatrice degli strumenti sembra essere più diretta: di essi possiamo avvalerci per trovare, moltiplicare e scegliere i dati utili per arrivare alla conclusione del sillogismo dialettico.
    Altra questione importante per comprendere il rapporto tra luogo e strumenti è chiarificazione dello statuto degli strumenti: si tratta di facoltà, di azioni, o di sistemi di regole? Le forme verbali presenti in Top. I 13 suggeriscono che si tratti di una facoltà o un'azione. Alla fine della sua argomentazione De pater concluderà che gli strumenti sono azioni volte a trovare quelle proposizioni fondate sugli èndoxa, che devono ancora esser sottoposte all' esame del ragionamento dialettico.
    Il presupposto da cui De Pater muove, è che possediamo molti più dati di quelli effettivamente utilizzati nell'argomentazione. Seguendo lo schema quindi, si inizia dal luogo comune (G), che insegna a redigere una sorta di schedario dei possibili oggetti di discussione; poi, attraverso i quattro strumenti (assunzione delle proposizioni, distinzione delle diverse accezioni di un termine, scoperta delle differenze e delle somiglianze) vengono scelti i dati pertinenti al sillogismo. Operata questa scelta, (nello schema i dati scelti corrispondono a "R"), il luogo funziona come una "garanzia" per l'inferenza73.
    Alla luce di ciò De Pater afferma che il luogo è allo stesso tempo una formula di ricerca e una formula probativa; nel caso in cui il luogo sia una legge logica, abbiamo a che fare con un luogo comune. Si tratta di un'interpretazione abbastanza forte: una legge logica si configura come una proposizione necessariamente vera. Green-Pedersen a tal proposito obietta che le presunte leggi logiche nei Topici hanno in realtà diversi contro esempi, in cui tali proposizioni si rivelano dunque false: in questo modo l'aspetto della necessità è perso; ciò che rimane, è la capacità di persuadere un interlocutore, il quale, privo di una conoscenza specifica circa un dato argomento, non è nelle condizioni di produrre immediatamente un controesempio. Effettivamente, i Topici sembrano voler fornire un metodo sistematico in cui il rapporto causale tra il luogo e l'oggetto cui il luogo va applicato, deve essere di volta in volta istituito e verificato in base al contesto della discussione: in questo l'aspetto della contingenza prevale. Ciò nonostante, nell'opera sono riscontrabili formulazioni di alcune leggi logiche.
    In Top. II 4 111b 15-25 e in 5 112a 15- 20, leggiamo:

    Si può anche esaminare l'affermazione di cui si discute, considerando per quale causa essa può sussistere, oppure che cosa segue necessariamente, se essa sussiste. Chi vuole fare opera di consolidamento, deve osservare per quale causa sussiste l'affermazione di cui si tratta (se si mostrerà infatti la realtà della causa, sarà provata altresì l'affermazione di cui si discute); chi invece vuole demolire, deve osservare che cosa segue, se l'affermazione proposta sussiste: quando mostreremo che la conseguenza di tale affermazione non esiste, avremo invero distrutto la tesi iniziale.
    Inoltre, chiunque dica una qualsiasi cosa, ne ha già detto in certo modo molte, poiché ad ogni oggetto conseguono necessariamente parecchie nozioni; ad esempio, chi dice che qualcosa è un uomo, ha già detto che è un animale, che è vivente, che è bipede, che può accogliere intuizione e scienza. Per tale motivo, una volta demolita una sola delle proposizioni conseguenti, qualunque essa sia, risulta demolita altresì la proposizione iniziale.

    Riconosciamo in questi passi la formulazione delle leggi del modus ponens e del modus tollens.
    L'ultima parte del primo passo ("quando mostreremo che la conseguenza di tale affermazione non esiste, avremo distrutto la tesi iniziale") coincide con lo schema:

    Se P, allora Q.
    P.
    Quindi, Q.

    Questo schema comprende due premesse: la prima è costituita dalla proposizione condizionale, e indica che P implica Q; la seconda premessa ci dice che P, l'ipotesi della proposizione condizionale, è vera. Dalle due premesse deriviamo che Q, la conseguenza nella proposizione condizionale, deve essere vera anch'essa. In sintesi, la validità del modus ponens stabilisce che la conclusione deve essere vera se tutte le premesse sono vere.
    Similmente, la seconda parte del secondo passo ("una volta demolita una sola delle proposizioni conseguenti, qualunque essa sia, risulta demolita altresì la proposizione iniziale") corrisponde allo schema:

    Se p, allora q.
    Non q.
    Quindi, non p

    Ancora, in Top. VI 6 143 b 15 leggiamo:

    [...] di ogni oggetto si dice vera o l'affermazione o la negazione.

    A fronte di questi esempi, dovremmo dire che la formulazione di un luogo proprio risulta abbastanza differente da quella di una legge logica: il luogo, come schema, contiene al suo interno una proposizione che può presentarsi come incontrovertibile e che sarà applicata a casi particolari individuati dagli strumenti della dialettica. De Peter inoltre sostiene che se di legge logica non si tratta, allora siamo davanti ad un luogo proprio. La distinzione tra luogo comune e luogo proprio non appartiene ai Topici, ma alla Retorica. O meglio, nei Topici troviamo solo un accenno, nel libro VII, all'utilità dei luoghi di più ampia applicazione, proprio perché dispositivi sfruttabili in un gran numero di casi74. Se i luoghi comuni possono comparire nelle dispute dialettiche concernenti qualsiasi soggetto, i luoghi propri riguardano soggetti specifici, dunque ci saranno luoghi propri specifici della fisica, dell'etica, e così via75.
    Secondo De Pater, i luoghi nel libro III dei Topici sono classificabili come luoghi propri perché sono formulati allo stesso modo dei luoghi propri nella Retorica. Un punto di vista opposto a quello di De Pater ci è offerto dagli studi di Eleonor Stump. Secondo Stump, il luogo è fondamentalmente l'indicazione di una strategia da seguire (quella che per De Pater è l'istruzione), strategia frequentemente giustificata o spiegata attraverso un principio. Cerchiamo ora di individuare i punti cardine delle argomentazioni di Stump:

    - Aristotele fornisce nei Topici molti luoghi costituiti solo dal principio o legge logica, e molti altri costituiti solo da strategie da seguire, al fine di mettere in atto una buona argomentazione76.
    - Alcuni luoghi nel libro II presentano una parte che è una strategia da seguire, e una seconda parte (introdotta da gar) che è difficilmente interpretabile come una legge logica: si tratta di proposizioni come " allora l'esame sarà condotto in modo migliore e in un minor numero di passi", o " con ciò risulterà più chiaro se ciò che è detto è vero o falso". Qui Aristotele dice che un luogo è fondamentalmente una strategia, cui si aggiunge una proposizione introdotta da gar, che serve a supportare la strategia.
    - Aristotele parla di luoghi nell'ambito di dispute, non nell'ambito della logica e della metafisica: la discussione di un luogo non è l'elaborazione di un principio, che spieghi le relazioni logiche implicate in un principio, ma ha a che fare con ciò che l'avversario dice e con ciò che gli si può contestare.
    - Nella Retorica non sono riscontrabili passi in cui i principi sono chiamati "luoghi", e questo rende difficile appoggiare l'interpretazione di De Pater.

    Secondo la Stump, i luoghi esposti nei Topici non sono né leggi logiche, né prodotti finiti da utilizzare nelle discussioni: in quest'ultimo senso, l'opera intera costituirebbe un prontuario scarsamente maneggevole. Piuttosto, si tratterebbe di un elenco di strategie, ordinate da quelle che concernono più da vicino i predicabili, a quelle relate ai predicabili solo in modo tangente. I luoghi sarebbero dunque classificabili in: intrinseci, intermedi, estrinseci77.
    Intrinseci sono i luoghi che dipendono dalla natura dei predicabili; intermedi, quelli che hanno in parte a che fare con la natura dei predicabili, in parte con qualcosa di esterno ai predicabili; estrinseci, quelli che non riguardano la natura del predicabile. La lista dei luoghi, ordinata in questo modo, esprime l'essenza e l'accidente dei predicabili, ed ha la funzione di far acquisire maggior familiarità con la natura dei predicabili, con una conseguente migliore capacità di padroneggiare il metodo dialettico.

    Comparando le diverse schematizzazioni potremmo dire che: se il luogo coincide con la causa, esso assume un aspetto, per così dire, più rassicurante, agli occhi di chi è abituato ad una logica 'pura', adottando la terminologia di Weil. In realtà però l'aspetto più complicato della conoscenza causale, per come possiamo intenderla nell'ambito della dialettica, sta proprio nel riconoscimento del rapporto causale tra il luogo da applicare e l'effetto da raggiungere: la quantità e la qualità di risposte e obiezioni non è così esaustivamente prevedibile nell'ambito di una logica 'impura'. Chi vuole imparare l'arte della dialettica, viene quindi guidato a scegliere proposizioni, obiezioni e contro obiezioni, tramite istruzioni; viene cioè guidato alla gestione di quella 'struttura a fisarmonica' che è la discussione dialettica, immagine questa che sorge dalla lettura del seguente passo:

    Dialettico è invero colui che sa formulare proposizioni e obiezioni. Orbene, il formulare proposizioni consiste nel trarre un'unità da parecchi elementi (deve infatti venir stabilita complessivamente un'unità cui sarà riferita l'argomentazione), mentre il formulare obiezioni consiste nel trarre molti elementi da una unità: chi obietta invero distingue o demolisce, concedendo alcune delle proposizioni presentate ed altre no78.

    L'istruzione rappresenta quindi una peculiarità del luogo. Inoltre essa, proprio perché formulata di volta in volta sulla base dell'andamento della discussione, implica quel margine di probabilità che Toulmin rappresenta inserendo dei qualificatori modali nel suo schema. Mentre l'univocità del rapporto causa-effetto nella dimostrazione non lascia spazio ai casi in cui la realtà fa tornare la legge sui suoi passi, nel luogo questa eventualità è presa in considerazione. E la familiarità con i predicabili di cui Stump parla, è indispensabile per le situazioni di questo tipo.


    3.4. La definizione.

    Se la dialettica è di supporto alle scienze filosofiche per esaminare il vero e il falso indipendentemente dall'essenza, cioè là dove non ci siano principi - e quindi non si possono sviluppare argomentazioni79 -, d'altro canto essa è utile alle scienze filosofiche anche per indirizzarle verso la scoperta dei loro principi, cioè delle definizioni. Le definizioni hanno come oggetto l'essenza, 'ciò che è'.
    La via verso "ciò che è" consiste in una serie di domande e di risposte. Aristotele prosegue in questo la tradizione della dialettica socratica e platonica: la sua dialettica ha come punto di approdo il tì estin, dunque la definizione. I libri II, IV e V dei Topici sembrano propedeutici a questo approdo: i luoghi relativi al genere, al proprium, e all'accidente, preparano le argomentazioni centrate sulla definizione. Il libro VII mostra come i luoghi relativi al genere, al proprio e all'accidente, siano utili quando una definizione è sotto esame. Naturalmente, questo ordine di disposizione dei luoghi dipende anche dal fatto che la definizione stessa è un composto di genere e differenza.
    Tra gli studiosi di Aristotele, c' è chi vede delle sfumature nella ricerca dialettica della definizione. Secondo F. Solmsen80, ad esempio, nei Topici Aristotele non pone come obiettivo della dialettica il raggiungimento di una conoscenza vera (episteme): dell'approccio socratico, Aristotele preserva il tì estin come fine dell'indagine, ma ne perde la spinta conoscitiva. Anche dell'approccio platonico, Aristotele perde qualcosa, o meglio: al procedimento 'verticale' della diaeresi - che parte dalla definizione di una forma data, dunque dall'alto, raccoglie gli oggetti appartenenti ad uno stesso genere, e poi divide il genere in specie - preferisce il procedimento 'orizzontale' del sillogismo dialettico, o il procedimento 'dal basso' (ad es., in Top. 140 b 16 il sillogismo indaga se qualcosa che sia contenuto nella definizione non si applichi a qualcosa contenuto nella stessa specie)81. Green-Pedersen82 esprime un'idea simile dicendo che il procedimento aristotelico corrisponde alla 'road downward' di Platone piuttosto che alla sua 'road upward'.
    Solmsen afferma anche che la sopravvivenza di una definizione nella discussione dialettica dipende dal consenso raggiunto. E' inoltre da sottolineare che, nel libro VII, Aristotele afferma che è più facile confutare che costruire una definizione. Non si può però esattamente dire che da queste ultime due constatazioni consegua che la spinta conoscitiva della dialettica aristotelica sia attenuata: la strada per la costruzione di una definizione prevede la distruzione delle definizioni errate, se non altro come allenamento. Inoltre, come Berti83 afferma, solo nel caso delle definizioni " la dialettica dà luogo ad un'intellezione", e quindi ad un atto in cui la spinta conoscitiva è tutt'altro che trascurabile. Approfondiremo questo concetto di 'intellezione' trattando di induzione, intuizione, e principi primi.


    3.5. Intuizione, induzione, principi primi.

    Abbiamo trattato il sillogismo e l'induzione come le tipologie di ragionamento in atto nella dialettica; e abbiamo visto come Ross rilevi una carenza di sillogismi nei libri centrali dei Topici. Ora osserviamo come, al contrario, Irwin sostenga che l'induzione, per quanto utile e rilevante, non è il metodo primario della dialettica: le opinioni condivise sono spesso già presentate in forma universale, e quindi non vi è alcun bisogno di generalizzarle84. Prendendo in esame il testo aristotelico, possiamo riscontrare le seguenti cose: il sillogismo è effettivamente applicato nei libri centrali, ma il suo utilizzo consapevole di dispositivo dialettico è teorizzato nei libri di stesura presumibilmente successiva (in particolare, nel libro I); l'induzione è a più riprese citata come secondo - non nel senso dell'importanza - dispositivo dialettico, ma la principale funzione cui essa dovrebbe adempiere, non è sviluppata all'interno dei Topici. Questa funzione è il raggiungimento dei principi primi delle scienze.
    Anche i sillogismi, e non solo le induzioni, hanno a che fare con i primi principi. Ma a questo proposito bisogna specificare alcune cose. Possiamo definire i principi come proposizioni anapodittiche, e proprio per questo, non oggetto di sillogismi dimostravi: Aristotele ripudia il regresso all'infinito nella ricerca di principi sempre più anteriori. Allo stesso modo ripudia la dimostrazione circolare, che parte cioè dalle conclusioni cui la dimostrazione perviene: i principi della dimostrazione devono essere sempre anteriori alle conclusioni. Il fatto che non tutto possa essere dimostrato, è insomma per Aristotele una condizione di possibilità della dimostrazione stessa. L'unico caso in cui il sillogismo ha a che fare con i principi primi, è il caso dei sillogismi didascalici, che non sono però presenti nei Topici85. Per il resto, sono l'intuizione e l'induzione a giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento dei principi, in un modo che è tutt'altro che pacificamente convenuto dagli studiosi di Aristotele. Prendiamo in considerazione il testo dei Topici e la concernente discussione. In Top. 101 b 4, Aristotele scrive:

    Questo trattato è poi utile altresì rispetto ai primi tra gli elementi riguardanti ciascuna scienza. Partendo infatti dai principi propri della scienza in esame, è impossibile dire alcunché intorno ai principi stessi, poiché essi sono i primi tra tutti gli elementi, ed è così necessario penetrarli attraverso gli elementi fondati sull'opinione, che riguardano ciascun oggetto. Questa per altro è l'attività propria della dialettica, o comunque quella che più le si addice: essendo infatti impiegata nell'indagine, essa indirizza verso i principi di tutte le scienze.

    La difficoltà di esaminare questa altissima funzione che Aristotele attribuisce alla dialettica, sta nella mancanza di materiale: i Topici non ci dicono molto a proposito del modo in cui la dialettica giunge ai principi primi86, nonostante questo passo ci dica che l'indagine, e in particolare l'indagine che orienta verso i principi primi, sia l'attività propria della dialettica. A tal proposito Irwin prende in considerazione un passo della Fisica in cui Aristotele afferma che in ogni indagine sistematica (methodos) la conoscenza risulta dall'acquisizione dei principi primi relativi al campo di indagine; tali principi primi sono noti per natura e possono essere non noti per noi87. Irwin sottolinea che Aristotele include tra i principi primi, sia proposizioni e credenze, sia oggetti non linguistici. O meglio: le proposizioni che esprimono principi primi divengono note per noi quando le nostre credenze sono in accordo con i principi linguistici che descrivono i principi intesi come oggetti non-linguistici. Per essere più precisi, Aristotele utilizza il termine archè per riferirsi agli oggetti primi e fondamentali (non linguistici), e solo secondariamente per riferirsi alle proposizioni: ciò dipende dal fatto che i principi linguistici sono principi solo se descrivono correttamente i principi non-linguistici. Irwin polemizza in ciò con Weiland, che a suo dire fornisce basi insufficienti per invertire l'ordine suddetto. Secondo Weiland, Aristotele pone il problema dei principi primi su di un nuovo livello, che è diverso da quello degli oggetti indipendenti dal pensiero e dal linguaggio, e che è il livello dei concetti88. I principi sarebbero quindi concetti riflessivi, che non presentano significato concreto quanto al contenuto, ma che costituiscono punti di vista applicando i quali i concetti concreti possono essere costruiti o trovati più facilmente. La proposta interpretativa di Weiland non si limita inoltre all'identificazione dei principi primi con i concetti riflessivi, ma procede nell'ulteriore identificazione dei concetti riflessivi con i topoi. Di quest'ultimo passaggio è difficile riscontrare traccia nei Topici. Dalla discussione del paragrafo 3.1 dovrebbe inoltre piuttosto risultare che i topoi sono quegli schemi di ragionamento che si presentano alla stregua di dispositivi per condurre una ricerca, mentre i principi sembrano piuttosto il termine della ricerca; o, se si vuole, essi sembrano altresì il presupposto della ricerca, dal momento che la condizione essenziale del loro esser principi è che essi siano il fondamento degli oggetti da cui la ricerca muove. A questo proposito, Irwin89 sostiene che l'affermazione aristotelica secondo cui possiamo arrivare all'acquisizione dei principi primi procedendo da ciò che è noto per noi a ciò che è noto per natura, significa che non disponiamo di un'intuizione naturale dei principi primi, e che quindi è indispensabile l'attuazione di un percorso graduale. Cosa si intende per nous o intuizione? Innanzitutto, non tutti gli studiosi sono concordi nel tradurre 'nous' con 'intuizione'. Berti90 ad esempio, adotta la traduzione di 'intelligenza', rifiutando l'idea che il nous consista in una intuizione immediata, non discorsiva: se è vero che il nous non è una dimostrazione, nemmeno si può definire un'intuizione; esso è piuttosto una mostrazione, ovvero una progressiva ostensione. Zanatta91 qualifica il nous come un sapere non mediato, un abito conoscitivo distinto dalla dimostrazione, nella misura in cui questa conosce l'appartenenza di un certo predicato a un certo soggetto tramite un medio. Irwin92 definisce il pensiero intuitivo attraverso due significati eventualmente compresenti: intuitivo è il pensiero che non necessita, e in certi casi non consente, una giustificazione di tipo inferenziale. La posizione di Irwin a proposito dei rapporti tra la dialettica e il pensiero intuitivo, è riassumibile in questa sua affermazione:

    [...] dialectical philosophy seems to overstimate intuitive beliefs93.

    Intanto, una chiarificazione terminologica: notiamo che Irwin non traduce èndoxa con 'common opinion', ma con 'intuitive beliefs'. Questa distinzione è sottile, ma non irrilevante: si è visto come, a proposito degli èndoxa, non sia impossibile che Aristotele e gli uomini del suo tempo fossero convinti della sostanziale verità delle opinioni condivise, e questo proprio in virtù del forte senso di condivisione e riconoscimento intersoggettivo. In questo senso, se si focalizza l'attenzione sull'attributo 'condivise', allora si è più vicini all'idea che le opinioni fossero considerate verità, e che, in un sistema intersoggettivo, ciò che è considerato verità coincide con ciò che è verità. Se invece si focalizza l'attenzione sul termine 'opinioni', allora si è più vicini all'idea che le opinioni fossero fondamentalmente credenze, vicine alla verità quanto può esserlo una proposizione da verificare.
    Ma veniamo alla tesi di Irwin: Irwin sostiene che non vi siano sufficienti basi per credere che la dialettica pervenga ai principi primi: essa esamina le opinioni condivise, e se l'esame viene condotto correttamente, il risultato consiste semplicemente in una versione più coerente delle opinioni da cui l'esame stesso muove. Permanere nella convinzione che questa è la strada per raggiungere i principi primi, vorrebbe dire basarsi su una concezione fondazionalista della giustificazione, e supportare questa concezione con l'idea che la verità coincida con la verificata coerenza delle opinioni. Questa convinzione segnala inoltre un problema di fondo: i filosofi si appellano spesso a 'ciò che intuitivamente crediamo', o 'ciò che troviamo naturale', industriandosi poi a formulare una versione il più coerente possibile di tali credenze intuitive. Individuiamo nell'argomento di Irwin due obiezioni in proposito: innanzitutto, perché dovremmo considerare le credenze intuitive come il punto di partenza dell'indagine? Probabilmente, Irwin afferma, un'indagine di tipo scientifico ci porterebbe a confutare le iniziali credenze intuitive, in favore di nuove proposizioni che troveremmo innaturali o controintuitive. In secondo luogo la sopravvalutazione delle intuizioni si scontra con la convinzione aristotelica di una corrispondenza tra oggetti linguistici, credenze, e realtà, ovvero con quello che viene definito il realismo metafisico aristotelico, secondo il quale sono gli eventi o gli oggetti a determinare la verità degli enunciati.
    Potremmo ipotizzare così due strade per la soluzione di questa incoerenza: i) a differenza del nous divino, immediato e esaustivo94, il nous o pensiero intuitivo umano non consiste in un atto intellettivo immediato, ma in un atto intellettivo processuale, più simile al pensiero discorsivo che ad una folgorazione; ii) il raggiungimento dei primi principi non è il risultato dell'intuizione, ma del ragionamento induttivo.
    Una strada intermedia tra queste due, è quella proposta da Zanatta95, che sembra voler allentare la dicotomia tra pensiero intuitivo e pensiero discorsivo: negli Analitici Posteriori96, Aristotele presenta il nous come frutto dell'epagoge, e di quest'ultima parla come di una via per la quale l'anima ascende dagli individuali all'universale. Il percorso in questione parte dalla sensazione e si sviluppa nel ricordo; rinnovando il ricordo, si genera esperienza, ovvero si raccoglie la molteplicità dei ricordi nell'unità dell'esperienza. Da questa unità, in cui il medesimo è inteso come presente in più individuali, si giunge agli enunciati che sono i principi dell'arte e della scienza. Il suddetto passo degli Analitici Posteriori viene da Zanatta comparato ad un ulteriore passo della Metafisica97, in cui Aristotele sostiene che le determinazioni semplici che il nous ha per oggetto possono essere attinte tramite una 'ricerca'. Da questa comparazione, emerge ancora una volta la discrepanza tra l'apprensione immediata dei principi primi e la ricerca graduale che conduce ad essi. Berti98 propone che la discrepanza sia risolvibile attribuendo l'apprensione immediata ad un momento didattico - quando cioè il maestro spiega ai discepoli quali siano i primi principi -, e la ricerca graduale alla conoscenza dei principi non guidata da insegnamenti. Zanatta giudica questa interpretazione estrinseca, e propone una connessione tra induzione e nous: il nous esprime sia un contenuto del sapere che una facoltà di acquisire il sapere; questo modo di acquisizione corrisponderebbe ad un cogliere l'universale nel particolare, senza la mediazione che nei ragionamenti discorsivi ci consente di attribuire un predicato ad un soggetto.
    L'universale che il nous coglie è un predicato, e la conoscenza che esso procura è dunque la conoscenza di un enunciato, che può fungere da principio o premessa di una dimostrazione. Ciò che Zanatta sostiene è che, anche se il momento intuitivo è preceduto da un momento procedurale di ricerca induttiva, quest'ultima rappresenta solo una fase propedeutica: in poche parole, per Zanatta l'induzione apre la strada all'intuizione.
    A questo punto proviamo a chiarire un dubbio. Il ruolo del nous, in qualunque modo si voglia intendere questo termine, nella ricerca dei principi è fondamentale. Berti sottolinea l'importanza di questo ruolo sostenendo che il nous "costituisce (la filosofia prima), per così dire, dal di dentro, facendola essere non semplice scienza, ma vera e propria sapienza"99, poiché la filosofia prima mira a scoprire le essenze più generali, i principi primi, e il nous serve proprio a questo. La filosofia prima quindi, è sapienza in quanto costituita di nous ed epistème, intelligenza e scienza. Aggiungiamo a questa osservazione di Berti una nota di Green-Pedersen, secondo cui "bisogna ammettere che ci sono passaggi100 in cui Aristotele discute la scoperta dei principi delle scienze senza menzionare affatto la dialettica. In questi passaggi che i principi delle scienze sono scoperti dalle sensazioni o dalle induzioni, e poi catturati dal nous ma basandosi sulla sensazione, sull'induzione, e sul nous"101. Formuliamo a questo punto il nostro dubbio. Considerato che i) il nous cattura i primi principi; ii) il nous non è un atto intellettivo peculiare della dialettica, ma un elemento fondamentale della filosofia prima; iii)Aristotele argomenta riguardo i primi principi citando il nous ma non la dialettica; qual è allora il ruolo specifico della dialettica rispetto al raggiungimento dei principi primi?
    A questa domanda possiamo dare quattro risposte complementari: la dialettica indirizza la filosofia prima, e non la sostituisce, nella ricerca dei primi principi102; essa non scopre i principi primi, ma offre un metodo per farlo. Inoltre - come si è visto a proposito della struttura del logos e della posizione di E. Stump in merito - l'esercizio della dialettica mira a far acquisire una certa familiarità con gli elementi del metodo (proprio, genere, specie, accidente, differenza, definizione). Ancora, se i Topici non chiariscono come la dialettica conduca nella ricerca dei principi specifici di una scienza, negli Analitici è chiaro che le assegni una funzione importante per quanto riguarda i principi comuni:

    Tutte le scienze comunicano tra di loro secondo le proposizioni comuni. Chiamo 'proposizioni comuni' quelle delle quali ci si serve pensando di dimostrare a partire da esse, ma non quelle intorno alle quali si dimostra, né ciò che si dimostra, e con tutte comunica la dialettica e, se ve ne è una, (la scienza che) cerchi di dimostrare universalmente le proposizioni comuni: per esempio che 'ogni cosa si deve affermare o negare', o che 'cose uguali da cose uguali..', o altre di questo genere103.

    Infine, quarta e ultima risposta, possiamo affermare con Berti104 che è proprio l'intellezione (il nous, nella terminologia di Berti) a richiedere l'esercizio della dialettica, anche se ciò "non significa che ogni esercizio della dialettica dia luogo ad un'intellezione".


    3.6. Funzione costruttiva della dialettica.

    Proviamo ora a chiarire cosa si intenda con 'funzione costruttiva' della dialettica. Innanzitutto l'argomentazione dialettica in sé contiene una parte costruttiva (la proposta di una tesi) e una parte distruttiva (le varie obiezioni). Ma poiché la dialettica non coincide con n l'arte di prevalere nella discussione (questa confusione potrebbe essere generata dal fatto che le Confutazioni sofistiche sono generalmente considerate come il IX libro dei Topici), è opportuno precisare che per Aristotele la discussione è dialettica quando c'è un obiettivo comune, non quando c'è una competizione da vincere105. Inoltre Aristotele propone l'utilizzo della dialettica per finalità che non possono non dirsi costruttive: la risoluzione di un disaccordo tra sapienti, o tra i sapienti e i più106; la formazione di un'opinione laddove non se ne disponga né pro né contro; la formulazione di ricerche utili rispetto al sapere (come quella riguardante la questione se il mondo sia eterno o no)107.
    D'altra parte, il fatto che nel libro VII Aristotele affermi che è più facile confutare che costruire un luogo riguardo genere, proprio, accidente particolare, definizione, potrebbe farci dubitare della funzione costruttiva della dialettica, a favore invece di quella esaminativa. Di sicuro però, la distruzione delle falsità e degli errori prepara al momento costruttivo, e quindi la funzione esaminativa può sicuramente fornire un supporto alla funzione costruttiva.
    In effetti, ciò sarebbe confermato dal fatto che una funzione per eccellenza costruttiva della dialettica, è quella che essa copre nella ricerca dei principi primi; e, fra i tre ambiti di applicazione della dialettica, l'ambito delle scienze filosofiche è inerente proprio a questa ricerca. Gli altri due ambiti - l'esercizio nelle conversazioni e l'esame delle opinioni, sono in un certo senso propedeutici all'utilizzo della dialettica per l'individuazione dei primi principi.
    Irwin108 sostiene a tal proposito che se la dialettica socratica non presentava necessariamente risultati positivi e costruttivi nel suo esercizio, Aristotele mutua da Platone invece l'idea che la dialettica possa fornire conclusioni positive, e la via verso i principi primi è un esempio di questo suo ruolo costruttivo. E' vero che Aristotele non parla di un esame dei primi principi, né di una discussione dei primi principi per mero allenamento, bensì della ricerca dei primi principi: in ciò la dialettica non ha funzione peirastica, né esercitativa, ma costruttiva e di supporto rispetto alla filosofia prima. Esaminiamo allora alcuni fattori, riscontrati nei Topici, che possono indurre a dubitare della funzione costruttiva della dialettica in merito alla scoperta dei principi. Innanzitutto, non è detto che la combinazione di induzione e intuizione consenta di ottenere i risultati desiderati, e cioè non è detto che la ricerca - comunque la si voglia intendere, più discorsiva o più intuitiva - porti sempre a individuare i principi primi. A questo proposito potremmo dire che mentre l'intuizione, nella sua immediatezza, o c'è o no c'è (risulta infatti difficile pensare ad un'intuizione parziale o scandita in diversi istanti, né Aristotele ne fa menzione), l'induzione si esplica in un processo, le cui fasi intermedie potrebbero non essere tutte corrette; di qui l'insistenza di Aristotele sull'importanza dell'esercitazione; inoltre, di qui la stessa motivazione della laboriosità del trattato e della meticolosità con cui l'autore ne redige i 'casellari', per usare la terminologia di Ross109.
    In secondo luogo, ogni cosa può essere condotta ai propri principi in molti modi: se nel sillogismo dimostrativo, date le premesse, segue necessariamente una conclusione, nella dialettica, data una conseguenza, l'insieme delle premesse da cui esse può derivare non è allo stesso modo univocamente determinato. Questo potrebbe dare l'idea di una ricerca destabilizzata in partenza dalla possibile molteplicità dei suoi esiti. Ma questa difficoltà è una ovvia ripercussione del fatto che l'intento Aristotele è proprio quello di arrivare ai principi tramite la dialettica vuol dire ragionare senza ancoraggi, senza la garanzia di univocità che sorregge le dimostrazioni: la mancanza di fondamenti è il prezzo da pagare per mettere in discussione i fondamenti110. Un'ultima questione: i Topici, come si è detto, non contengono esempi di come la dialettica pervenga ai principi; considerando l'opera a sé stante, la terza funzione che Aristotele attribuisce alla dialettica sembra più quindi una dichiarazione di intenti che non ha seguiti, una proposta teorica che non trova applicazione. In realtà le cose non stanno così. Nell'VIII libro Aristotele ricorda l'assenza, fino a quel momento, di trattati che prendessero in esame le regole della discussione; nei Topici quindi Aristotele descrive un metodo, poiché questa cosa non era ancora stata fatta. Ma la dialettica non è con questo esaurita: essa è applicata altrove, anche se l'esame dei testi in cui questa applicazione è evidente, esula dal presente lavoro. In generale, si può però affermare che non sono gli Analitici che hanno messo fuori strada Topici, non è un metodo rigoroso ad averne scalzato uno meno rigoroso, ma è la dialettica a pervadere le opere aristoteliche, al di là dei Topici.


    NOTE
    1 I testi aristotelici presi in considerazione per questa analisi sono: Organon, a cura di Marcello Zanatta (1996). Unione Tipografica Editrice Torinese; Organon, traduzione e note di Giorgio Colli (2004), Adelphi.
    2 Gli studi sulla datazione cui ci si riferisce sono qui di seguito esposti. W. D. Ross (1971): "[...] L'opera sembra dividersi in due parti principali - 1) i libri II-VII, 2, il trattato originale, una collezione di topoi o luoghi comuni argomentativi, attinti in gran parte dall'Accademia, questa sezione sembra essere stata scritta prima della scoperta del sillogismo 2) i libri I, VII, 3-5, VIII, un'introduzione e una conclusione scritte dopo la scoperta del sillogismo, ma prima della composizione degli Analitici. Gli Elenchi Sofistici sono probabilmente posteriori ai Topici, ma anteriori agli Analitici." W. D. Ross, Aristotele, Feltrinelli. Eric Weil (1990): "[...] Una analisi particolareggita dei Topici dovrà seguire in tale campo l'evoluzione aristotelica. Numerose redazioni sembrano essersi sovrapposte. Il libro IX sembra presupporre, ben più degli altri ma non esclusivamente, certo risultati essenziali della Metafisica. I libri VIII e IX sembrano attribuire maggiore importanza alla soluzione (??s??) degli errori (il IX più dell'VIII) che alla semplice confutazione; tuttavia l'opera nel suo complesso ci dà tanto i mezzi della soluzione quanto quelli della confutazione. Si deve ancora sottolineare che la fine del libro IX conferma l'unità del trattato: non vogliamo dire che Aristotele abbia preparato per la pubblicazione il testo che ci è pervenuto, ma che i materiali più antichi (se è possibili individuarli con certezza) non sono stati scartati; al contrario, risultano coscientemente utilizzati in una nuova costruzione. Le atetesi biografiche, come quelle filologiche, oggi antiquate, hanno il solo vantaggio di risparmiare al lettore la fatica di pensare nel suo complesso ciò che Aristotele (se anche fosse qualcuno dei suoi immediati scolari nulla cambierebbe) ha considerato come coerente, unitario." Eric Weil, Aristotelica, Guerini e Associati, Milano.
    3 Top. I 1.
    4 Top. I 2.
    5 Top. I 4.
    6 Top. I 10.
    7 Top. I 11.
    8 Top. I 4-5, 8.
    9 Top. I 7.
    10 Top. I 9.
    11 Top. I 12.
    12 Top. I 13.
    13 Top. I 14.
    14 Top. I 15.
    15 Top. I 16-17.
    16 Top. I 18.
    17 Top. II 4 111b 8-10.
    18 Top. VII 5-14.
    19 Top. VII 5.
    20 Top. VIII 4.
    21 Top. VIII 1.
    22 Top. VIII 11.
    23 Naturalmente, anche la catalogazione e la memorizzazione giocano un ruolo importante nella dialettica, se non altro per rendere più fluida la capacità argomentativa. Scrive Aristotele, in VIII 14 163 b: "In effetti, come la persistenza nella facoltà mnemonica dei soli riferimenti spaziali ci fa d'un tratto ricordare gli oggetti stessi che vi erano contenuti, così le suddette conoscenze favoriranno la capacità di argomentare, dato che sarà possibile in tal caso di passare in rassegna un numero limitato di proposizioni. E' inoltre preferibile introdurre nella memoria una premessa comune, piuttosto che non un'argomentazione." Ma nonostante l'acquisizione mnemonica sia parte dell'esercizio dialettico, è il padroneggiare il metodo che fa la differenza. Ecco cosa scrive Eleonor Stump a proposito: "The sophist wanted to make their students simply memorize common arguments or sets of questions and answers. Aristotle, however, wants to teach not arguments but a method for arguing, and the Topics are the heart of that method." E. Stump (1989), Dialectic and its place in the development of Medieval logic, Cornell University press, pag.17.
    24 E. Berti (1989), Le ragioni di Aristotele, Bari Laterza, p.19.
    25 Wolgfang Wieland (1993), La fisica di Aristotele. Studi della fondazione della scienza della natura e sui fondamenti linguistici della ricerca dei principi in Aristotele, Il Mulino Bologna, pag. 67.
    26 Ci si riferisce alla definizione di téchne che Aristotele fornisce in Etica a Nicomaco, VI, 4, 1140. L'interpretazione della dialettica come téchne è avallata anche da Eleonor Stump: " the purpose of the Topics, as Aristotle says at the beginning of his treatise on them, is to provide a téchne of dialectical disputation, but at a first glance the major part of the Topics seems to contain not a téchne but a repetitious and disordered listing of Topics. Showing the existing of the art in the Topics téchne is my concerne here." E. Stump (1989), Dialectic and its place in the development of Medieval logic, Cornell University press, pag.12.
    27 Questo accostamento è proposto da W.A. De Pater (1966): "Les Topiques, en effet, ne sont pas une provision statique de lieux: ils visent à faire acquèrir une mèthode, en l'occurrence une mèthode d'argumentation. Ainsi la dislectique est-elle une dynamis permettant d'argumenter, comme le dit Rèth 1356 a 33, mais elle reste une mèthodologie, don cun système de lois et de règles. Ainsi le but que se propose le dialecticien en ètudiant la mèthodologie de l'enquète ( Top. I 14-17) est-il d'acquèrir une dynamis, une facilitè, une disposition." W. A. De Pater, La fonction du lieu et de l'instrument dans les Topiques, in G. E. L. Owen, op.cit., pag. 184.
    28 T. H. Irwin (1988), Aristotle's first principle, pag. 16. Oxford University press.
    29 Aristotele, Topici I 12 105 a 10-20, trad. a cura di Giorgio Colli, Bari Laterza 1990.
    Questo concetto è ribadito in VIII 1 157 a-b 16-21: "D'altro canto, nel discutere occorre usare il sillogismo, però servendosene più con i dialettici che con i profani, come pure l'induzione, ma preferendo questa, inversamente, se ci si ritrova di fronte ai profani e agli individui comuni." Similmente, in VIII 14 164 a 11-13: "D'altro canto, l'esercizio delle argomentazioni induttive dovrà esser condotto assieme ad un interlocutore giovane, mentre l'esercizio nelle argomentazioni sillogistiche dovrà svolgersi con un interlocutore sperimentato."

    30 W. D. Ross (1971), Aristotele, Milano Feltrinelli, p. 28.
    31 L'esempio portato da Ross per il secondo tipo di induzione, è il seguente: da "questa cosa non può avere colori differenti nella medesima parte di se stessa", si induce un giudizio universale quale il principio di non contraddizione. W. D. Ross, Ibid, p. 60.
    32 Tralasciando molto del dibattito moderno e contemporaneo, in cui emerge la discussione sul problema che una tesi non è falsificata da un solo caso contrario, facciamo riferimento a Top. VIII, 2, 157 a 35: "Quando poi uno proceda induttivamente attraverso molti casi e l'avversario non conceda la premessa universale, sarà giusto allora pretendere un'obiezione. Se per contro uno non precisa in quali casi si possa dire un certo modo, non sarà giusto esigere che l'avversario precisi i casi in cui si possa dire diversamente: in effetti, bisogna prima sviliuppare il procedimento induttivo, e poi pretendere l'induzione."
    33 Alessandro di Afrodisia, Dal commento ai Topici, a cura di Mariano Baldassarri. La logica stoica. Testimonianze e frammenti.
    34 A. di Afrodisia, op.cit. 35. p. 218, 3-6.
    35 G. Colli si allontana da tutti gli interpreti traducendo èndoxos con "fondato sull'opinione" (Topici, Bari Laterza 1990). E. Weil sostiene che è scorretto intendere èndoxa con il significato di "opinioni", e che bisogna piuttosto interpretarlo con il significato di "tesi divulgate" (E. Weil, op.cit.) E. Berti traduce èndoxa con "opinioni che sono in fama". M. Zanatta parla similmente di "opinioni notevoli" (M. Zanatta, op.cit.). Solmsen sceglie la strada di indagare il rapporto tra èndoxa e dòxa per poter coglieremeglio il significato della prima espressione: "Yet Aristotle's dialectical syllogism draw their persuasive force from èndoxa. However we may wish to translate this word, we cannot ignore its connection with doxa." (F. Solmsen, op.cit, pag. 52).
    36 Aristotele, Topici, I 1 100 b 20.
    37 Questa constatazione è tratta da E. Berti (1989), Le ragioni di Aristotele, Bari Laterza p.25.
    38 Topici, VIII 155 b 7-12.
    39 "Se poi non potremmo esercitarci con nessun altra persona, ci addestreremo mentalmente." Topici, VIII 14 163 b 3-5.
    40 M. Zanatta (1996), Organon, Introduzione, Unione Tipografica Editrice Torinese. pag. 62.
    41 E. Weil (1990), Aristotelica, Milano Guerini e Associati, pag. 94.
    42 "L'assenza di una portata conoscitiva è, per così dire - e con espressione certamente non del tutto felice - il prezzo che la dialettica paga alla capicità universale delle sue argomentazioni, e, in specie, delle confutazioni che pone in atto "M. Zanatta, op cit, pag, 65; "La dialettica, infatti, di per se stessa, non conosce, ma permette solo di discutere, di esaminare, di criticare" E. Berti (1989), Le ragioni di Aristotele, Bari Laterza p. 39; "(..) diverso è l'uso che di essa [la dialettica] viene fatto, dapprima semplicemente dialettico, cioè mirante alla vittoria nella discussione, e poi invece scientifico, cioè mirante alla conoscenza della realtà" E. Berti (2004), Dalla dialettica alla filosofia prima, Milano Bompiani, p.75.
    43 W. D. Ross (1971) Aristotele, Milano Feltrinelli , p. 63.
    44 In Metafisica A 9 992 b 24 ss., Aristotele nega la possibilità di una dottrina dei principi unitaria da cui dedurre la totalità delle cose.
    45 E. Weil (1990) Aristotelica, Milano Guerini e Associati.
    46 E. Weil, Ibid., Milano Guerini e Associati 1990.
    47 "Così, l'argomentazione filosofica è un sillogismo dimostrativo, l'attacco è un sillogismo dialettico, il sofisma è un sillogismo eristico, e la difficoltà è un sillogismo dialettico che deduce due proposizioni contraddittorie." Top. VIII,11 162 a 12-18.
    48 Nelle parole di Ross (1971): "Le scienze sono divise da Aristotele in teoretiche, pratiche, e produttive; lo scopo immediato di ciascun genere è quello di conoscere, ma i loro scopi ultimi sono rispettivamente la conoscenza, la condotta e la fabbricazione di oggetti utili o belli. La Logica, se entrasse in questa classificazione, dovrebbe essere inclusa fra le scienze teoretiche; ma le uniche scienze teoretiche sono la matematica, la fisica e la teologia o metafisica, e la logica non può essere inclusa sotto nessuna di esse. Infatti secondo Aristotele, essa non è una scienza sostanziale, ma è una parte della cultura generale, che ciascuno dovrebbe apprendere prima di studiare qualsiasi scienza, e che sola lo renderà capace di conoscere per quali specie di proposizioni egli dovrebbe esigere una prova, e quali specie di prove dovrebbe esigere per esse. Una concezione simile sta alla base dell'applicazione del termine Organon o strumento (della scienza) alla dottrina della logica, e, infine, all'intero complesso delle opere aristoteliche sulla logica. Il nome di logica è sconosciuto da Aristotele e non può essere fatto risalire a un tempo anteriore a quello di Cicerone. Anche allora logica significa non tanto logica quanto dialettica, e Alessandro è il primo scrittore che usa logiché nel senso di logica. Il nome che Aristotele dava a questa branca della conoscenza, o almeno allo studio del ragionamento è analitica." (W. D. Ross, Aristotele, Milano Feltrinelli, pag.28).
    Anche nelle scelte dei traduttori, la questione è rilevante: G. Colli sceglie di rendere logichai con "dialettiche", poiché la dialettica può esser applicata a qualsiasi cosa.

    49 Top., I 14 105 b 22-25.
    50 E. Weil sostiene a questo proposito, che se non c'è topica non c'è materia del sillogismo. Afferma inoltre, che se un rapporto di subordinazione sussiste, è la dialettica a comprendere l'analitica. Scrive Weil: "i Topici non costituiscono affatto una forma primitiva o bassa, inferiore della logica aristotelica, come è stato detto, ma sono invece l'inizio della riflessione analitica e a un tempo il termine al quale tale riflessione deve pervenire, se essa deve dare i suoi frutti." E. Weil, Aristotelica, Milano, Guerini e Associati, pag.71-72.
    51 A questo proposito, è interessante la posizione di Weil: "E' forse e vidente che la teoria del sillogismo fornisce un codice del corretto pensare? Certo, codice della presentazione corretta, canone della lezione dogmatica; ma criterio del lavoro fatto piuttosto che prescrizione del lavoro da farsi, metodo destinato a individuare gli errori, non procedimento per scoprire la verità". E.Weil (1990), Ibid., pag.61.
    52 Top., I 1 100a 25-28.
    53 J. Luckasiewicz (1964) fa notare che nei testi aristotelici non troviamo sillogismi contenenti il termine "quindi", quindi in essi non è rintracciabile l'inferenza moderna. J. Lukasiewicz, Il sillogismo aristotelico è un'implicazione, in Introduzione alla logica formale, Armando Plebe, Bari Laterza, pag. 37.
    54 Un'altra differenza rilevante, che fa appello alla distinzione tra linguaggio-oggetto e metalinguaggio, tra un'implicazione e un'inferenza è definita da Peter King come la differenza tra una formula che asserisce qualcosa, e una formula che fa qualcosa. Nelle sue parole: "A categorical sentence (say) is used to make a statement, that is, 'to say something of something', in Aristotle's phrase. Conditional sentences also make statements, that is, they declare that a certain relation obtains (namely that the consequent is conditional upon the antecedent). The statement that a conditional sentence makes is not the same as the statement made by any of its parts taken in isolation, of course; conditionals neither say what their antecedents or their consequents say, nor are they about the subjects of their antecedents or consequents. For all that, conditional sentences do succeed in making statements. Inferences, however, do not "say something of something." They do not make statements. An inference is a performance: it is something we do, perhaps with linguistic items, but in itself it is no more linguistic than juggling is one of the balls the juggler juggles." Peter King. Consequence as Inference: Mediaeval Proof Theory 1300-1350, in Medieval Formal Logic: Obligations, Insolubles, and Consequences, edited by Mikko Yrjönsuuri, The New Synthese Historical Library 49: Kluwer Academic Press 2001, 117-145.
    55 Top., VIII 12 162 a-b 35-15.
    56 Torneremo a parlare del realismo aristotelico qui accennato, più avanti, in relazione al raggiungimento dei principi primi.
    57 L'esempio di Aristotele è: "Se infatti il dire che bisogna fare del bene agli amici è fondato sull'opinione, tale sarà anche il dire che non bisogna far loro del male". Top., I 10-11 104 a 22-24.
    58 Top., I 11 105 a 5-10. Aristotele introduce questa idea di grado di dimostrabilità dopo averne dato un esempio: per chi dubita sull'onorare gli dei e amare i genitori si addice il biasimo, per chi dubita che la neve sia bianca si addice il provare una sensazione.
    59 "In the Prior Analytics ( 24 b 10-13) Aristotle seems to recognize both as dialectic but to draw a sharp line between them. ' For the man who is putting questions', he says, 'the dialectical protasis is an asking (sc. An invitation to choose one) of a pair of contradictiories. For the man who is reasoning to a conclusion, it is an assumption of that wich is accepted and accredited.' (...) In the first the argument starts from asking , in the second from an assumption. So it becomes tempting to say that it is the first sort of dialectic that is no more than an eristic, ready to make the most of whatever premiss is granted it, and its cut-throat manoeuvres need not trasfer to the second. But Aristotle does not speak of two species of dialectic, here or elsewhere. This passage is designed merely to mark off two sense of 'protasis', both of wich occur in Aristotle's account of dialectical exercises though only one was formally introduced at Top., 101 b 29-32. Briefly the dialectician does ask in his yes-or-no question, called protaseis; he asks until he gets the concession he needs, concessions wich must, if the argument is to be dialectical, be èndoxaprotaseis, and he must 'secure'them, and not 'assume'them." G.E.L. Owen (1966), Dialectic and Eristic in the Treatment of the Forms, Aristotle on Dialectic. Third Symposyum Aristotelicum. Oxford.
    60 Top., I 4 101 b 28-35.
    61 Ibid., I 17 108 a 12-15.
    62 Questi tre utilizzi dell'analisi semantica sono presentati in Top., I 18.
    63 Ibid, VIII 2 157 b 5-10. L'esempio di omonimia portato da Aristotele è il seguente: " [...] questi avversari obiettano, ad esempio, che uno può avere un colore non suo, o un piede non suo, o una mano no sua, dato che il pittore può avere un colore che non è il colore della sua persona, e che il cuoco può avere un piede che non appartiene alla sua persona."
    64 Ibid, VIII 13 162 b 38-39.
    65 L'assenza di una definizione del concetto di topos, riscontrata nel testo, è confermata dagli autori presi in considerazione, in particolare Zanatta (M. Zanatta 1996, op.cit, Introduzione), e W. A. De Pater (1966), che sottolinea come questo renda difficile l'esegesi dei Topici, e come sia necessario, a causa di questa lacuna, ricorrere alla Retorica: " Toutefois, la plus fondamentale de toutes le difficultès consiste probablement dans le fait qu'Aristote a supposè connue la notion du lieu, et plus spècialment qu'il n'a pas dit clairement quelle est la relation entre les instruments dialectiques et le lieu. La seule dèfinition explicite du lieu se trouve dans la Rhèthorique: 'J'appelle èlèment et lieu la mème chose, car un èlèment et un lieu sont ce sous quoi se ragent maints enthymèmes'. La function du lieu et de l'instrument dans le Topiques, in G.E.L. Owen, Dialectic and Eristic in the Treatment of the Forms, Aristotle on Dialectic. Third Symposyum Aristotelicum. Oxford.
    66 N.J.Green-Pedersen (1984), The tradition of the Topics in the Middle Ages, Philosophia Verlag, pag.20.
    67 Il conteggio dei loci può presentare alcune difficoltà: Green-Pedersen riconosce che è difficile capire dove finisce un locus e dove ne inizia un altro. I 36 loci del secondo libro dei Topici potrebbero essere in realtà 41, se dividiamo uno dei 36 in tre loci distinti.
    68 Top., I 14 121 b 1-10.
    69 Alessandro di Afrodisia, Dal commento ai Topici, a cura di Mariano Baldassarri. La logica stoica. Testimonianze e frammenti.
    70 S. Toulmin (1958), The uses of Argument Cambridge University Press, ,pgg. 95-118.
    71 In particolare, Toulmin ci chiede di focalizzare l'attenzione su un esempio di schematizzazione sillogistica, in cui compaiono le seguenti proposizioni: Petersen is a Swede(D); Petersen is not a Roman Catholic (C); A Swede can be taken to be almost certainly not a Roman Catholic (W); The proportion of Roman Catholic Swedes is less than 2% (B). Sulla base di questo esempio, Toulmin argomenta: "So long as we interpret universal premisses as expressing not warrants but their backing, both major and minor premisses are at any rate categorical and factual: in this respect, the information that not a single Swede is recorded as being a Roman Catholic is on a par with the information thet Karl Henrik Petersen is a Swede. Even so, the different roles played in practical argument by one's data and by the backing for one's warrants make it rather unfortunate to label them alike 'premisses'. But supposing we adopt the alternative interpretation of our major premisses, treating them instead as warrants, the difference between major and minor premisses are even more striking. A 'singular premiss' expresses a piece of information from wich we can safely take the step from our datum to our conclusion. Such a guarantee, for all its backing, will be neither factual nor categorical but rather hypothetical and permissive. Once again, the two-fold distinction between 'premisses' and 'conclusion' appears insufficiently complex and, to do justice to the situation, one needs to adopt in its place at least the four-fold distinction between 'datum', 'conclusion', 'warrant', and 'backing'. S. Toulmin (1958), op. cit., p.113-114.
    72 A. De Pater (1966), La fonction du lieu et de l'instrument dans les Topiques in G.E.L. Owen, Dialectic and Eristic in the Treatment of the Forms, Aristotle on Dialectic. Third Symposyum Aristotelicum, Oxford.
    73 De Pater elabora poi una seconda versione dello schema, in cui sostiutuisce alle posizioni astratte un esempio concreto, presente negli stessi Topici (Top. 113 a 33-35, b 3-6). In questo esempio, G corrisponde a "Una stessa cosa è suscettibile di avere contrari, E è costituito dal primo strumento, che seleziona tra i dati (D) un dato in particolare (R), ovvero " La parte appetitiva dell'anima non è suscettibile di conoscenza; la conoscenza è il contrario dell'ignoranza". Infine la conclusione (C) ottenutà è: "L'ignoranza non risiede nella parte appetitiva dell'anima".
    74 "Gli schemi più convenienti sono d'altronde quelli enunciati ora, come pure quelli basati su termini linguisticamente collegati e sulle flessioni dei vocaboli. Per tale ragione, occorre pure rendersi padroni di tali schemi e tenerli a propria disposizione, in modo del tutto speciale: essi risultano infatti più utili di ogni altro rispetto alla grande maggioranza dei casi. Del resto, anche tra gli altri schemi si dovranno tener presenti quelli di più vasta applicazione, perché sono i più efficaci di tutti." Top. VII 4 154 a 10-15.
    75 Reth. I 2 21-22 1358 a 10-35.
    76 Gli esempi sono, nel primo caso, Top. 117 b 10-11; nel secondo caso 120 b 36-37.
    77 Per quanto riguarda questa classificazione, E. Stump dichiara di far riferimento all'interpretazione ciceroniana dei Topici.
    78 Top., VIII 14 164 b 4-8.
    79 In Metafisica, XIII,4,1078 b 23-27 Aristotele afferma che la conoscenza del vero e del falso è possibile anche senza impiegare un procedimento apodittico che muove cioè dall'essenza e da i pincipi.
    80 F. Solmsen (1966), Dialectic without the Forms, p.58, 67 , in G.E.L. Owen, Dialectic and Eristic in the Treatment of the Forms, Aristotle on Dialectic. Third Symposyum Aristotelicum, Oxford.
    81 Queste non sono ovviamente le uniche differenze tra la dialettica socratica, platonica, aristotelica: si sta qui prendendo in considerazione solo ciò che riguarda il concetto di definizione. Possiamo brevemente segnalare altre differenze rilevanti: la dialettica aristotelica, rispetto a quella platonica, non coincide con la filosofia prima;Aristotele, come si vedrà, specifica che il percorso del dialettico e il percorso del filosofo coincidono solo fino ad un determinato stadio dell'indagine. Una ulteriore importante distinzione tra questi tre pensatori è formulata da Irwin (1988) in questo modo: "'Dialectic' (dialektikè) is Plato's name for the sort of systemaic discussion (dialegesthai) that is practised in Plato's Socratic dialogues (dialogoiAristotle's first principles, Oxford University Press, pag. 7.
    Nel periodo centrale della produzione di Platone poi, la dialettica è connessa con il metodo delle ipotesi, (anche se non identico ad esso). Nella Republica Platone afferma che mentre le scienze matematiche usano le ipotesi come punti di partenza o principi (archai) e arrivano alle conclusioni partendo da questi, senza poterne fare a meno, la dialettica usa le ipotesi come mere assunzioni, basi per procedere, verso un principio vero, non-ipotetico. Quindi secondo Platone, solo la dialettica raggiunge una conoscenza vera e infallibile del mondo. Mentre, sebbene non si possa negare la funzione conoscitiva della dialettica aristotelica, è anche vero che Aristotele attribuisce alla filosofia prima, e non alla dialettica, il compito di arrivare alle conoscenze vere.

    82 Green-Pedersen (1984) The tradition of the Topics in the Middle Ages, Philosophia Verlag, pag. 17.
    83 E. Berti (2004), Aristotele: dalla dialettica alla filosofia prima, Milano, Bompiani, pag. 585.
    84 T. H. Irwin (1988), Aristotle's first principles, Oxford University Press, pag. 44.
    85 E' nelle Confutazioni Sofistiche che Aristotele dice: " Vi sono quattro generi di discorsi che si usano nelle discussioni: quelli didascalici, quelli dialettici, quelli peirastici e quelli eristici. Sono didascalici quelli che argomentano a partire dai principi propri di ciascuna disciplina e non dalle opinioni di colui che risponde (bisogna infatti che colui che apprende si fidi); sono dialettici quelli che argomentano la contraddizione a partire dagli èndoxa; sono peirastici quelli che argomentano a partire dalle opinioni di colui che rispnde e che è necessario conoscere per chi pretende di avere la scienza (in quale modo, è definito altrove); sono eristici quelli che argomentano a partire da èndoxa apparenti, ma non reali, essendo autentici sillogismi oppure sillogismi apparenti". Elenchi sofistici, 2 165 a 38 b 8.
    86 L'assenza nei Topici di parti che trattino l'effettivo percorso che un dialettico segue per arrivare a formulare I principi primi di na scienza è notata da diversi studiosi. T. H. Irwin (1988) scrive a questo proposito. "Aristotle's statement of the third function of dialectic is quite limited. He does not say wether a dialectical discussion of a given proposition will ever supply sufficient reason for believing that the proposition is a principle of some science." T. H. Irwin, Aristotle's first principles, Oxford University Press, pag. 37. Wolfgang Weiland (1993) similmente dice: "[...] Aristotele, quando parla di arché, dà probabilmente per acquisita una nozione corrente del significato di questa parola." W.Weiland La fisica di Aristotele. Studi sulla fondazione della scienza della natura e sui fondamenti linguistici della ricerca dei principi in Aristotele, Il Mulino, pag.63.
    87 Fisica 184a 10-21.
    88 "[...] Neppure noi possiamo dunque per il momento ancora distinguere i principi formulati nel singolo contesto (gli assiomi delle scienze e simili) dai principi formulati in base al loro concetto generale (come contenuto, forma, scopo e simili). H. Scholz ha già comunque dimostrato che Aristotele sviluppa parallelamente proposizioni e concetti. Ci sentiamo perciò autorizzati a partire dall'ipotesi che le affermazioni che Aristotele compie circa le proposizioni che si riferiscono ai fondamenti, valgano anche per i concetti dei fondamenti stessi, e viceversa." W.Weiland, La fisica di Aristotele. Studi sulla fondazione della scienza della natura e sui fondamenti linguistici della ricerca dei principi in Aristotele, Il Mulino, pag.63-64.
    89 T. H. Irwin (1988) Aristotle's first principles, Oxford University Press, pag. 7.
    90 "La conoscenza dei principi della scienza (...) viene pertanto da lui [Aristotele] indicata con il nome di nous, che è pressochè intraducibile, perché il termine latino ad esso corrispondente ed usato a partire da Boezio, cioè intellectus, che corrisponde all'italiano ‘intelletto', è stato tradotto in tedesco dal monaco benedettino Nokter (vissuto nell'abbazia di San Galloi tra il X e l'XI secolo) con , termine che invece a partire da Kant, anzi da Baumgarten, è stato usato per tradurre il latino ratio e che pertanto, a causa dell'enorme influenza avuta dalla filosofia tedesca da Kant in poi su quella italiana, viene normalmente reso in italiano come ragione. Al fine di evitare tutti gli equivoci che possono nascere a proposito del rapporto ragione-intelletto, dato che fino a Spinoza la facoltà più alta è stata considerata l'intelletto, mentre a partire da Kant e soprattutto con Hegel la facoltà più alta è stata identificata con la ragione, adottiamo per il greco nous la traduzione ‘intelligenza', senza tuttavia intendere questo termine nel senso preciso che esso ha nella psicologia sperimentale e nella disciplina denominata ‘intelligenza artificiale'". E. Berti (1989), Le ragioni di Aristotele, Bari Laterza, pag.13.
    91 M. Zanatta, Organon, Introduzione, Unione Tipografica Editrice Torinese, pp.39-40.
    92 T. H. Irwin (1988) Aristotle's first principle, Oxford University Press, pag. 488.
    93 T. H. Irwin, Ibid., pag. 9.
    94 In Metafisica XII 9 1075 a 5-10 Aristotele spiega che il nous divino non ha bisogno di cercare, ma è già totalmente in atto, e abbraccia tutto con un unico sguardo.
    95 M. Zanatta (1996), Organon, Introduzione, Unione Tipografica Editrice Torinese, pag. 39-43.
    96 Analitici Posteriori, II 19 100 a 5-10.
    97 Metafisica, IX 10 151 B 32-33.
    98 Dal punto di vista di Berti (1989) si può ritenere che "l'apprensione immediata dei principi, avente come unica alternativa l'ignoranza, sia quella che ha luogo in una situazione di insegnamento, dove il docente fornisce ai discepoli una definizione già bella e fatta, ed essi non hanno che da ‘capirla': se la capiscono sono nel vero, se no la ignorano. Questa immediatezza diapprensione tuttavia non esclude che il docente, per dare la definizione, abbia dovuto prima cercarla, attraverso un processo che non è affatto un'apprensione iommediata. [...] Che anche a proposito dei principi Aristotele pensi ad una situazione di insegnamento, è confermato dal fatto che, accanto ai principi veri e propri (definizioni, presupposizioni, ed assiomi), egli annovera spesso, tra le premesse delle dimostrazioni, anche i postulati (aitèmata), termine che significa letteralmente ‘richieste' (da aitèo, chiedere), in quanto il docente deve richiedere ai discepoli di ammetterli, per poter procedere nella dimostrazione. A differenza dei principi, infatti, che sono necessari, cioè evidenti, i postulati non lo sono. Da tutto ciò risulta, mi sembra, che il nous, al di fuori dell'isegnamento, non è un'intuizione immediata, cioè una specie di folgorazione gratuita, o dovuta all'abilità del docente, ma è frutto di un processo che può essere anche lungo e laborioso, cioè di una vera e propria ricerca." E. Berti, Le ragioni di Aristotele, Bari Laterza, pp.14-15.
    99 E. Berti (1989) Le ragioni di Aristotele, Bari Laterza, pag.17.
    100 I passaggi cui Green-Pedersen fa riferimento si trovano in Etica Nicomachea I 7, Analitici Posteriori II 19.
    101 Green-Pedersen (1984) The tradition of the Topics in the Middle Ages, Philosophia Verlag , pag.18.
    102 A tal proposito Berti (1989) scrive: "La dialettica, infatti, di per se stessa, non conosce, ma permette solo di discutere, di esaminare, di criticare. Ecco perché, quando essa si vuole sostituire alla scienza, per esempio nel dare una definizione, non ha nessun valore, e il procedere dialetticamente (dialektikòs) equivale ad un parlare ‘a vuoto' (kenòs) (De an I 1 403 A 2), cioè in maniera puramente verbale (logikòs) (Eth. Eud. I 8 1217 B 21)." E. Berti (1989) Le ragioni di Aristotele, Bari Laterza, pag. 39.
    103 An. Post. I 11 76 a 26-32.
    104 E. Berti (2004), Aristotele: dalla dialettica alla filosofia prima. Saggi integrativi. Milano, Bompiani, pag. 585.
    105 Top. VIII 11 161 a 37-40.
    106 Ibid. I 12 104 b 5-7.
    107 Ibid. I 12 104 b 8-10.
    108 T. H. Irwin (1988), Aristotle's first principles, Oxford University Press, pag. 8.
    109 Cfr. nota 41.
    110 Questo problema si avvicina al problema del percorso bidirezionale descritto da Weiland (1993): "La via che conduce ai principi può essere infatti percorsa sempre e soltanto guardando costantemente all'indietro; su questa strada, il fine non lo si ha mai davanti agli occhi, ma sempre, per così dire, dietro le spalle. Quando, in una ricerca su un argomento, si è trovato un punto di vista appropriato, immediatamente e nello stesso tempo si è già considerato l'argomento da questo punto di vista. Proprio in questo senso la via della ricerca procede contemporaneamente verso i principi e da essi". W. Weiland (1993), La fisica di Aristotele. Studi sulla fondazione della scienza della natura e sui fondamenti linguistici della ricerca dei principi in Aristotele, Bologna, Il Mulino, pag.286.
    111 Irwin (1988) sottolinea che l'uso costruttivo della dialettica a proposito dei principi, di cui si parla nei Topici, è espletato nelle ulteriori opere aristoteliche (De Anima, Etica, Fisica). T. H. Irwin, Aristotle's first principles, Oxford University Press. Berti scrive a questo proposito: "Continuo a pensare , infatti, che la dialettica svolga un ruolo fondamentale in tutta la filosofia di Aristotele, nelle opere di fisica come nella Metafisica e nella filosofia pratica, e che essa rimanga sempre la stessa dialettica che Aristotele ha teorizzato nelle opere giovanili, cioè nelle opere di logica: diverso è l'uso che di essa viene fatto nelle une e nelle altre, dapprima semplicemente dialettico, cioè mirante alla vittoria nella discussione, e poi invece scientifico, cioè mirante alla conoscenza della realtà." E. Berti Aristotele: dalla dialettica alla filosofia prima, p.75. Altrove, Berti (2004) conferma: "Infine in Aristotele esiste anche un terzo uso della dialettica, che non è esplicitamente teorizzato, ma è spesso prticato: esso ha, come il precedente, un riferimento alla scienza, in particolare a quella scienza sui generis che è la filosofia prima, scienza dell'essere in quanto essere. Ma si tratta di un riferimento più intrinseco, nel senso che qui la dialettica non funge più da introduzione preliminare, o da propedeutica, al sapere vero e proprio, bensì ne costituisce il metodo effettivo, la struttura logica". E. Berti L'antica dialettica greca e la libertà di pensiero e di parola in Nuovi studi aristotelici. I Epistemologia, logica e dialettica, Brescia, Morcellania.