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          Non capisco
          che debba valere
          fra queste lapidi di ebrei
          il nome di mio padre
      5  che è il nome mio
          il nome dei padri
          il grido della tribù
          che volgeva le spalle
          alla fossa1 perché
    10  scarmigliato spirito
          l'Iddio Cane2 
          l'Iddio di Abramo
          e di Giobbe3  agguantasse
          il pacco d'intestini
     15  nei lini bianchi4 
    
          e ci lasciasse in pace.
    
    
    [In C. Segre / C. Martignoni, Testi nella storia, 4 "Il Novecento", Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Milano 1992, p. 1237]

    METRO
    Un strofa di 15 versi più un verso isolato in chiusura, con prevalenza di esettenari e quinari, senza vincoli di rima.

    COMMENTO
    In questa breve lirica il poeta rievoca, con una certa durezza, la morte del padre, sepolto secondo i riti degli antenati. La negatività della situazione è presente già in apertura, con l'incipit "Non capisco", e viene ribadita dal "grido della tribù" e da altre scelte lessicali di crudo realismo ("agguantasse / il pacco d'intestini"). Anche il riferimento a Giobbe vuole evidenziare la sofferenza e il fastidio del poeta, che chiede solo di essere lasciato in pace.

    NOTE
    1 volgeva... fossa: nel rito funebre ebraico gli uomini volgono le spalle alla fossa, per non vedere Dio che appare.
    2 l'Iddio cane: il Dio degli ebrei si confonde col dio Anubi, il dio dalla testa di cane degli egizi.
    3 Giobbe: il personaggio biblio che Dio mise alla prova con atroci sofferenze, per valutarne la fedeltà.
    4 lini bianchi: il lenzuolo che avvolge il corpo del defunto.