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          Taci, anima stanca di godere
          e di soffrire1 (all'uno e all'altro vai
          rassegnata2).
          Nessuna voce tua odo se ascolto:
      5  non di rimpianto per la miserabile
          giovinezza, non d'ira o di speranza,
          e neppure di tedio3.
                                       Giaci4 come
          il corpo, ammutolita, tutta piena
          d'una rassegnazione disperata5.
    
    10  Non ci stupiremmo,
          non è vero, mia anima, se il cuore
          si fermasse, sospeso se ci fosse
          il fiato6…
    
                         Invece camminiamo,
          camminiamo io e te come sonnambuli.
    15  E gli alberi son alberi, le case
          sono case, le donne
          che passano son donne7, e tutto è quello
          che è, soltanto quel che è.
    
          La vicenda di gioia e di dolore
    20  non ci tocca. Perduto ha la voce
          la sirena del mondo8, e il mondo è un grande
          deserto.
    
                       Nel deserto
          io guardo con asciutti occhi me stesso9.
    
    
    [da Pianissimo (1914), ora in L'opera in versi e in prosa, Garzanti, Milano 1999]

    METRO
    Endecasillabi intervallati da versi brevi: quaternario (v. 3) senario (v. 11), trisillabo (v. 14), ecc.).

    COMMENTO
    In un colloquio interiore con la propria anima, il poeta constata che essa non prova più alcuna emozione, né di gioia né di dolore, ed è divenuta inerte come la materia, in uno stato di "rassegnazione disperata" di fronte alla perdita di valore del mondo e di attrattiva delle cose. Gli elementi della realtà (cose ed uomini) sono frammenti privo di senso e non rimandano che a sé stessi. E al poeta non resta che constatare il suo stato di separatezza, di solitudine ed alienazione, semplice oggetto tra altri oggetti.
    Il mondo esterno è, dunque, pura materialità presente nella sua banale evidenza oggettiva, ma in quest'arida dimensione esistenziale il poeta sa comunque trovare il coraggio di guardare in faccia la realtà e sé stesso senza illusioni e senza cedimenti ("con asciutti occhi").

    NOTE
    1 Taci... soffrire: Il verbo è all'indicativo, e vale come constatazione più che invito, come si può osservare anche al v. 4. "Soffrire e godere della propria solitudine è ancora da considerarsi un privilegio romantico, un lusso sentimentale" (Gioanola).
    2 rassegnata: anticipa la "rassegnazione disperata" del v. 9.
    3 tedio: parola-chiave del tardodecadentismo, indica uno stato d'animo simile alla "noia" leopardiana o allo "spleen" baudelairiano. Respingendolo, Sbarbaro si dichiara estraneo al movimento.
    4 Giaci: Rima significativamente col "Taci" iniziale.
    5 rassegnazione disperata: come nota Gioanola, il contrario della "serena disperazione" di Saba.
    6 se il cuore... il fiato: se la morte vera e propria seguisse a quella psicologica in atto.
    7 E gli alberi... donne: L'enumerazione tautologica sottolinea l'assenza di un lato nascosto o segreto delle cose e dell'esistenza stessa: "tutto è quelo / che è, sotanto quel che è".
    8 la sirena del mondo: la "vicenda" esaltante ed allettante del mondo, che ha perso ogni lusinga.
    9 io guardo... stesso: il motivo del "vedersi" è tipico del decadentismo: basti pensare a Pirandello. Qui Sbarbaro ne attenua l'ansietà col disincanto: "con asciutti occhi", cioè senza coinvolgimento emotivo.