• Composta in collaborazione col cantautore veronese Massimo Bubola, è la canzone che dà il tirolo all’album omonimo.
    Per capirla è indispensabile ricordare il clima fine anni ‘70: si era spenta l’eccessiva euforia che vedeva imminente la rivoluzione; erano gli anni del compromesso politico e sindacale, e molti di quelli che erano state le tigri della rivolta si stavano trasformando in furbissimi micioni.
    La canzone è ambientata a Rimini, centro delle vacanze dei piccolo-borghesi. La protagonista, Teresa, “figlia di droghieri” è affascinata dal mito rivoluzionario, sedotta ma poi abbandonata da un ideale di oggi che si confonde con tutte le illusioni di ieri. Entra poi in gioco Colombo. Sono tristi i toni del navigatore genovese: ricorda l’eccidio che si è consumato con la conquista, da parte dei cattolici spagnoli, della Nuova Terra. Davanti a questi rimpianti, Teresa comprende i suoi errori.
    [Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, p. 111]


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    La canzone ha una struttura a tre. La prima e la terza hanno come protagonista Teresa, nella seconda al centro della scena c'è Cristoforo Colombo.
    Tutta la canzone assomiglia a una lenta discesa agli inferi, dalla prima parte che è mitologica, alla seconda parte che è storica, alla terza che è cronachistica.
    La prima strofa ha un afflato epico, sembra quasi una canzone di porto, un brano alla Kurt Weil: "Teresa ha gli occhi secchi / guarda verso il mare/ per lei, figlia di pirati / sembra che sia normale".
    La seconda è uno stacco netto perché parla di Santa Inquisizione, di caccia alle streghe, degli autodafé. La piccola dea, figlia di pirati, sorella della Carità che assiste e consola come una madre protettiva un altro grande deluso come Cristoforo Colombo, ammalato e in catene che abiura la scoperta. Qui la canzone si complica, è come se il senso dovesse sfuggire di lato.
    Nella terza strofa la dea entra nel fiume del quotidiano dove la accade la cosa più bieca, ovvia, scontata e volgare: abortire il figlio di un bagnino.
    [Massimo Bubola, in Massimo Cotto, Fabrizio De André raccontato da Massimo Bubola, Aliberti, Reggio Emilia 2006, pp. 41-42]


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    "Rimini - suggerisce De André - è rimasta uguale a com'era ne I Vitelloni di Federico Fellini". Il brano - cronologicamente primo delle quattro title track, Le nuvole, Creuza de mä, Anime salve - racconta di Teresa, ragazza riminese figlia di un droghiere, la quale con la volontà della fantasia viaggia nel tempo della storia (o, se si vuole, nella storia del tempo). La song, con toni assai lirici, tratta pure delicate questioni come l'aborto (all'epoca soggetto quasi solo dei brani di cantautrici femministe militanti), soffermandosi poi sui problemi della gioventù romagnola, ovvero i giovani provinciali "vitelloni", all'ombra (o al sole) del turismo e degli amori stagionali, già così ben individuati dal citato film-capolavoro circa un quarto di secolo prima. Nel fitto intreccio di sogno e realtà, il pezzo mostra la fuga mentale della protagonista dalla Rimini della calura estiva, approdando in alto mare, con una dimensione spazio-temporale che le permette di incrociare Cristoforo Colombo. Teresa e il navigatore vengono equiparati da identico spirito avventuroso fin quasi a sembrare avvinghiati nella carta geografica che qualcuno surrealisticamente disegna attorno a loro: il grande genovese veleggia naturalmente verso destini o territori ignoti, mentre la fanciulla sogna a occhi aperti con lo sguardo ben oltre l'orizzonte. Musicalmente la ballad ricorda, per le cadenze lente e oniriche, il sound di Leonard Cohen, con voci femminili che al posto dei consueti refrain, intonano, quasi novelle sirene, il nome della città che si estende dalla canzone all'intero album.
    [Guido Michelone, Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone, Barbera, 2011, pp. 119-120]