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          A volte sulla sponda della via1
          preso da un infinito scoramento
          mi seggo; e dove vado mi domando,
          perché cammino. E penso la mia morte
    5     e mi vedo già steso nella bara
          troppo stretta fantoccio inanimato2...
    
          Quant'albe nasceranno ancora al mondo
          dopo di noi!
                             Di ciò che abbiam sofferto
          di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore
    10  non rimarrà il più piccolo ricordo.
    
          Le generazioni passan come
          onde di fiume...
    
          Una mortale pesantezza il cuore
          m'opprime.
                            Inerte vorrei esser fatto
    15  come qualche antichissima rovina3
          e guardare succedersi le ore,
          e gli uomini mutare i passi, i cieli
          all'alba colorirsi, scolorirsi
          a sera. 
    
    
    [da Pianissimo (1914), ora in L'opera in versi e in prosa, Garzanti, Milano 1999]

    METRO
    Versi liberi con netta prevalenza di endecasillabi.

    COMMENTO
    Bàrberi Squarotti, forse il più acuto interprete del poeta ligure, ha scritto a proposito di questa poesia: "Sbarbaro esprime qui nel modo più compiuto il motivo storico e morale più intenso di Pianissimo [cioè la raccolta di cui la lirica fa parte]: il senso dell'estraneità al mondo, alla realtà, di solitudine inaridita, di incapacità di far presa sulle cose, di dare un senso alla propria vita. L'uomo in crisi rappresentato da Sbarbaro non sa più le ragioni della sua esistenza, i fini della sua azione: è come un fantoccio, come un morto, come già steso nella bara, incapace com'è di prendere decisioni, di scegliere, di vincere il senso di indifferenza e di aridità che lo ha preso. Lo spunto della meditazione sul trascorrere del tempo e il perdersi della memoria è leopardiano (si ricordi La sera del dì di festa); ma la conclusione fissa la posizione dell'uomo fatto estraneo alle cose, alla vita, nell'immagine esemplare della pietra, della rovina che assiste senza partecipazione, senza turbamento, al susseguirsi dei giorni, al variare della natura e delle stagioni, al trascorrere delle generazioni, al volgersi della storia. L'uomo non ha più la possibilità di agire sulle cose: l'unica aspirazione è di liberarsi dalla mortale angoscia del tempo e della morte, essere il testimone estraneo, lontano, disseccato di ogni sentimento di fronte a ciò che accade".

    NOTE
    1 sulla sponda della via: la via (ovvia metafora della vita) scorre come un fiume ma senza trasportare con sé il soggetto, che rimane spettatore sulle sue rive.
    2 fantoccio inanimato: Come ha notato Elio Gioanola, "in Sbarbaro è costante il senso della vita come un teatro di burattini, secondo un'intuizione dell'uomo-marionetta".
    3 Inerte vorrei esser fatto / come qualche antichissima rovina: la similitudine allude ad una (impossibile) volontà di inserzia e di indifferenza di fronte al trascorrere del tempo ("guardare succedersi le ore").