• Rivolgiamo ora la nostra attenzione al pensiero cristiano, il cui influsso fu dominante per tutto il Medioevo non soltanto all'interno della filosofia, ma anche nelle manifestazioni esteriori dell'esistenza.
    L'affermazione del cristianesimo non fu però immediata. Nei primi secoli dell'era volgare essa fu infatti contrastata, oltre che dagli imperatori romani (che non potevano accettare una concezione della divinità che inevitabilmente sminuiva il loro potere e il loro ruolo), da alcune estreme manifestazioni del pensiero classico quali lo stoicismo romano, il neopitagorismo e il neoplatonismo (il cui razionalismo non poteva non entrare in urto col carattere sovrarazionale della nuova dottrina).
    Il cristianesimo dovette inoltre difendere la propria ortodossia contro alcune teorie, che pur ad esso si richiamavano, e soprattutto contro vere e proprie eresie. Ci limitiamo qui a ricordare lo gnosticismo e il manicheismo.
    Lo gnosticismo (dal greco gnosis, cioè "conoscenza") sostenne che il corpo di Cristo è pura apparenza. Per gli gnostici, infatti, vi è un dualismo radicale tra il mondo superiore, perfetto, che è la nostra vera "patria", ed il mondo terreno, inferiore, malvagio, che è il nostro "esilio" e, in quanto realtà degradata, è stato fatto da una divinità inferiore a Dio. Tra il mondo e Dio vi sarebbero infatti degli esseri intermedi, chiamati eoni, che provengono da Dio stesso per emanazione. Cristo è appunto uno di questi eoni.
    Il manicheismo è una corrente filosofica sorta nel III secolo in Oriente ad opera dei Mani, una popolazione che, convertitasi al cristianesimo, cercò di introdurre nella nuova religione il dualismo persiano tra il Bene e il Male, due principi in eterna lotta tra loro.

    Per combattere le eresie furono indetti alcuni Concili (cioè riunioni di vescovi col papa, in cui si discutono le nozioni fondamentali della fede), i più importanti dei quali furono quelli di Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (431) e Calcedonia (451), durante i quali vennero stabiliti per sempre i dogmi fondamentali del cristianesimo: unità e trinità di Dio, Gesù vero Dio e vero uomo, ecc.




    L'opera dei Concili fu affiancata e sostenuta dai cosiddetti Padri della Chiesa, da cui deriva il nome di patristica per indicare la prima fase della filosofia cristiana, che va all'incirca dal II al V secolo, e il cui massimo esponente fu Sant'Agostino (354-430).
    Proseguendo il razionalismo di Platone, Agostino anticipò il cogito cartesiano con la formula "Dubito, ergo sum", che mirava a dimostrare falso il dubbio scettico. Contro lo scetticismo, infatti, Agostino osservava che chi dubita è quantomeno certo di dubitare...

    Non uscire da te, torna in te stesso; la verità abita nell'interiorità dell'uomo.

    Così scrive Agostino nel De vera religione, per suggerire che l'uomo trova in se stesso una certezza fondamentale che gli permette di superare qualsiasi dubbio.
    Le pagine forse più affascinanti di Agostino riguardano il problema del tempo, che egli concepisce come dimensione dell'anima, e non come qualcosa di esteriore. In effetti il passato vive in noi come memoria, e il futuro come attesa: dunque, in un certo senso, essi sono "presenti" all'attenzione dell'anima. Per cui le tre dimensioni temporali, di cui quotidianamente parliamo senza pensarci su, dovrebbero più esattamente definirsi come il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro. Questo breve sunto non può comunque rendere conto della bellezza poetica delle parole di Agostino...
    La scoperta principale del pensiero agostiniano consiste tuttavia nella persuasione che ragione e fede non sono inconciliabili, bensì strettamente complementari. Proprio perché l'uomo aspira a conoscere la verità con la ragione, gli accade di scoprire la sua essenziale limitatezza, riconosce i propri dubbi, e riconosce con ciò anche l'esigenza di un'illuminazione superiore che lo guidi e lo sorregga. Del resto, proprio perché dubita e riconosce di sbagliare (riconosce cioè il suo essere finito), l'uomo dimostra di possedere entro di sé un criterio di verità e l'idea di un essere infinito. Questo criterio di verità, infatti, non possiamo essercelo dato da noi stessi, che siamo fallibili e pieni di dubbi. Quindi la presenza in noi dell'idea di verità dimostra già da sola la necessità dell'esistenza di un essere perfetto, veridico e infinito, ovvero di Dio. La ragione perviene pertanto da sola a scoprire la necessità e la legittimità della fede.