• Ed eccoci a Socrate (469-399 a.C.), allievo ribelle dei sofisti, dei quali non condivideva il relativismo. Dobbiamo premettere che Socrate non scrisse mai nulla, ma il suo pensiero ci è noto attraverso l'opera del suo allievo Platone...
    Socrate si rese conto che l'errore dei suoi maestri consisteva nell'interpretazione sensistica della conoscenza, che appunto non poteva che condurre al relativismo da essi professato. A suo avviso, invece, la verità assoluta esiste, ma per coglierla bisogna far ricorso alla ragione, la quale consente all'uomo di giungere al concetto, categoria mentale che esprime l'essenza o natura di una certa cosa trascurandone le particolarità accidentali (ad es., nel caso dell'uomo, trascura il colore degli occhi o dei capelli, per coglierne invece la razionalità, che distingue la specie umana da tutte le altre). Ma una corretta definizione del concetto, secondo Socrate, esige la continuità del dialogo (effettivo o interiore), mediante il quale è possibile portare alla luce quella verità che risiede, innata, in ciascuno di noi. Questo metodo di ricerca è detto "maieutico", con un evidente richiamo metaforico: la maieutica è infatti l'arte dell'ostetricia.
    Oltre che di quello gnoseologico, Socrate si occupò anche del problema morale, nel cui ambito formulò la cosiddetta teoria dell'intellettualismo etico, secondo cui chi conosce veramente cos'è il bene non può non farlo. Occorre qui notare che a tale concezione si opporrà più tardi quella cristiana, per la quale il peccato è un fatto di volontà e non di ignoranza. A parte che forse si vuole proprio perché si ignora; ma non vorrei complicare troppo le cose...




    Vorrei invece riferire della morte di Socrate, che costituisce uno dei suoi insegnamenti più coerenti ed esemplari. Il suo anticonformismo, la sua totale autonomia nei giudizi morali, lo misero in cattiva luce agli occhi dell'opinione democratica più conservatrice, che giudicava il suo insegnamento pericoloso per i valori tradizionali. Così, nel 399, egli venne processato con l'accusa di empietà (cioè di introdurre nuovi dèi) e di corruzione dei giovani, e venne condannato a morte. Probabilmente lo scopo degli accusatori era soltanto quello di costringerlo all'esilio: infatti, sconfessandosi, Socrate avrebbe sicuramente ottenuto la commutazione della pena di morte con l'esilio; ma egli non solo rifiutò ogni compromesso: per non contrastare il corso della giustizia, rinunciò anche all'opportunità di fuga procuratagli dagli amici e, dopo l'estremo saluto ai suoi allievi prediletti, bevve la cicuta, secondo la legge che regolava appunto i processi di empietà.
    Nella Apologia, Platone riporta le ultime parole rivolte da Socrate ai giudici, dopo la condanna:

    [...] All'uomo dabbene nulla può toccare di male né vivo né morto, e i fatti suoi non sono trascurati dagli dèi. [...] Ma è già l'ora d'andar via: io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada incontro a una sorte migliore a tutti è ignoto, fuorché al dio.

    Ed è sempre l'Apologia a informarci perché Socrate, che pur era convinto (e dichiarava perciò apertamente) di non sapere, fu definito dall'oracolo di Delfi il più sapiente fra i greci: proprio perché sapeva almeno di non sapere...




    Nel pensiero del miglior allievo di Socrate, il sommo Platone (428-347 a.C.), confluiscono tutti i temi della filosofia precedente e risaltano problemi e concetti che hanno determinato l'intero sviluppo successivo del sapere filosofico: tanto che il filosofo americano Aldfred N. Whitehead (1861-1947) ha affermato che tutto il nostro filosofare non è che un annotare a piè di pagina i testi di Platone. Forse questa valutazione può apparire iperbolica, ma risulta comunque indicativa della posizione preminente di Platone nella storia della filosofia.

    L'idealismo
    La filosofia di Platone è nota sotto il nome di idealismo, perché nelle idee egli riconobbe la vera realtà. Non dovete pensare alle idee più o meno stupide che attraversano la mente dei comuni mortali: le idee platoniche sono ben altra cosa! Sono delle forme perfette, invisibili, sovrasensibili, eterne, che occorre ammettere se vogliamo spiegare il mondo empirico in cui viviamo, che da sé non riesce a spiegarsi in alcun modo: questo mondo sensibile e caduco, imperfetto e mortale, non è altro, infatti, che un'imitazione del mondo eterno delle idee, detto iperuranio (che vuol dire "oltre il cielo"). Un'imitazione tuttavia, non un'illusione! Dunque, a differenza di Parmenide, Platone ammise la realtà fenomenica e ne spiegò la derivazione dal mondo delle idee col mito del demiurgo, un dio-artefice che appunto, servendosi di una materia informe già esistente, plasmerebbe le cose a imitazione delle idee.

    La condanna dell'arte
    Va notato che la spiegazione del mondo sensibile mediante l'introduzione di un mito all'interno di un discorso filosofico rappresenta il limite più evidente della filosofia di Platone, perché lascia fondamentalmente irrisolto il dualismo fra il mondo delle idee e il mondo delle cose. Ma va comunque evidenziato che la conseguenza più immediata di questa concezione fu la condanna dell'arte: infatti, poiché le cose sono un'imitazione imperfetta delle idee, come imitazione di un'imitazione l'arte allontana doppiamente l'uomo dalla verità. La condanna platonica dell'arte fu dunque dovuta a ragioni d'ordine gnoseologico, e non estetico. La bellezza per Platone è inferiore alla verità; anzi, l'unica bellezza risiede nella verità... Più o meno.

    Il dualismo anima-corpo e l'amor platonico
    Nella dottrina platonica, accanto al profondo dualismo tra cose e idee, mondo sensibile e mondo intelligibile, troviamo un dualismo ancora più netto fra corpo e anima. Il corpo (mortale) è infatti per Platone fonte di illusione e di errore, a causa dei sensi, mentre l'anima (immortale) consente di conoscere la verità perché è originariamente partecipe del mondo delle idee. L'anima infatti, prima di essere unita al corpo (dal demiurgo ovviamente), ha vissuto nell'iperuranio, dove è venuta a contatto e dunque a conoscenza delle idee. Ecco perché Platone afferma che "conoscere è ricordare", è reminiscenza (anàmnesi). L'anima è quindi il tramite per ri-conoscere attraverso le cose sensibili la verità universale delle idee.
    Strettamente legata alla dottrina delle idee e alla tesi dell'immortalità dell'anima è il tema del famoso amor platonico, così spesso frainteso o distorto nel linguaggio comune. Detto in breve, l'amor platonico è essenzialmente il desiderio (eros) dell'anima di far ritorno nell'iperuranio per contemplare ancora la bellezza ineguagliabile delle idee.

    La politica
    Quanto detto finora, tanto più se poniamo mente all'etichetta di idealismo sotto cui è appunto nota la filosofia di Platone, dà l'impressione di un pensiero estremamente astratto, lontanissimo dai problemi concreti e quotidiani. In realtà Platone ha dedicato particolare attenzione alla politica, mirando in particolare alla definizione di uno stato perfetto. Non staremo a enucleare i vari aspetti da lui affrontati, per limitarci a ricordare la cosa più rilevante: e cioè che la prima e fondamentale condizione per uno stato "giusto" è che il governo sia affidato ai filosofi. Un passo della Repubblica recita infatti:

    Non è possibile per gli stati la cessazione dei mali, e neppure per il genere umano, se i filosofi non regnano in essi o se quelli che ora chiamiamo governanti non praticano genuina e buona filosofia, e se non si congiungono insieme potere politico e filosofia, e se non si estromettono con la forza tutti coloro che tendono solamente all'uno o solamente all'altra.

    Non esprimerò un giudizio su questa tesi perché è giusto che ciascuno se ne formi uno proprio, ma non posso esimermi dal formulare un dubbio che mi sorge spontaneo: Platone scriverebbe queste parole anche oggi, con un politico come il professor Buttiglione?




    Aristotele (384-322 a.C.), allievo di Platone, fece propria l'ideale battaglia del maestro in favore della filosofia, sostenendo che l'uomo non può fare a meno di filosofare perché, anche per decidere di non filosofare, bisogna filosofare (Se questa dimostrazione non vi convince, fate finta di non averla mai sentita)... Egli tuttavia impostò il proprio sistema filosofico muovendo da una critica spietata al dualismo platonico tra forma e materia, cioè mondo intelligibile e mondo sensibile.

    La critica di Aristotele a Platone
    Le principali obiezioni di Aristotele alla teoria delle idee possono così sintetizzarsi:
    1. Platone, per spiegare gli individui, ricorre alle idee; ma così egli non fa che raddoppiare il numero degli enti, e senza in tal modo spiegarli.
    2. Se ogni cosa sensibile rimanda all'idea, dobbiamo ammettere che, sotto il profilo ideale, un individuo (per es. un uomo) e una qualità (per es. bianco) hanno eguale realtà; tuttavia il bianco non esiste come realtà separata, ma solo come qualità di un individuo. Similmente dovremmo avere idee di relazione (come "più grande di...", "più forte di..."), il che è assurdo.
    3. Delle idee si dice che sono causa degli individui, ma in realtà esse non producono movimento né cambiamento, né alcuna generazione. In realtà noi vediamo che gli individui nascono da altri individui.
    Sulla base di queste ed altre osservazioni (come ad esempio l'argomento del terzo uomo), Aristotele capovolse la prospettiva di Platone, riconoscendo come reali proprio gli individui (cioè i singoli enti), e non delle entità invisibili, astratte o immaginarie quali l'essere di Parmenide o le idee del maestro. Secondo lui, è nelle stesse cose visibili che va cercata la causa della realtà, dei singoli individui e del loro divenire. All'idealismo di Platone si oppone dunque l'empirismo di Aristotele.
    Bisogna notare che anche Aristotele, come Platone, ammise che la ragione è innata. Tuttavia, a suo giudizio, nessun'idea può nascere in essa se prima l'uomo non percepisce qualcosa con i sensi.

    La tesi aristotelica




    Aristotele sostenne dunque che l'individuo è l'ente reale, e che esso è un sinolo (= unione) di materia e di forma, e che la materia è in potenza molte forme che essa assume di volta in volta in atto. Se il discorso appare complicato, si pensi al tronco di un albero da cui si ricava un tavolo, o a un seme che diventa frutto, un bimbo che diventa uomo...
    Aristotele affermò tuttavia che, agli estremi del divenire cosmico, bisogna ammettere una materia prima e indeterminata, che è pura potenza, priva di qualsiasi forma, e una forma pura tutta attuata, senza potenzialità materiali da tradurre in forma o da realizzare. E identificò la forma pura col concetto di Dio, che è il fine (telos) a cui l'universo intero tende, ed insieme è la causa che muove dal principio la materia indirizzandola verso la successione delle forme. Dunque anche in Aristotele sussiste il dualismo fra l'oscuro concetto di una materia prima priva di determinazioni e il concetto di Dio come forma pura separata da ogni sostrato materiale.

    La logica
    Potremmo andare avanti per ore a discutere di Aristotele, perché egli apportò notevoli contributi in svariati ambiti: dalla filosofia della scienza alla tassonomia biologica, dall'etica alla retorica, dalla semantica all'estetica, all'economia... Stringiamo dunque il discorso per dire che il campo in cui più profondamente si esercitò il suo genio resta la logica. In tale ambito il suo merito più grande fu indubbiamente la scoperta della teoria della deduzione, il sillogismo, che gli ha assicurato fama e gloria fino ai nostri giorni. Il sillogismo è un ragionamento consistente di due premesse e di una conseguente conclusione. Eccone un classico esempio:

    1) prima premessa: "Tutti gli uomini sono mortali";
    2) seconda premessa: "Socrate è un uomo";
    3) conclusione: "Socrate è mortale".

    La deduzione è necessariamente vera quando sono vere le premesse: in tal caso il sillogismo si dice apodittico o probante. Se invece la verità delle premesse non è dimostrabile (com'è quasi sempre il caso delle argomentazioni etiche o retoriche), il sillogismo vien detto dialettico o probabile.
    Si può obiettare che il sillogismo, in pratica, non dimostra nulla di nuovo; che non aggiunge nulla a quanto già si sa. Eppure, proprio nel campo della logica la fortuna di Aristotele è stata immensa e, anche se il suo pensiero non è esente da errori e difetti, tutto sommato è meritata. Ancora Dante lo definiva "maestro di color che sanno" [Inf., IV, 131]; e occorrerà attendere il XIX e il XX secolo per assistere alla nascita di logiche alternative, legate soprattutto alle matematiche.