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          E come potevamo noi cantare1 
          con il piede straniero2 sopra il cuore,
          fra i morti abbandonati nelle piazze
          sull'erba dura di ghiaccio3, al lamento
      5  d'agnello4 dei fanciulli, all'urlo nero5
          della madre che andava incontro al figlio
          crocifisso6 sul palo del telegrafo?
          Alle fronde dei salici, per voto,
          anche le nostre cetre7 erano appese,
    10  oscillavano lievi al triste vento8.
    
    
    [Da Giorno dopo giorno, Mondadori, Milano 1947]

    METRO
    Endecasillabi sciolti

    COMMENTO
    Questa lirica (pubblicata nel 1944 nella rivista "Uomo") è la prima della raccolta Giorno dopo giorno. Essa segna il passaggio dalla fase ermetica di Quasimodo – in cui a livello tematico dominavano la rimembranza e la contemplazione – alla fase civile e politica. Il poeta testimonia della propria ed altrui impotenza a "cantare" durante il tempo tremendo della guerra, durante il quale le sole voci sono quelle del pianto struggente dei fanciuli (simile a belato dell'agnello) e l'urlo atroce di una madre che va incontro al figlio crocifisso (probabilmente perché partigiano).
    Il silenzio del poeta rappresenta un profondo rispetto dinanzi ai dolori provocati dalla guerra, con un parallelismo di ispirazione biblica che trae spunto dal salmo CXXXVI (Sui fiumi di Babilonia): Sui fiumi di Babilonia, là sedemmo e piangemmo ricordandoci di Sion! Ai salici, in mezzo ad essi, appendemmo le nostre cetre. Ché là ci domandarono quei che ci avevan menati schiavi parole di canto, e quei che ci avevano deportato, allegrezza: "Un inno cantateci dei cantici di Sion!". Come canteremo il cantico del Signore su terra straniera? La caduta di Gerusalemme e l'esilio degli Ebrei in terra di Babilonia indicano infatti una situazione simile a quella degli Italiani, la cui terra è occupata dai Tedeschi. Ora, come allora, i poeti non hanno voce per "cantare" l'immane sofferenza.

    FIGURE RETORICHE
    A livello retorico possiamo segnalare varie metafore (il cantare e le cetre sono metafore dell’attività poetica; le cetre che oscillano al vento evocano il senso di inutilità della poesia nell’ora della guerra; "con il piede straniero sopra il cuore" è metafora della violenza dell’esercito tedesco di occupazione; "crocifisso" è metafora dell’antico supplizio della croce e anche del sacrificio di un giovane innocente crocifisso come Cristo), un'analogia (l'"erba dura di ghiaccio" evoca il gelo interiore e l’angoscia provocate dalla ferocia nazista che sembra far perdere vita anche all’erba) e una sinestesia ("urlo nero", che fonde la sensazione uditiva con quella visiva ed esprime evocativamente tutta la disperazione della donna.

    NOTE
    1 E come... cantare: la congiunzione, posta all'inizio della lirica, presuppone una riflessione precedente: qualcuno potrebbe infatti rimproverare ai poeti di non aver scritto poesie (il verbo "cantare" sta infatti per "poetare") negli anni più tragici della guerra; e nella domanda, che si prolunga per sette versi, il poeta "risponde" implicitamente.
    2 il piede straniero: quello dei Tedeschi che, da alleati, si erano trasformati in nemici dopo l'armistizio dell'8 settembre.
    3 sull'erba dura di ghiaccio: i morti fucilati, per ordine delle SS, non potevano essere seppelliti subito ma dovevano restare sull'erba ghiacciata per un po' di tempo, come ammonimento per le popolazioni.
    4 lamento / d'agnello: il lamento dei fanciujlli è simile al belato dell'agnello, che è simbolo per eccellenza di innocenza e debolezza indifesa.
    5 urlo nero: efficacissima sinestesia per indicare un urlo di dolore, di disperazione.
    6 crocifisso: mentre il "lamento" dei fanciulli si richiamava all'agnello, qui viene rievocata la vittima per eccellenza: il Cristo.
    7 cetre: la cetra era anticamente lo strumento musicale che accompagnava il canto o la recitazione della poesia.
    8 oscillavano... vento: la poesia è diventata muta di fronte al dolore e alla disperazione trasportati dal "vento" della guerra.