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    Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς
    E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
                                                 (Giovanni, III, 19)
    
    
           Qui su l'arida schiena1
           Del formidabil monte2
           Sterminator Vesevo3,
           La qual null'altro allegra4 arbor né fiore,
       5  Tuoi cespi solitari intorno spargi,
           Odorata ginestra,
           Contenta dei deserti5. Anco6 ti vidi
           De' tuoi steli abbellir l'erme contrade7
           Che cingon la cittade
     10  La qual fu donna de' mortali un tempo8,
           E del perduto impero
           Par che col grave e taciturno aspetto
           Faccian fede e ricordo al passeggero9.
           Or ti riveggo in questo suol, di tristi
     15  Lochi e dal mondo abbandonati amante
           E d'afflitte fortune10 ognor compagna.
           Questi campi cosparsi
           Di ceneri infeconde, e ricoperti
           Dell'impietrata11 lava,
     20  Che sotto i passi al peregrin12 risona;
           Dove s'annida e si contorce al sole
           La serpe, e dove al noto
           Cavernoso covil torna il coniglio;
           Fur liete ville e colti13,
     25  E biondeggiar di spiche, e risonaro14
           Di muggito d'armenti;
           Fur giardini e palagi,
           Agli ozi15 de' potenti
           Gradito ospizio16; e fur città famose17,
     30  Che coi torrenti suoi l'altero monte18
           Dall'ignea bocca fulminando oppresse19
           Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
           Una20 ruina involve,
           Ove tu siedi21, o fior gentile, e quasi
     35  I danni altrui commiserando, al cielo
           Di dolcissimo odor mandi un profumo22,
           Che il deserto consola. A queste piagge23
           Venga colui che d'esaltar con lode
           Il nostro stato24 ha in uso, e vegga quanto
     40  È il gener nostro in cura
           All'amante natura. E la possanza25
           Qui con giusta misura
           Anco estimar potrà dell'uman seme26,
           Cui la dura nutrice, ov'ei men teme27,
     45  Con lieve moto in un momento annulla
           In parte, e può con moti
           Poco men lievi ancor subitamente
           Annichilare28 in tutto.
           Dipinte in queste rive29
     50  Son dell'umana gente
           Le magnifiche sorti e progressive30.
           Qui mira e qui ti specchia,
           Secol superbo e sciocco31,
           Che il calle insino allora
     55  Dal risorto pensier segnato innanzi32
           Abbandonasti, e vòlti addietro i passi,
           Del ritornar ti vanti,
           E procedere il chiami.
           Al tuo pargoleggiar33 gl'ingegni tutti,
     60  Di cui lor sorte rea padre ti fece,
           Vanno adulando, ancora
           Ch'a ludibrio34 talora
           T'abbian fra sé . Non io
           Con tal vergogna scenderò sotterra;
     65  Ma il disprezzo piuttosto che si serra
           Di te nel petto mio,
           Mostrato avrò quanto si possa aperto;
           Bench'io sappia che obblio
           Preme35 chi troppo all'etá propria increbbe.
     70  Di questo mal, che teco
           Mi fia36 comune, assai finor mi rido.
           Libertà vai sognando, e servo37 a un tempo
           Vuoi di novo il pensiero,
           Sol per cui risorgemmo
     75  Della barbarie38 in parte, e per cui solo
           Si cresce in civiltà, che sola in meglio
           Guida i pubblici fati39.
           Così40 ti spiacque il vero
           Dell'aspra sorte e del depresso loco41
     80  Che natura ci die'. Per queste il tergo42
           Vigliaccamente rivolgesti al lume43
           Che il fe' palese; e, fuggitivo44, appelli
           Vil chi lui segue, e solo
           Magnanimo colui
     85  Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle45,
           Fin sopra gli astri il mortal grado estolle46.
           Uom di povero stato47 e membra inferme
           Che sia dell'alma48 generoso ed alto,
           Non chiama sé né stima
     90  Ricco d'or né gagliardo,
           E di splendida vita o di valente
           Persona infra la gente
           Non fa risibil mostra;
           Ma sé di forza e di tesor mendìco49
     95  Lascia parer senza vergogna, e noma50
           Parlando, apertamente, e di sue cose
           Fa stima al vero uguale51.
           Magnanimo animale
           Non credo io già, ma stolto,
    100 Quel che nato a perir, nutrito in pene,
           Dice: - A goder son fatto, -
           E di fetido52 orgoglio
           Empie le carte, eccelsi fati53 e nove
           Felicità, quali il ciel tutto ignora,
    105 Non pur quest'orbe54, promettendo in terra
           A popoli che un'onda55
           Di mar commosso56, un fiato
           D'aura maligna57, un sotterraneo crollo58
           Distrugge sí, ch'avanza59
    110 a gran pena di lor la rimembranza.
           Nobil natura è quella
           Ch'a sollevar s'ardisce60
           Gli occhi mortali incontra
           Al comun fato, e che con franca lingua,
    115 Nulla al ver detraendo,
           Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
           E il basso stato e frale61;
           Quella che grande e forte
           Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
    120 Fraterne, ancor piú gravi
           D'ogni altro danno, accresce62
           Alle miserie sue, l'uomo incolpando
           Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
           Che veramente è rea63, che de' mortali
    125 Madre è di parto e di voler matrigna.
           Costei chiama64 inimica; e incontro a questa65
           Congiunta66 esser pensando,
           Siccom'è il vero, ed ordinata in pria67
           L'umana compagnia68,
    130 tutti fra sé confederati estima69
           Gli uomini, e tutti abbraccia
           Con vero amor, porgendo
           Valida e pronta ed aspettando aita70
           Negli alterni perigli71 e nelle angosce
    135 Della guerra comune72. Ed alle offese
           Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
           Al vicino73 ed inciampo,
           Stolto crede74 così, qual fora in campo
           Cinto d'oste contraria75, in sul più vivo
    140 Incalzar degli assalti,
           Gl'inimici obbliando, acerbe gare76
           Imprender con gli amici,
           E sparger fuga e fulminar col brando
           Infra i propri guerrieri.
    145 Così fatti pensieri
           Quando fien, come fur77, palesi al volgo;
           E quell'orror78 che primo
           Contra l'empia natura
           Strinse i mortali in social catena79,
    150 fia80 ricondotto in parte
           Da verace saper81, l'onesto e il retto
           Conversar cittadino,
           E giustizia e pietade altra radice
           Avranno allor che non superbe fole,
    155 Ove82 fondata probità del volgo
           Così83 star suole in piede
           Quale star può quel c'ha in error la sede84.
           Sovente in queste rive85,
           Che, desolate, a bruno86
    160 Veste il flutto indurato87, e par che ondeggi,
           Seggo la notte; e su la mesta landa,
           In purissimo azzurro
           Veggo dall'alto fiammeggiar88 le stelle,
           Cui di lontan fa specchio
    165 Il mare, e tutto di scintille in giro
           Per lo vòto seren89 brillare il mondo.
           E poi che gli occhi a quelle luci appunto90,
           Ch'a lor sembrano un punto,
           E sono immense, in guisa
    170 Che un punto a petto a lor91 son terra e mare
           Veracemente; a cui
           L'uomo non pur92, ma questo
           Globo, ove l'uomo è nulla,
          Sconosciuto è del tutto; e quando miro
    175 Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
           Nodi quasi di stelle,
           Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
           E non la terra sol, ma tutte in uno93,
           Del numero infinite e della mole94,
    180 Con l'aureo sole insiem, le nostre95 stelle
           O sono ignote, o così paion come
           Essi96 alla terra, un punto
           Di luce nebulosa; al pensier mio
           Che sembri allora, o prole
    185 Dell'uomo? E rimembrando
           Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno97
           Il suol98 ch'io premo; e poi dall'altra parte,
           Che te signora e fine
           Credi tu data al Tutto; e quante volte
    190 favoleggiar ti piacque99, in questo oscuro
           Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
           Per tua cagion, dell'universe cose
           Scender gli autori, e conversar sovente
           Co' tuoi piacevolmente; e che, i derisi
    195 Sogni rinnovellando100, ai saggi insulta101
           Fin la presente età, che in conoscenza
           Ed in civil costume
           Sembra tutte avanzar; qual moto102 allora,
           Mortal prole infelice, o qual pensiero
    200 Verso te finalmente il cor m'assale?
           Non so se il riso o la pietá prevale.
           Come d'arbor103 cadendo un picciol pomo,
           Cui là nel tardo autunno104
           Maturità senz'altra forza atterra,
    205 D'un popol di formiche i dolci alberghi
           Cavati in molle gleba105
           Con gran lavoro106, e l'opre,
           E le ricchezze c'adunate a prova107
           Con lungo affaticar l'assidua gente108
    210 avea provvidamente al tempo estivo,
          Schiaccia, diserta109 e copre
           In un punto; cosí d'alto piombando,
           Dall'utero tonante110
           Scagliata al ciel profondo,
    215 Di ceneri e di pomici e di sassi
           Notte e ruina111, infusa
           Di bollenti ruscelli112,
           O pel montano fianco
           Furiosa tra l'erba
    220 Di liquefatti massi
           E di metalli e d'infocata arena
           Scendendo immensa piena113,
           Le cittadi che il mar là su l'estremo
           Lido aspergea114, confuse
    225 E infranse e ricoperse
           In pochi istanti: onde su quelle or pasce
           La capra, e città nove
           Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
           Son le sepolte, e le prostrate mura115
    230 L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
           Non ha natura al seme
           Dell'uom più stima o cura
           Ch'alla formica: e se più rara in quello116
           Che nell'altra è la strage,
    235 Non avvien ciò d'altronde
           Fuor che l'uom sue prosapie117 ha men feconde.
           Ben mille ed ottocento
           Anni varcar118 poi che spariro, oppressi119
           Dall'ignea forza120, i popolati seggi,
    240 E il villanello intento
           Ai vigneti, che a stento in questi campi
           Nutre la morta zolla e incenerita,
           Ancor leva lo sguardo
           Sospettoso alla vetta
    245 Fatal, che nulla mai fatta121 più mite
           Ancor siede122 tremenda, ancor minaccia
           A lui strage ed ai figli ed agli averi
           Lor poverelli. E spesso
           Il meschino in sul tetto
    250 Dell'ostel villereccio123, alla vagante
           Aura124 giacendo tutta notte insonne,
           E balzando piú volte, esplora il corso125
           Del temuto bollor126, che si riversa
           Dall'inesausto grembo127
    255 sull'arenoso dorso, a cui128 riluce
           Di Capri la marina
           E di Napoli il porto e Mergellina129.
           E se appressar lo vede, o se nel cupo
           Del domestico pozzo ode mai l'acqua
    260 Fervendo130 gorgogliar, desta i figliuoli,
           Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
           Di lor cose rapir posson, fuggendo,
           Vede lontan l'usato
           Suo nido, e il picciol campo,
    265 Che gli fu dalla fame unico schermo131,
           Preda al flutto rovente,
           Che crepitando giunge, e inesorato132
           Durabilmente sovra quei si spiega.
           Torna al celeste raggio133
    270 Dopo l'antica obblivion, l'estinta
           Pompei, come sepolto
           Scheletro, cui di terra134
           Avarizia135 o pietà rende all'aperto;
           E dal deserto foro136
    275 Diritto infra le file
           De' mozzi colonnati il peregrino137
           Lunge contempla il bipartito giogo138
           E la cresta fumante,
           Ch'alla sparsa ruina139 ancor minaccia.
    280 E nell'orror della secreta notte
           Per li vacui140 teatri,
           Per li templi deformi e per le rotte141
           Case, ove i parti142 il pipistrello asconde,
           Come sinistra face143
    285 Che per voti palagi atra144 s'aggiri,
           Corre il baglior della funerea lava,
           Che di lontan per l'ombre
           Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
           Cosí, dell'uomo ignara145 e dell'etadi
    290 Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
           Dopo gli avi i nepoti,
           Sta natura ognor verde146, anzi procede
           Per sì lungo cammino
           Che sembra star147. Caggiono148 i regni intanto,
    295 Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
           E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
           E tu, lenta149 ginestra,
           Che di selve odorate
           Queste campagne dispogliate adorni,
    300 Anche tu presto alla crudel possanza
           Soccomberai del sotterraneo foco,
           Che ritornando al loco
           Già noto, stenderà l'avaro150 lembo
           Su tue molli foreste. E piegherai
    305 Sotto il fascio mortal non renitente151
           Il tuo capo innocente:
           Ma non piegato insino allora indarno152
           Codardamente supplicando innanzi
           Al futuro oppressor153; ma non eretto
    310 Con forsennato orgoglio inver le stelle,
           Né sul deserto154, dove
           E la sede e i natali
           Non per voler ma per fortuna15 avesti;
           Ma piú saggia, ma tanto
    315 Meno inferma dell'uom, quanto le frali156
           Tue stirpi non credesti
           O dal fato o da te fatte immortali157.
    
    
    [Canti, in Opere, a cura di Mario Fubini, UTET, Torino 1977]

    METRO
    Canzone fuori da ogni schema, composta di sette strofe libere di diversa estensione, con presenza di rime al mezzo. I versi sono endecasillabi e settenari.

    COMMENTO
    La Ginestra o il fiore del del deserto fu composta nel 1836, nella Villa Ferrigni (oggi Villa delle Ginestre), sulla collina di Torre del Greco, e venne pubblicata per la prima volta nell'edizione postuma Canti, curata da Antonio Ranieri (1845). Il componimento è considerato da tutta la critica come il testamento poetico e spirituale di Leopardi, che stavolta, non partendo da sé ma osservando una ginestra sulle pendici del Vesuvio, riflette sulla condizione umana e sulla natura.
    È il più lungo, complesso e difficile, dei Canti di Leopardi, perché il contenuto filosofico influisce fortemente sulla forma, dando origine a "periodi ampi e complessi fino allo stento e all'oscurità, spesso tesi da violente inversioni" (Mario Fubini).
    Già nella citazione, tratta dal vangelo di Giovanni, emerge la polemica contro le idee spiritualistiche dell'epoca e le utopie progressiste basate sulla concezione ottimistica dei lumi e sulla fiducia cieca nel progresso umano, in base alle quali viene del tutto ignorata la tragica e fragile condizione umana. Di tale condizione è appunto simbolo la ginestra, così come il Vesuvio, il monte "sterminator", è simbolo della natura crudele e distruttiva. La ginestra risorge dalla lava impietrata, e con la fragranza dei suoi arbusti sembra allietare le lande desolate: ma il suo destino è segnato da una nuova eruzione, capace di annullare non solo la sua consolatoria presenza ma anche quella dell'uomo.
    In questo canto, dunque, la smisurata potenza della Natura è contrapposta alla debolezza e alla risibile protervia degli uomini che, pur essendo misera cosa, si credono padroni e signori della terra e dell'universo.
    È un errore negare lo stato delle cose: avere tutti consapevolezza dell'infelicità e della fragilità della propria condizione esistenziale consente agli uomini di individuare il vero nemico da combattere, la natura, contro la quale solo la solidarietà e il soccorso reciproco possono portare ad una riduzione del dolore, anche se non determinerà mai il loro annullamento.

    NOTE
    1 arida schiena: pendio brullo, incolto.
    2 formidabil monte: tremendo, minaccioso, inquietante. Leopardi mantiene ha presente l'etimologia dal latino formido, -inis ("timore, paura").
    3 sterminator Vesevo: forma latineggiante per il Vesuvio (da Vesevus, -i). L'aggettivo "sterminator" riprende e intensifica "formidabil" del verso precedente.
    4 la qual: Riferito a "schiena" del v. 1; è complemento oggetto di "allegra" (rallegra, allieta).
    5 contenta dei deserti: che prediligi i deserti. Possiamo ricostruire questo passo (vv. 1-7) così: "Odorosa ginestra, contenta dei deserti [che prediligi i deserti], spargi intorno i tuoi cespi solitari qui sull'arida schiena [sul brullo pendio] del formidabil monte sterminator Vesevo [del Vesuvio, vulcano spaventoso e devastatore], la quale [riferito ad arida schiena] null'altro arbor né fiore allegra [non è allietata da nessun altro albero o fiore]".
    6 Anco: Già, un'altra volta. Leopardi, sollecitato dalla vista della ginestra, torna con la memoria al tempo del suo soggiorno romano.
    7 erme contrade: campagne deserte (che cingono Roma).
    8 donna de' mortali: signora, padrona del mondo intero.
    9 al passeggero: al viandante.
    10 afflitte fortune: il tema del tramonto dell'antica potenza di Roma, assai caro a Leopardi ma anche a gran parte della letteratura italiana tra Sette ed Ottocento, si trova già in Petrarca (nella canzone Italia mia, benché il parlar sia indarno, Canzoniere, CXXVII, 59).
    11 impietrata: pietrificata.
    12 peregrin: viandante.
    13 fur / colti: furono / campi coltivati.
    14 risonaro: risuonarono.
    15 ozi: villeggiature.
    16 ospizio: soggiorno, riposo.
    17 città famose: Leopardi allude evidentemente a Pompei, Ercolano e Stabia, città distrusse dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C..
    18 torrenti / altero: (di lava) / superbo, imponente.
    19 ignea / oppresse: di fuoco / seppellì.
    20 una: una medesima.
    21 siedi: sorgi.
    22 di dolcissimo odor mandi un profumo: richiama l'immagine foscoliana dei Sepolcri (v. 172): "mille di fiori al ciel mandano incensi".
    23 piagge: pendi, rive.
    24 il nostro stato: (di mortali).
    25 possanza: potenza.
    26 dell'uman seme: del genere umano.
    27 cui / dura nutrice / ov'ei men teme: che / la natura avversa (In un passo dello Zibaldone dell'11 aprile 1829 Leopardi scriveva: "Nemica mortale di tutti gl'individui d'ogni genere e specie, ch'ella dà in luce... comincia a perseguitarli dal punto medesimo in cui li ha prodotti") / quando egli meno se l'aspetta.
    28 annichilare: annientare.
    29 dipinte / rive: ritratte, illustrate, testimoniate / luoghi pianeggianti e inclinati..
    30 le magnifiche sorti e progressive: l'espressione – sarcastica, e divenuta proverbiale - è presa in prestito alla Dedica degli Inni Sacri (1832) di Terenzio Mamiani (1799-1885), patriota risorgimentale e cugino dello poeta, che, fiducioso nel valore formativo della religione e riferendosi all'Italia del secolo XII e XIII, descrive in tal modo il progresso spirituale dell'umanità.
    31 secol superbo e sciocco: il secolo XIX, età del Romanticismo, la cui componente irrazional-spiritualistica, a giudizio di Leopardi, ha fatto marcia indietro rispetto alle acquisizioni del pensiero razionalistico e scientifico dell'Illuminismo.
    32 il calle... segnato innanzi: la via fin qui percorsa avanzando.
    33 pargoleggiar: atteggiamento infantile.
    34 ancora ch'a ludibrio: anche se a scherno.
    35 preeme: incalza.
    36 fia: sarà.
    37 servo: (di utopie umanitarie e credenze religiose).
    38 della barbarie: dalle tenebre del Medo Evo..
    39 i pubblici fati: il destino dei popoli.
    40 Così: A tal punto, talmente.
    41 depresso loco: misera condizione.
    42 il tergo: le spalle.
    43 al lume: alla filosofia (materialistica) dell'Illuminismo.
    44 il / fuggitibo: il vero (v. 78), cioè la realtà delle cose / non osando guardarlo in faccia.
    45 asuto o folle: chi si fa gioco degli altri o illude sé stesso.
    46 estolle: innalza.
    47 di povero stato: di umili condizoni.
    48 dell'alma: quanto all'animo (complemento di limitazione).
    49 mendico: povero, privo.
    50 parer / noma: apparire / dice.
    51 al vero uguale: corrispondente al vero.
    52 fetido: disgustoso, spregevole.
    53 eccelsi fati: un destino meraviglioso.
    54 non pur quest'orbe: non solo questo mondo.
    55 un'onda: un maremoto.
    56 commosso: agitato.
    57 un fiato d'aura maligna: un'epidemia.
    58 un sotterraneo crollo: un terremoto.
    59 avanza: resta.
    60 s'ardisce: ardisce, osa.
    61 il basso stato e frale: la misera e fragile condizione.
    62 accresce: aggiunge.
    63 rea: Nello Zibaldone, in data 2 gennaio 1829, Leopardi annotava: “La mia filosofia fa rea d'ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se non altro il lamento, a principio più alto, all’origine vera de' mali de' viventi ecc.”..
    64 Costei chiama: la natura (il soggetto di "chiama" è sempre "Nobil natura").
    65 incontro a questa: contro la natura.
    66 congiunta: unita, alleata.
    67 ordinata in pria: schierata in origine (cioè quando nacque inizialmente la società).
    68 l'umana compagnia: la società umana.
    69 estima: giudica, considera.
    70 porgendo... aita: offrendo ed aspettando un valido e pronto aiuto.
    71 negli alterni perigli: nei pericoli che minacciano ora l'uno ora l'altro.
    72 guerra comune: (contro la natura, e quindi contro il dolore).
    73 al vicino: al proprio simile.
    74 stolto / crede: cosa stolta, stoltezza / (il soggetto è sempre "Nobil natura" del v. 111).
    75 cinto d'oste contraria: circondato da un esercito nemico.
    76 acerbe gare: zuffe furiose.
    77 fien, come fur: saranno, come furono in origine.
    78 quell'orror: quell'oscuro timore (di fronte ai fenomeni naturali).
    79 strinse... catena: spinse ad unirsi in società.
    80 fia: sarà.
    81 verace saper: valido sapere, cioè fondato sulla conoscenza del vero, e non su vane credenze e superstizioni religiose (le "superbe fole" nominate al v. 154). Leopardi ha in mente il movimento scientifico e culturale nato fra Seicento e Settecento con Cartesio, Galilei, Newton, Locke, e culminato poi nell'Illuminismo.
    82 ove fondata: sul fondamento delle quali.
    83 così: instabile, vacillante (e destinata a cadere).
    84 quel... sede: ciò che si fonda sull'errore.
    85 queste rive: questi luoghi (alle pendici del Vesuvio).
    86 a bruno: (come in segno di lutto).
    87 flutto indorato: l'onda della lava pietrificata.
    88 fiammeggiar: brillare, scintillare.
    89 vòto seren: l'immensità dello spazio.
    90 appunto: fisso.
    91 a lor: agli occhi.
    92 non pur: non soltanto.
    93 in uno: insieme.
    94 del numero... mole: infinite di numero e misura.
    95 nostre: a noi visibili.
    96 essi: i "nodi", cioè gli agglomerati di stelle.
    97 di cui fa segno: della cui fragilita è testimonianza.
    98 il suol: le pendici del Vesuvio.
    99 favoleggiar: illuderti (ad esempio, appunto, con la supposizione che gli dèi siano discesi sulla Terra per amore dell'uomo: "per tu cagione").
    100 i derisi sogni rinnovellando: (Leopardi si riferisce a credenze, illusioni e dogmi già criticati dal movimento illuministico, e che ai suoi tempi stavano trovando nuova forza.)
    101 ?ai saggi insulta: offende i saggi.
    102 moto: sentimento.
    103 d'arbor: da una pianta
    104 cui / tardo : che / avanzato.
    105 cavati / gleba: : scavati / terra.
    106 lavoro: fatica
    107 a prova: a gara.
    108 l'assidua gente: le laboriose, tenaci formiche.
    109 diserta: devasta, annienta.
    110 dall'utero tonante: dalle viscere del vulcano.
    111 notte e ruina: tenebre (calate improvvisamente per l'oscuramento del sole) e distruzione (causata dalla colata lavica).
    112 ruscelli: (di lava).
    113 immensa piana: immensa fiumana (da unire a "furiosa" del v. 219).
    114 aspergea: bagnava, lambiva.
    115 prostrate mura: mura distrutte.
    116 in quello: nel seme, nella stirpe umana.
    117 fuor che / prosapie: se non perché / generazioni.
    118 varcar: sono passati.
    119 oprressi: sepolti
    120 dall'ignea forza: dall'eruzione vulcanica.
    121 nulla mai fatta: per nulla resa.
    122 siede: sta.
    123 ostel villereccio: rustica casa.
    124 vagante aura: all'aria aperta (mossa).
    125 esplora il corso: cerca di individuare la direzione.
    126 del temuto bollor: della lava incandescente.
    127 grembo: l'interno del vulcano.
    128 a cui: al cui bagliore.
    129 Mergellina: sobborgo marinaro di Napoli.
    130 fervendo: ribolendo.
    131 unico schermo: unica protezione.
    132 inesorato: inesorabile
    133 al celeste raggio: alla luce (gli scavi di Pompei iniziarono nel 1748, per volere di Carlo III di Borbone).
    134 a cui di terra: che da sotto terra.
    135 avarizia: avidità di denaro e di tesori.
    136 foro: piazza principale (dell'antica città).
    137 peregrino: visitatore.
    138 bipartito giogo: la duplice vetta del Vesuvio vero e proprio e del monte Somma (che costituisce ciò che resta del'edificio vulcanico che causò l'eruzione del 79 d.C.).
    139 sparsa ruina: città distrutta.
    140 vacui: vuoti, deserti.
    141 deformi / rotte: mutilati / distrutte.
    142 i parti: i nati.
    143 face: fiaccola.
    144 atra: fosca.
    145 ignara: incurante.
    146 ognor verde: perennemente giovane.
    147 star: restare immobile (pur procedendo nel tempo).
    148 Caggiono: cadono.
    149 lenta: flessibile, pieghevole.
    150 avaro: avido.
    151 non renitente: senza ribellarti.
    152 indarno: invano, inutilmente.
    153 oppressor: il vulcano.
    154 sul deserto: (della terra).
    155 fortuna: sorte, destino.
    156 meno inferma/ frali: meno debole, precaria / fragili
    117 o dal fato... immortali: rese immortali, o per volere del destino o per tua illusione.