• La filosofia continuò a fiorire nell'antica Roma, nonostante l'atteggiamento nei confronti dei filosofi variasse notevolmente da imperatore a imperatore: Marco Aurelio, ad esempio, era lui stesso filosofo; Nerone, invece, li sterminava. Il pensiero romano tuttavia non ha nulla di originale: sebbene annoveri figure importanti come Cicerone (106-43 a.C.), Lucrezio (95-55 a.C.), Seneca (4 a.C. - 65 d.C.), Epitteto (50-93) e lo stesso Marco Aurelio (121-180), esso rappresenta in sostanza una ripresa dei concetti formulati dalla filosofia greca.
    Cicerone fu un eclettico, ed ebbe il merito di diffondere a Roma il pensiero greco mediante esposizioni riassuntive limpide ed eleganti ma prive di originalità.
    Il De rerum natura di Lucrezio costituisce la principale fonte di notizie sull'epicureismo.
    La concezione stoica fu adottata e diffusa in Roma da Seneca, Epitteto e Marco Aurelio.




    Proprio in questo periodo iniziò a farsi sentire l'influenza del cristianesimo. Ma, prima di parlare della dottrina sviluppatasi dal messaggio di Gesù di Nazareth, dobbiamo dire qualcosa sul neplatonismo, che è da considerare come l'ultima grande espressione filosofica del mondo antico. Fondato da Ammonio Sacca (175-242), il neoplatonismo ebbe il suo massimo esponente in Plotino (204-270), il cui merito maggiore è di aver rappresentato per lunghi secoli il modo in cui è stato conosciuto e interpretato Platone.




    Altri importanti filosofi di questa scuola furono Porfirio, che raccolse gli scritti di Plotino, suo maestro, in sei gruppi di nove trattati ciascuno (da cui il titolo di Enneadi); Giamblico (250-330), che diede inizio, dopo quella romana, a una seconda diffusione del neoplatonismo in Siria; e Proclo (412-485), che diede avvio ad una terza fase in Atene, nell'antica Accademia di Platone.
    Tutto il pensiero di Plotino e del neoplatonismo ruota intorno al concetto di divinità, intesa come qualcosa che sfugge ad ogni definizione concettuale. Si può pertanto parlare di teologia negativa. Plotino afferma infatti che di Dio possiamo dire soltanto "quello che Egli non è, ma non diciamo quello che è. Diciamo di Lui partendo dalle cose che sono dopo di lui" [Plotino, Enneadi, V, 3].